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Gli evangelici italiani: diritto alla residenza per i migranti

Gli evangelici italiani: diritto alla residenza per i migranti

ROMA-ADISTA. Il diritto alla residenza dei lavoratori migranti impegnati in agricoltura «serve a tutelare integrazione, sicurezza e legalità». È l’appello lanciato dalla Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei) che, attraverso il programma per rifugiati e migranti Mediterranean Hope, ha avviato un progetto nella piana di Gioia Tauro, dove migliaia di lavoratori agricoli immigrati vivono in condizioni precarie e, spesso pur disponendo di mezzi per affittare appartamenti in coabitazione, non riescono ad ottenere la residenza. «Questo ostacolo non ha fondamento giuridico e va rimosso, perché impedisce ogni seria possibilità di integrazione mentre, costringendo i migranti a vivere in baraccopoli improvvisate, crea isole di marginalità, umiliazione e insicurezza», spiega Paolo Naso, coordinatore di Mediterranean Hope.

«Chiediamo – prosegue – a tutte le istituzioni competenti di applicare la normativa rispetto al tema della residenza e del permesso di soggiorno, così come confermato anche da alcune recenti sentenze di tribunali che hanno ordinato l’iscrizione anagrafica degli stranieri muniti anche del solo permesso soggiorno richiedente asilo (provvisorio). Lo stesso appello lo rivolgiamo alle Prefetture ed agli organi competenti, perché applichino la legge nella prospettiva di favorire processi di integrazione e di combattere, al contrario, processi di degrado sociale che generano insicurezza sia per i migranti che per gli italiani.  Secondo la normativa vigente l’iscrizione anagrafica è un diritto soggettivo che va garantito anche ai senza fissa dimora e ai richiedenti asilo».

L'iscrizione anagrafica è infatti fondamentale, perché permette di avere la certificazione anagrafica e la carta d'identità, documenti che sono alla base di tutta una serie di altri diritti, come l’accesso alle misure di politica attiva del lavoro, la possibilità di ottenere una partita Iva o una semplice certificazione Isee o, ancora, la patente di guida.

«Al tempo stesso – conclude Naso – ci appelliamo a Prefetture e Questure perché riconoscano che tale documento, o altro documento che dimostri la permanenza sul territorio, non è legalmente necessario né per l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno, né per la presentazione di nuova domanda di protezione internazionale, né per il rilascio di un permesso di soggiorno provvisorio. Il rifiuto degli organi competenti al rilascio di un permesso di soggiorno provvisorio in mancanza di tali documenti priva i richiedenti asilo della possibilità di stipulare un regolare contratto di lavoro e, paradossalmente, di prendere in affitto una casa. Se si vuole davvero combattere l'illegalità occorre evitare che persone finiscano nel sommerso e non farli diventare fantasmi senza tutele».

Già la scorsa estate, durante il Sinodo delle Chiese metodiste e valdesi a Torre Pellice, gli evangelici italiani invitarono i sindaci a disobbedire al decreto sicurezza dell’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini e ad iscrivere all’anagrafe i richiedenti asilo perché potessero avvalersi dei servizi socio-sanitari essenziali. La parola disubbidienza non fu direttamente utilizzata, ma la sostanza era quella. Il Sinodo infatti approvò un ordine del giorno in cui, fra l’altro, invitava tutte le chiese locali «a chiedere che nei Comuni dei propri territori i sindaci autorizzino il rilascio della residenza, come già avvenuto in alcuni Comuni o a seguito di talune ordinanze giudiziali». Ovvero ad incoraggiare i primi cittadini a fare come il sindaco di Palermo Leoluca Orlando – seguito a ruota dal napoletano Luigi De Magistris – che, nonostante il divieto imposto dal primo dei due decreti sicurezza, iscrissero ugualmente all’anagrafe i migranti perché potessero beneficiare dei servizi comunali, assumendosene responsabilità e conseguenze (che peraltro non vi sono state). Oppure come il sindaco di Bologna Luigi Merola che, con una scelta più soft, lo fece dopo la sentenza del tribunale, accolta «con soddisfazione» e ovviamente senza opporsi.

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