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Laurea Honoris causa per don Roberto Sardelli, il prete delle baracche dell’Acquedotto Felice

Laurea Honoris causa per don Roberto Sardelli, il prete delle baracche dell’Acquedotto Felice

ROMA-ADISTA. Laurea Honoris causa in Scienze pedagogiche per don Roberto Sardelli, il “prete delle baracche”, conferitagli il 21 novembre dall’Università Roma Tre.

Impegnato nella parrocchia di San Policarpo (periferia sud-est di Roma, fra la via Tuscolana e la via Appia), Sardelli lasciò la parrocchia (ma non il ministero) e, fra il 1968 e il 1973, andò ad abitare nel borghetto dell’Acquedotto Felice, insieme a 650 famiglie perlopiù immigrate dal Lazio meridionale e dall’Abruzzo che da anni vivevano in casupole di fortuna addossate ai fornici dell’acquedotto. Lì diede vita all’esperienza della “Scuola 725” (il numero della baracca), un doposcuola popolare sul modello della Scuola di Barbiana di don Lorenzo Milani per i bambini e i ragazzi del borghetto. Una baracca di nove metri quadrati che ha «rappresentato una delle più straordinarie iniziative di pedagogia popolare realizzatesi in Italia nel secondo dopoguerra», ha spiegato Massimiliano Fiorucci, direttore del dipartimento di Scienze della formazione, aggiungendo che la “Scuola 725” è stato un esempio concreto di «lotta all’emarginazione» e si è posta in modo «critico rispetto alle attività della scuola pubblica».

Fra le varie attività della Scuola 725, la stesura della “Lettera al sindaco”, indirizzata all’allora primo cittadino Rinaldo Santini, per chiedere migliori condizioni di vita per i baraccati, ai quali le case popolari furono assegnate nel 1973-73, a Nuova Ostia. Nella sua lectio magistralis, letta dagli ex alunni perché Sardelli (83 anni) non ha potuto partecipare per motivi di salute, don Roberto ha spiegato che la lettera provocò «un terremoto politico senza precedenti e il convegno sui mali di Roma del 1974 aveva le sue radici nella missiva».

Laurea Honoris causa in Informazione, editoria e giornalismo a Edith Bruck. Ebrea ungherese, nel 1944 fu deportata ad Auschwitz con i genitori, due fratelli e una sorella. Con quest’ultima passò da Auschwitz a Dachau, Christianstadt e Bergen-Belsen, dove furono liberate nel 1945. Dal 1954 vive in Italia dove ha conosciuto tra gli altri Eugenio Montale, Giuseppe Ungaretti e Primo Levi, che la incitò a ricordare la Shoah. Nel 1959 con il romanzo autobiografico Chi ti ama così iniziò la sua missione di testimone dell’Olocausto, adottando la lingua italiana che, come ha più volte spiegato, le offriva il giusto distacco emotivo per descrivere la personale esperienza nei campi di concentramento.

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