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La grande guerra dei fabbricanti di armi

La grande guerra dei fabbricanti di armi

BRESCIA-ADISTA. A volere fortemente la prima guerra mondiale furono anche i fabbricanti di armi. Al termine delle celebrazioni per la fine della prima guerra mondiale (4 novembre 1918-4 novembre 2018), intrise di retorica patriottica, l’Osservatorio permanente sulle armi leggere (Opal) di Brescia sottolinea uno degli aspetti censurati della grande guerra: il ruolo importante svolto dall’industria militare.

«Non si è dato abbastanza rilievo», scrive Opal, «alle cause di questa guerra, che ha rappresentato l’entrata dell’umanità nella modernità, con il suo corredo di inutili stragi di massa, di esodi di popolazioni civili, di genocidi, di “pulizie etniche” e di un fallimento della “pace” postbellica i cui effetti si sono protratti per tutto il Novecento, e si ripresentano oggi. Tra le cause, una delle principali fu la volontà bellica di tutto il ceto affaristico e imprenditoriale, capace di mobilitare risorse e propaganda anche quando la classe politica era decisamente schierata su posizioni neutralistiche. Durante la guerra, gli industriali delle armi furono i maggiori beneficiari della carneficina che falciò soprattutto contadini ed ex contadini di recente inurbati per andare a lavorare nelle fabbriche, anche in quelle poi militarizzate. Si costruirono allora ingenti fortune industriali, anche in Italia (dagli Agnelli ai Perrone dell’Ansaldo, ai Bombrini e ai Parodi-Delfino della BPD, i Donegani della Montecatini, i Romeo dell’Alfa Romeo, i Caproni e i Macchi della nascente aviazione ecc.) e anche a Brescia (dai Beretta ai Franchi, dagli Gnutti ai Morselli della Caffaro). Una Commissione parlamentare d’inchiesta sulle spese di guerra accertò “guadagni illeciti” ingenti e avrebbe recuperato la gigantesca cifra di 340 milioni di lire di “sovraprofitti” se non fosse stata prontamente soppressa da Mussolini due giorni dopo aver ottenuto la fiducia dal parlamento, nel novembre 1922».

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