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A 30 anni da un massacro annunciato

A 30 anni da un massacro annunciato

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 40 del 23/11/2019

Ricordare in giorni come questi i miei confratelli salvadoregni massacrati il 16 novembre del 1989 per mano di sicari governativi in El Salvador, significa rivivere i tormentati anni del dopo-Concilio, la restaurazione imposta dal Vaticano, la possibilità sprecata di una conversione della

Chiesa tutta al Vangelo dei poveri, il sangue di innumerevoli vittime del terrorismo di Stato in America Latina e nella stessa Italia. Quella notte furono uccisi con bestiale ferocia i sei gesuiti presenti nella Università del Centro America (UCA) di San Salvador, la cuoca della comunità e la giovane figlia che per sfuggire al coprifuoco aveva raggiunto la madre. I loro volti sono stati cancellati da un processo-farsa che praticamente ha assolto tutti i criminali (mandanti ed esecutori), ma rimangono vivi nella memoria del popolo e della Compagnia di Gesù: Elba Julia Ramos e Celina Maricet Ramos

Posso dire di essere tra i non molti testimoni di quegli ultimi decenni del secolo scorso, che a tratti apparivano carichi di speranza, aperti a possibilità inimmaginabili di riscatto evangelico per gli oppressi di ogni Continente, e nello stesso tempo drammaticamente avversati dai potenti del tempo e perfino da chi pur doveva difendere la nascita di una nostalgia del Cristo nel cuore degli esclusi. Abbiamo perso il conto delle vittime cruente di quegli anni. Nemico da sterminare era lo stesso popolo: laici, chierici, intellettuali, contadini che non si rassegnavano alla ingiustizia legalizzata.  

Il massacro dell’UCA viene da lontano e forse oggi, mentre proprio una certa Chiesa restia al Vangelo ed arroccata alla sua mania di grandezza, riprende vigore e sfacciataggine per liberarsi del vituperato e rimosso Vaticano II, oggi siamo chiamati a raccontare una storia tragica e complessa. 

Tutto comincia con gli inizi degli anni ‘60, da quel Concilio proclamato da Giovanni XXIII e a cui lavorarono Pastori di tutto il mondo assieme a teologi di grande levatura e fede. Riappare in quel Concilio Ecumenico una Chiesa “mistero-di-salvezza” che ripristina la centralità del “Lieto Messaggio”, la natura sinodale della Chiesa “popolo-di-Dio”, la sua chiamata ad amare un mondo amato dal Padre, il ruolo dei “poveri” come destinatari di liberazione integrale.

La Compagnia di Gesù, tra mille difficoltà, in un clima di appassionata ricerca che oscillava tra una minoranza restia al cambiamento ed una maggioranza decisa ad essere fedele alla svolta  conciliare, pochi anni dopo l’evento ecumenico, tenta vie concrete per una sua “conversione”. Riunita nella celebre Congregazione Generale XXXII (1974-1975) sotto il preposito generale Pedro Arrupe, osa il nuovo pur sapendo che una “scelta dei poveri”, una fedeltà al Vangelo, un farsi compagna del Cristo oltraggiato nella grande maggioranza della popolazione mondiale, avrebbe creato “martiri” e innumerevoli incomprensioni, anche all’interno della stessa chiesa. 

Si disse addio ad una Compagnia di Gesù restaurata nel 1814 dopo una soppressione di 41 anni, su ispirazione del Congresso di Vienna, come paladina “del trono e dell’altare”. Si optò per un Ordine religioso che fa proprio il destino del Cristo, redentore sofferente, assassinato, risorto, speranza degli ultimi della terra. 

Nel nuovo clima ebbe la priorità, tra i gesuiti, il dare voce a chi non aveva voce, la salvaguardia dei diritti degli ultimi alla loro dignità, la centralità del messaggio salvifico per ogni figlio di Dio. Il tutto in piena consonanza coi vescovi dell’America Latina riuniti a Medellín e Puebla. 

Sono noti a tutti gli equivoci che creò questa scelta agli occhi di un Giovanni Paolo II ossessionato dalla sua esperienza del regime comunista polacco e, per conseguenza, la sua inclinazione a vedere nell’anelito alla libertà reclamata dai poveri del tempo, solo la strada maestra per l’ingresso ufficiale dell’ateismo nel mondo cattolico. Su noi gesuiti fu attaccato il cliché del prete mezzo-ateo, guerrigliero, ambiguo, fanatico cultore della Teologia della Liberazione. Solo alla fine della sua vita il papa polacco (senza mettere in discussione la sua santità personale) divenne vero papa cattolico, universale. Ma intanto il sangue scorreva in America Latina, il desiderio di riscatto dei poveri veniva frustrato, i profeti venivano uccisi. Oscar Arnulfo Romero è una vittima illustre, ma con lui tanti veri cristiani, tanti miei confratelli e tanta povera gente fu assassinata da dittatori e da inconfessabili ”ragioni di Stato”. 

Non credo si possa tacere oggi che solo in questo quadro si può comprendere il cinismo e la crudeltà con cui furono sterminati i gesuiti dell’UCA, e insieme il pratico commissariamento della Compagnia di Gesù voluto dal papa e durato 27 anni (1981-2008).

Non voglio vedere come un puro scherzo della storia che dei fatti di 30 anni fa esista ancora un testimone credibile, padre Jon Sobrino (unico scampato alla mattanza salvadoregna perché fuori sede quella notte), ottantenne, puntuale e documentato narratore dell’eccidio, scomodo religioso che con la sua stessa presenza mette in crisi tanta politica vaticana del tempo attuale e tanta infedeltà alla Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri voluta dal Cristo.

La persecuzione però non è finita. Oggi ha un nuovo bersaglio: il papa gesuita contro cui si accanisce non solo il mondo dei poteri forti globalizzati, ma anche quello  clericale di quanti hanno confuso l’onere pastorale di una evangelizzazione davvero nuova, con la costruzione della propria grandezza mondana. Che strano destino ha quest’uomo «venuto dalla fine del mondo»! Odiano lui, se ne vogliono sbarazzare, lo vogliono almeno “commissariare”, ma in realtà il loro obiettivo è più alto: annullare il Vaticano II, mettere in soffitta il Vangelo, fare di Gesù di Nazareth non il Salvatore e la speranza di un mondo in tempesta, ma lo scomodo “sobillatore del popolo”. 

Forse neppure lui, papa Francesco, pensava di essere “compagno di Gesù” fino a questo punto, ma se va avanti turbato ed imperterrito, sorridente e benevolo, lo deve forse alla certezza che, avendo assunto «vesti e divise del suo Signore», è partecipe con lui nella crocifissione oggi, e nello splendore della Verità domani, alla venuta del Figlio dell’uomo. Voglio dire che se il sangue dei martiri dell’UCA è stato seme di un povero cristiano come Josè Bergoglio, forse siamo di fronte ad una silenziosa profezia: i piani di Dio non vengono annullati neppure dai volenterosi che continuano a fare tacere profeti e testimoni. 

* Foto di Archbishop Romero Trust - Johan Bergström-Allen tratta da Wikimedia Commons. Immagine originale e licenza

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