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"Prigionia psicologica": tre preti tradizionalisti di Torino sotto indagine della procura

Tratto da: Adista Notizie n° 17 del 02/05/2020

40240 TORINO-ADISTA. Gli indizi sono quelli tipici dei movimenti settari: manipolazione psicologica e spirituale, isolamento, allontanamento dal proprio contesto familiare e sociale. Le conseguenze sulle vittime, anche: depressione, crisi di panico, paura. Eppure la Curia diocesana tace (anche se il 24 aprile è pervenuta ai preti della diocesi una lettera di mons. Cesare Nosiglia sulla procedura che intende adottare). La vicenda è quella che ha come protagonisti tre sacerdoti della diocesi di Torino – don Salvatore Vitiello, docente di Teologia sacramentaria all’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Torino, di Introduzione alla teologia e all’ecclesiologia alla facoltà di Diritto Canonico della Lateranense e alla Cattolica di Roma, coordinatore del “Master in Architettura, Arti Sacre e Liturgia” del Pontificio Ateneo Regina Apostolorum, Università Europea di Roma (l’Università dei Legionari di Cristo), dal 2010 e per più mandati assistente ecclesiastico dell’associazione Gioventù Ardente Mariana di Torino; don Damiano Cavallaro, 35 anni, già a Vinovo, don Luciano Tiso, 36 anni, parroco a Sant’Antonio Abate a Torino dopo un periodo a Ciriè – denunciati da una giovane donna per la “prigionia psicologica” cui è stata sottoposta insieme ad altre ragazze, e ora la Procura della Repubblica sta analizzando il caso.

Questi i fatti, su cui verte un’inchiesta a puntate condotta da Francesco Antonioli sull’edizione torinese di Repubblica (17, 18, 19 e 23/4). I tre sacerdoti, tutti e tre laureati in Teologia alla Pontificia Università Lateranense a Roma, tutti e tre di orientamento fortemente tradizionalista, legati al Popolo della famiglia di Mario Adinolfi (tutti compaiono come firmatari di un appello del 2018 di 62 preti e religiosi italiani a votare per il partito) portano avanti da anni un aggressivo reclutamento vocazionale tra i ragazzi delle loro parrocchie, soprattutto ragazze (ad oggi circa una ventina quelle coinvolte), che vengono mandate in diversi monasteri, allo scopo di fon- dare un nuovo ordine monastico. E lo fanno con metodi tipici delle sette: creando, ad esempio – racconta Francesco Antonioli – un canale di comunicazione sconosciuto alle famiglie, distribuendo schede telefoniche dedicate, e con questo controllando ossessivamente la vita delle candidate alla vita monastica: «Ho dovuto chiedere il permesso per mettere il costume da bagno al mare – racconta la ragazza che ha denunciato nella sua deposizione –, mi hanno telefonato e inviato sms per sapere con chi fossi in macchina, di che cosa stessimo parlando, se mia mamma mi aveva detto qualcosa, per raccomandarmi il silenzio rispetto ai loro controlli».

Sogni di fede, segni di plagio

Poiché il reato di plagio giuridicamente non esiste più e le persone coinvolte sono maggiorenni, la questione è delicata. È intervenuta nella vicenda Marcella Pioli, presidente del Gris (gruppo di ricerca sulle sette) di Torino, che si è rivolta anche all’arcivescovo torinese mons. Nosiglia, ma i tre non si sono persi d’animo e hanno contrattaccato con una diffida per diffamazione. «Si evince – ha scritto Pioli – che don Vitiello, considerato capo di questo gruppo, svolge una azione di manipolazione mentale su ragazzi e ragazze che incontra e che palesano una qualche volontà di consacrazione. Allontana le persone dal nucleo familiare, controlla i rapporti con amici e conoscenti, isolando così il soggetto, il quale diventa totalmente dipendente. Il fine non giustifica i mezzi adottati, seppure per ottenere vocazioni».

