
Laicità nella scuola: un’anatra zoppa
Tratto da: Adista Documenti n° 12 del 30/03/2019
“Laicità vo cercando” è l’insegna rilanciata sull’orma del Catone dantesco da un gruppo di studiosi impegnati da anni sul tema della laicità, stimolati a riprendere le fila della riflessione su un concetto che – più di altri – non rimane immobile e immutabile nel tempo.
Un tema ritenuto, scrissero sul mensile Confronti nel 2017, «intrinseco alla modernità », «esposto oggi alle intemperie di una sempre più diffusa cultura emozionale della “postverità” più obbediente a miti e credenze che ispirata alla ricerca della verità, allergica al dialogo razionale e alla verità scientifica. Nell’era dei populismi la nostra ambizione è educare, innanzitutto noi stessi, alla formazione di convinzioni razionalmente verificate e a un conseguente costume di confronto, contenendo le intransigenze, anche di linguaggio».
Il brano citato apre la strada a varie osservazioni: l’impoverimento contraddittorio della forza d’attrazione del principio della laicità proprio in anni in cui si registra il distacco interiore dalle fedi religiose intese come fede “individuale” nell’Assoluto; la fuga dal dialogo razionale e il rifugio in una ricerca di “verità” fondata su miti emozionali non razionalmente verificati, misti a credenze religiose ataviche, non sulla ricerca e affermazione di una verità scientificamente testata...
Ma, l’acquisizione della “verità scientifica” deve/può essere trasformata in mantra?
Qui sta il valore intrinseco della laicità. Le convinzioni “razionalmente verificate”, i traguardi raggiunti dalla ricerca scientifica, non possono, non devono, rappresentare un punto d’arrivo immodificabile. Si tratta di conquiste razionali ancorate a un determinato momento storico, a un determinato contesto geopolitico. Il costume del confronto di posizioni è il fondamento della laicità; l’accettazione voltairiana della manifestazione di idee anche opposte alle proprie, ma che non condizionano necessariamente convinzioni razionalmente acquisite, è tuttavia un banco di prova, la possibilità del dubbio, della messa in discussione di realtà in cui ogni persona è immersa…
Tra i fattori protagonisti dei processi determinanti il quadro della società attuale si colloca senza dubbio il ruolo dell’istituzione scolastica con l’insieme di norme e provvedimenti susseguitisi nei decenni a partire dagli anni ‘50. Un percorso lungo e lento.
L’onda lunga della scuola fascista proseguiva infatti sulla scia del conformismo, nonostante l’entrata in vigore della Costituzione.
Gli autoritarismi, l’insufficienza del dialogo educativo, l’apprendimento coatto, la scuola di classe, furono tratti duri da superare a livello nazionale, fatte salve le scuole in cui si manifestava a proprio rischio e pericolo il coraggio di docenti illuminati, sensibili alle spinte democratiche che attraversavano l’Europa e l’Italia, e l’intervento di politici “laici”, primo fra tutti Piero Calamandrei.
Agì da spartiacque il movimento del ‘68, contro le intollerabili disuguaglianze socioeconomiche.
La scuola di base fu il vero teatro dei primi cambiamenti, soprattutto le scuole materne (ma di riflesso anche le scuole elementari), fiori all’occhiello della città di Reggio Emilia, dove elementi quali “il gioco negli spazi scolastici”, teorizzato per favorire il dialogo tra bambini/e e insegnanti, furono valido esempio educativo a livello europeo.
Gli anni ‘70 videro la prosecuzione del cambiamento, esteso a tutti i gradi scolastici con l’introduzione della legge istitutiva degli Organi Collegiali. Il trasferimento dei poteri dal Capo d’Istituto a organismi democraticamente eletti fu un’autentica vittoria della laicità.
Laico si manifestava quasi inconsapevolmente l’atteggiamento di buona parte delle componenti scolastiche, divenute libere da condizionamenti, in grado per la prima volta di comprendere la separazione tra la funzione della scuola dello Stato e l’istruzione privata. Fu una crescita interiore compiuta in quegli anni da milioni di cittadini/e, una crescita alla quale ben presto si sarebbe aggiunto un ulteriore approfondimento…
Certo, non fu facile smantellare un potere incancrenito da decenni di esercizio, ma l’impegno con cui genitori, insegnanti, studenti e non docenti affrontarono l’affermazione della democrazia scolastica fu indice di una laicità introiettata: l’attacco al potere concentrato nelle mani dei dirigenti e la battaglia contro l’elargizione di privilegi (i finanziamenti anticostituzionali alle scuole private) furono il nutrimento di lotte all’interno delle scuole e di coordinamenti cittadini per esercitare un peso sulle istituzioni.
