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Il modello Salvini? Business dei grandi centri, zero servizi, guerra tra poveri, Comuni vessati

Il modello Salvini? Business dei grandi centri, zero servizi, guerra tra poveri, Comuni vessati

Ricordate quando Matteo Salvini prometteva guerra al business dell'immigrazione? Beh, alla fine il Decreto Sicurezza la guerra l'ha dichiarata solo ai diritti dei migranti, alla buona accoglienza, all'integrazione e agli Enti locali, salvando – e anzi accrescendo – il “vero” business dell'immigrazione, quello dei grandi centri gestiti da privati.

Più costi per lo Stato e più business per i privati

Il ministro dell'Interno è riuscito a compiere una magia, denuncia un approfondimento di Valori, testata della Fondazione Finanza Etica, promossa da Banca Etica: «L’accoglienza modello-Salvini», titola infatti l'inchiesta, «triplicherà i costi azzerando i servizi». Con la demolizione dello Sprar (sistema di protezione di richiedenti asilo e rifugiati con accoglienza diffusa, gestita dai Comuni in collaborazione con il terzo settore) i migranti finiranno in Centri «più grandi, senza gare pubbliche e con un sistema di costi che, pur avendo costi medi inferiori, farà però spendere di più allo Stato. Per pochi grandi soggetti imprenditoriali senza troppi scrupoli saranno garantiti profitti maggiori. Per i migranti non ci sarà invece alcun obiettivo di integrazione o assistenza e un destino certo di emarginazione sociale. Saranno così i centri di “accoglienza” versione Salvini: il ministro degli Interni punta a renderli sempre più simili, senza pena di smentita, a delle strutture di detenzione».

Insomma, i «migranti stipati in mega-centri senza far nulla» per via dei tagli dei costi per la formazione e l'integrazione, nonostante la riduzione dei famosi 35 euro della spesa giornaliera pro capite vantata dal ministro, garantiranno a pochi privati notevoli margini di profitto.

I costi lievitano, i servizi spariscono

Il calcolo è presto fatto, prosegue Valori: secondo i dati forniti dall'Anci (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani  alla Commissione Affari Costituzionali della Camera, allo stato attuale ogni migrante inserito nello Sprar costa circa 6.300 euro, mentre se ospitato in un Cas (Centro di Accoglienza Straordinaria) costa tra i 10 e i 14.000 euro. Questo perché nello Sprar un migrante ci resta circa 6 mesi (e segue progetti di integrazione e formazione) mentre in un Cas circa un anno e mezzo e anche due, «E d’ora in poi non riceveranno nemmeno educazione linguistica e professionale».

Salvini prende voti e scarica la bomba sociale sui Comuni

Al di là dei conti facili, il Decreto Sicurezza, che ha garantito il pieno di consensi elettorali al vicepremier nel momento della sua promulgazione, rischia di scatenare un effetto boomerang sul lungo periodo: l'eliminazione dei permessi umanitari ha il contraddittorio risultato di «sfavorire sia l’integrazione sia l’espulsione». In sostanza, aumenteranno «gli irregolari, i disperati pronti ad ingrandire l’esercito di chi vive di espedienti», circa 140mila nei prossimo 30 mesi, secondo l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi).

E chi sarà a pagare il prezzo più alto di questa situazione? Proprio i 1800 Comuni, denuncia ancora Valori, già vessati con pesanti tagli dalla legge di bilancio, che con la rete Sprar garantivano accoglienza, integrazione e inserimento nelle comunità locali, e che ora dovranno gestire «una bomba sociale ad orologeria». Ancora una volta, il provvedimento di Salvini si dimostra controproducente e il governo scatena una guerra tra poveri: «Saranno proprio i servizi per l’inclusione, a partire dai corsi di lingua italiana e la copertura sanitaria a essere eliminati o ridotti nel nuovo sistema. Il risultato? “Tensioni sui territori e l’intasamento dei servizi a bassa soglia del welfare, con un danno alle fasce più deboli della popolazione residente”, sottolineano da Anci».


* Immagine di Paolo Cuttitta, tratta dal sito Flickr, licenzaimmagine originale. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite

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