Sta di fatto che sono almeno quattro anni che a papa Francesco vengono inviate lettere preoccupate sia di altri preti che di diverse famiglie. «Ci sentiamo in dovere come sacerdoti di non stare in silenzio davanti a quello che vediamo essere una caricatura del nostro ministero presbiterale», afferma un gruppo di preti della diocesi. «In apparenza sostengono la retta dottrina, ma nella verità dei rapporti e nell'ombra delle strutture costruite a proposito mescolano con dilettantismo psicologia e veterocattolicesimo al fine di piegare sul senso di colpa i giovani fedeli che ne vengono imbrigliati». Non solo: «Le voci più tragiche per raccontare quanto sta avvenendo sono quelle delle ragazze che hanno trovato il modo di spezzare la dipendenza e la cortina di bugia che le aveva strappate ai loro cari. Sono queste voci, insieme a quelle dei loro genitori, che la preghiamo di cuore di ascoltare nel loro dolore». «Mai finora avevo assistito a una situazione simile di “vocazione collettiva” – scrive un altro sacerdote –, di più ragazze che insieme sono invitate a lasciare le loro famiglie, anche con sotterfugi, e a non relazionarsi più con esse eccetto che con il padre spirituale». Finora però, non è successo nulla, e i tre preti continuano indisturbati la loro attività. «L'ennesimo caso – afferma un prete, docente della Facoltà teologica, intervistato da Antonioli – in cui la Chiesa fa una pessima figura per colpa di pochi e che rischia di oscurare il silenzioso lavoro di molti sul territorio». Il clima è molto pesante: il prete ha parlato sotto garanzia di anonimato per paura di ritorsioni. Nosiglia, da parte sua, non ha voluto essere intervistato.

Don Vitiello

Che Vitiello sia l’anima dell’iniziativa emerge anche dal fatto che sia lui il fondatore dell’associazione “Logos e persona”, con sede nel centro storico di Torino, pensata come “cassa vocazionale” in vista della fondazione del nuovo ordine. L’associazione, si legge sul sito, «intende porre di nuovo al centro le “grandi questioni del vero e del bene”, accogliendo la Persona del Logos eterno fatto Uomo quale nuovo orizzonte della vita e vera luce per la mente ed il cuore di ogni uomo. Vengono così promosse attività di approfondimento su tematiche di interesse scientifico, culturale e politico, attraverso dibattiti, incontri, congressi, conferenze, corsi di formazione, seminari, attività editoriali, viaggi e qualsivoglia altra iniziativa atta al raggiungimento dello scopo». Inoltre, l’associazione intende sostenere «in vario modo, la formazione universitaria di studenti meritori, italiani e stranieri, che condividano gli ideali dell’Associazione».

Vitiello si è fatto conoscere negli anni per le sue posizioni estremamente conservatrici. Nel 2006, nella sede dell’Unione industriale di Torino, accanto al card. Carlo Caffarra, al tempo arcivescovo di Bologna, e Marcello Pera, in quel momento presidente del Senato, alla presenza del centrodestra torinese, ecclesiale e politico, presentò il libro di Joseph Ratzinger su Le radici cristiane dell’Europa (Repubblica, 17/1/2006), celebrando, di fatto, la nascita del movimento teocon torinese con l’attacco al Rettore dell’Università di Torino Ezio Pelizzetti: «Inaugurando l’anno accademico deplorava don Vitiello – il Rettore ha elogiato “la via del dubbio come strada maestra contro i fondamentalismi”. Ecco un pensiero che va contro il nostro». Al termine dell’incontro, raccontano le cronache, don Vitiello attaccò il medico radicale Silvio Viale, che sosteneva contro Pera il diritto all’aborto e cui non era stato consentito l’ingresso, dicendogli «Lei dà la pillola per abortire? Come ha dichiarato un teologo francese, le confesso che mi dispiace che non l’abbia presa sua madre».

Lo stesso anno presentò, all’Augustinianum di Roma, l’edizione italiana del volume del 2003 (con prefazione dell’allora card. Joseph Ratzinger) Rivolti al Signore del teologo di origine tedesca Uwe Michael Lang, ricercatore alla London University, che rilanciava il dibattito sull'orientamento del sacerdote durante la celebrazione eucaristica. Occorre «contribuire a sdoganare un certo pensiero», aveva detto Vitiello in quell’occasione, promuovendo il ritorno alla liturgia preconciliare.