La voce di ciascuno mediante le forme della rappresentanza poteva essere espressa e avere un peso. Laos = popolo, una storia di secoli in cui la laicità aveva assunto via via contorni, caratteri e credibilità…
Nella scuola italiana la laicità cominciò a manifestarsi concretamente nelle leggi emanate nel decennio ‘70-‘80, sollecitate da movimenti, associazioni di cittadini che avevano per obiettivo l’attuazione della Costituzione (dove peraltro non è nominato espressamente il termine laicità, citato tuttavia quale «forma suprema dello Stato» nella sentenza 203/89 della Corte Costituzionale).
Tra le più note, la legge istitutiva dei Nidi comunali, l’istituzione della scuola dell’infanzia statale, del Tempo Pieno nella scuola elementare, la liberalizzazione degli accessi universitari, il provvedimento amministrativo per il completamento a 5 anni degli istituti professionali di Stato, il pieno rispetto della libertà di insegnamento...
Sotto il profilo dell’adozione del principio di uguaglianza, di non discriminazione (cfr. formazione delle classi e destinazione ad esse dei docenti), della cancellazione di privilegi, il principio di laicità nel settore dell’istruzione pubblica poteva dirsi rispettato, certo sotto la vigilanza attiva di docenti, di forze sindacali della scuola, di genitori, pronti ad adire le vie legali in caso di inosservanza delle norme democratiche. Ma alla metà degli anni ‘80 la revisione concordataria spostava i fari su un versante fino a quel momento rimasto in ombra nella quotidianità scolastica. Insegnamento della religione cattolica, pratiche religiose, esonero, tutto era continuato sulla scia del Concordato fascista del ‘29. L’entrata in scena della facoltatività dell’Insegnamento della Religione Cattolica (IRC) sconvolse le pigre acque. Era il frutto della Commissione paritetica al lavoro da vari anni. Il Concordato doveva uniformarsi ai principi costituzionali, beninteso dietro il baluardo dell’Art. 7.
L’introduzione della facoltatività ebbe la funzione di specchietto per le allodole. Tra le allodole, il PCI, nelle parole di Aureliana Alberici, che dopo la votazione della Legge 121/85 (nuovo Concordato) affermò di essere soddisfatta perché il passaggio dall’obbligatorietà dell’IRC alla facoltatività segnava un “grosso passo avanti”. Ciò che avvenne nel mondo della scuola negli anni successivi all’entrata in vigore del DPR 751/85, definito “Intesa Falcucci-Poletti” dai nomi della ministra alla Pubblica Istruzione e del presidente della CEI, è cronaca ben nota a tutti/e coloro che frequentarono le scuole pubbliche negli ultimi 35 anni. La neutralizzazione della facoltatività fu immediatamente raggiunta con l’inclusione dell’IRC nell’orario obbligatorio e l’istituzione di “attività alternative” per coloro che non intendessero “avvalersene”. Si aprì un contenzioso infinito da parte di quel mondo della scuola (e non solo) che aveva reso vivente il principio della laicità nella difesa del diritto all’uguaglianza e alla non discriminazione.
La laicità si estendeva su versanti storici: la tutela della libertà di coscienza e il rispetto della separazione dei poteri.
La crescita individuale proseguiva. Le sentenze della Corte Costituzionale, chiamata in causa dai TAR, stabilirono lo “stato di non obbligo” per coloro che non avessero scelto l’IRC. Durante l’ora di religione chi non avesse scelto di frequentarla poteva gestire il proprio tempo, anche uscendo dall’istituto. Ma la stessa Corte non ebbe mai il coraggio di porre l’IRC in quanto facoltativo al di fuori dell’orario obbligatorio, scegliendo di rinviare alle scuole il compito della collocazione oraria.
Ultimo atto, la sentenza del Consiglio di Stato 2749/2010 che ristabilì l’obbligo dell’attività alternativa. Il giogo del Vaticano ne uscì rafforzato.
