
A 5 anni dalla sigla, le multinazionali fossili rischiano di affossare l'Accordo di Parigi
Nel quinto anniversario dell’Accordo di Parigi sul Clima – il trattato internazionale sui cambiamenti climatici siglato il 12 dicembre 2015 dai 196 Paesi convenuti alla Cop21 – 18 organizzazioni non governative ambientaliste hanno diffuso il rapporto Five Years Lost. How Finance is Blowing the Paris Carbon Budget, che lancia l’allarme su 12 mega-progetti fossili i quali, se dovessero andare in porto, «causerebbero il rilascio di atmosfera di 175 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Un volume di CO2 sufficiente a esaurire metà del budget di carbonio rimanente per restare al di sotto della fatidica soglia di 1,5 gradi Celsius», prevista dall’Accordo di Parigi. Lo spiega sul sito dei comboniani Nigrizia Luca Manes, responsabile della comunicazione dell’associazione Re:Common, organismo italiano che ha partecipato alla realizzazione del rapporto.
Si tratta di progetti che avrebbero pesantissime ricadute non soltanto sotto il profilo climatico globale, ma anche sulla vita delle comunità locali e sulla tutela dei diritti umani. Eppure, spiega Manes su Nigrizia, «dalla firma dell’Accordo di Parigi a oggi, le principali banche e i fondi di investimento mondiali hanno finanziato le società attive in questi 12 progetti con circa 3mila miliardi di dollari. Un fiume di denaro che dimostra come, nonostante gli impegni e le politiche di disinvestimento adottate in questi anni da molti istituti, per il clima la finanza non stia ancora facendo la propria parte».
Il rapporto, prosegue il rappresentante di Re:Common, affronta per esempio il caso del Mozambico: nella regione nord di Cabo Delgado dieci anni fa sono stati scoperti enormi giacimenti di gas. Da allora è iniziata l’attività industriale di estrazione e, parallelamente, la devastazione delle foreste e le violenze contro la popolazione civile. Tra le cose, da qualche anno, la regione è centro dell’attività terroristica di gruppi organizzati, che hanno già provocato circa 1.100 morti e 100mila sfollati in tre anni. Così ha descritto la situazione Alessandro Runci di Re:Common, tra gli autori del rapporto: «In Mozambico la scoperta di enormi riserve di gas si è trasformata in una maledizione per le comunità locali. Oltre 600 famiglie costrette a lasciare la propria casa per far spazio alle infrastrutture dell’industria, mentre il conflitto si fa sempre più violento. È inaccettabile che il governo italiano stia finanziando questo disastro climatico e sociale».
Ci sono poi – in barba agli impegni globali sulla tutela dei diritti umani e sull’abbandono dei combustibili fossili – gli altri casi, come il gasdotto EastMed nel Mediterraneo orientale, la scoperta del petrolio in Suriname, le attività di fracking nel nord della Patagonia, l’estrazione del carbone in Cina, India e Bangladesh. Tutte iniziative sostenute dalla grande finanza internazionale, ma anche italiana.
Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.
Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!