Nel 2007, a un’assemblea su «Sessualità e omosessualità» presso il liceo Curie di Grugliasco, alle porte di Torino, definì gli omosessuali “invertiti” («Ho citato Freud, che distingue fra orientamento sessuale ordinario, pervertito e invertito», si difese poi, La Stampa, 24/2/2007), affermando che erano votati all’infelicità e che il loro comportamento è innaturale («Non ho detto che l’omosessualità è innaturale», ha cercato di spiegare, arrampicandosi sugli specchi, «ho spiegato che l’ordinamento giuridico di un Paese non può essere contro il diritto naturale, e che l’esercizio dell’omosessualità non è comportamento conforme alla legge naturale»). L’assemblea si trasformò in una bagarre, con l’accesa protesta del presidente provinciale di Arcigay, tra gli invitati.

Nel 2009 don Vitiello difese, in una lunga intervista al sito bastabugie.it, la revoca della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani, fortemente voluta e realizzata da papa Ratzinger. Nel 2018 è intervenuto all’Assemblea nazionale del Popolo della Famiglia, sul cui quotidiano, La Croce, ha scritto per qualche tempo. È su suo disegno il prezioso fonte battesimale (rifinito in oro a 24 carati) della Cappella Sistina, inaugurato da papa Ratzinger nel 2012.

Reazioni ecclesiali ed ecclesiastiche

Torniamo all’inchiesta di Antonioli, che ha ricevuto moltissime reazioni, tra messaggi, commenti e testimonianze sia da parte di laici che di preti dell’arcidiocesi, molto imbarazzati per la situazione. Della vicenda pare si stia occupando anche il quartier generale della Cei a Roma e persino il Vaticano. Per molti non è una sorpresa («notizia appresa da tempo », è il commento di don Fredo Olivero), per altri è motivo di amarezza, come per il parroco di San Giacomo apostolo a La Loggia, don Ruggero Marini, che si sfoga su Facebook: «Tutti sanno e troppi professori sembrano complici. In Curia ci sono “vergognose lobby”. Non so se il vescovo è solo vittima. Nessuna caccia alle streghe, ma nessun Ponzio Pilato». C’è anche chi difende i tre preti, come l’ex vicesindaco nel primo mandato di Sergio Chiamparino, Marco Calgaro: «Eviterei di sparare a zero sui sacerdoti – dice – ne conosco due che a me paiono degnissimi». E l’avvocato Alessandro Martinez, che conosce bene don Damiano Cavallaro «che mi è stato particolarmente vicino quando a dicembre è mancata mia madre» e che non trova «rilievi penali nel racconto» della vittima, «evidentemente problematica, che alla fine ha liberamente deciso di non intraprendere la vita consacrata». E che non manca di etichettare Repubblica come «tempio del laicismo diventato guardiano del papa». Ma anche i laici impegnati sono profondamente a disagio, come Raffaella Capetti, che punta ferocemente il dito contro le ordinazioni sacerdotali fatte «perché ce n’è bisogno »: persone che vengono ordinate «senza discernimento e senza badare a chi ha la responsabilità della loro formazione e porta obiezioni, ai loro compagni di studi che ben li conoscono, ai parroci che li hanno conosciuti nel loro tirocinio pastorale». Col risultato di dover spesso «sostenere persone sconcertate, ferite o disgustate da questi preti di cui non abbiamo bisogno e che quando arrivano nelle parrocchie fanno disastri e dividono le comunità». E se poi si chiede ragione al vescovo, «ci si sente ricacciare al proprio posto di laici, peggio se donne: incapaci di discernere, non credibili, non autorizzati, e fatevi i fatti vostri che con i vostri pastori siete in buone mani».

Ma ci sono anche le testimonianze di chi ha vissuto storie molto simili quella denunciata: «Non dite che siamo contro la Chiesa – dice la mamma di una ragazza entrata in monastero – c’è gente magnifica, ci sono preti splendidi. Però, con la scusa della misericordia tra sacerdoti, si nascondono spesso fatti gravi. Non è così che è esploso il dramma della pedofilia?». 

* La cattedrale metropolitana di San Giovanni Battista, a Torino, in una foto [ritagliata del 2019] di Guilhem Vellut tratta da flickr, immagine originale e licenza

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