Sulle battaglie del primo decennio lentamente calava il silenzio. In luogo del rifiuto dell’ora alternativa (quale alternativa a un insegnamento confessionale?) prendeva corpo tra i giovani proprio la richiesta di una materia alternativa e la protesta se non fosse stata attivata! Estranea all’orizzonte degli studenti la protesta contro la collocazione dell’IRC all’interno dell’orario scolastico, contro le messe in orario scolastico, contro le visite di prelati di una sola religione (non più religione di Stato!), contro la consuetudine del presepe, contro la presenza del crocefisso nelle aule, talvolta casuale, talvolta brandita come “simbolo identitario” (nel qual caso in grado di catalizzare rivendicazioni e scontri razzisti).
Rare le denunce e le proteste per discriminazioni subite, fino a qualche anno fa ben frequenti su tutto il territorio nazionale. L’immissione in ruolo dei docenti di religione cattolica (r.c.). promossa con modalità inaccettabili da forze politiche di centrosinistra e di destra (2000-01); i contributi alle scuole private gestite in grandissima parte da religiosi, che avevano sollevato scandalo per il grave vulnus all’Art. 33 della Costituzione; il ruolo dei docenti di r.c. allo scrutinio finale approdato addirittura nel 2002 a una revisione dell’Intesa grazie alle denunce di associazioni laiche sono oggi accettati con indifferenza, come “un fatto normale”. Sì, oggi la pratica attiva della laicità è avvolta nella coltre dell’indifferenza. E di questa indifferenza si avvale il clero. Gli insegnanti di r.c. e di attività alternative lavorano spesso insieme su terreni umanitari che con le fedi religiose non hanno direttamente a che vedere; esse consentono la nascita di iniziative di solidarietà in cui sono coinvolte anche comunità multietniche. Come rifiutare tali modalità in nome del principio di separazione delle sfere Stato e Chiesa, uno dei fondamenti della laicità? Vi sono giovani appartenenti a confessioni altre che frequentano volentieri le lezioni di r.c. se il docente è “amico” e tratta temi dedicati all’adolescenza. Non mancano famiglie musulmane favorevoli ai presepi, se questo può favorire occasione di integrazione, non importa se sotto l’egida del cattolicesimo. Delle diverse religioni vengono spesso evidenziati durante l’IRC aspetti folkloristici, magici, che attirano la curiosità di alunni/e, a prescindere dalla confessione di appartenenza… aspetti abilmente illustrati dal docente di r.c. L’87% degli studenti continua a scegliere l’IRC. Un dato pressoché stabile. I problemi su cui oggi si incentrano le manifestazioni di protesta sono altri: le aule disastrate, il riscaldamento interrotto, l’acquisto coatto della carta igienica, le spese per viaggi scolastici a carico dei genitori, l’alternanza scuola-lavoro, il nuovo esame di Stato. Ci sono poi anche proteste civili contro la mafia, l’inquinamento... Ciò che manca è un raccordo che elimini l’aspetto della casualità e riporti in primo piano l’esigenza di un dialogo razionale, cui molti giovani (e meno giovani) sembrano “allergici”.
Eppure qualche baluardo laico resiste. Le Comunità Cristiane di Base propongono la sostituzione dell’ora di religione con “Storia delle religioni” affidata a un docente dello Stato (ma Storia delle religioni non è già parte dei programmi di Geostoria?); un gruppo di associazioni laiche e laiciste, in attesa di soluzioni giuridiche e politiche per rimettere in discussione il Concordato a 90 anni di distanza, propone “l’abolizione dell’ora di religione”. A questa sorta di utopia, noi ci sentiamo di proporre per ora la collocazione dell’IRC in orario aggiuntivo, nonché l’eliminazione dell’IRC come materia d’Esame in III Media, dove è stata introdotta lo scorso anno con la soppressione di quella parte del Testo Unico della legislazione scolastica (1994) che escludeva la Religione Cattolica dalle discipline d’esame. La longa manus del potere vaticano sa sempre come insinuarsi.
Due battaglie, queste, di fondamentale importanza per la laicità della scuola.
Già insegnante di Lettere, Atonia Sani è da decenni impegnata sui temi della laicità della scuola pubblica statale. È stata coordinatrice dell’associazione nazionale “Per la scuola della Repubblica”, di cui è ancora tra le animatrici. Attualmente è anche presidente della WILPF Italia (Woman International League for Peace and Freedom).
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