
Primo piano. L’assalto che viene da lontano
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 3 del 23/01/2021
L’impensabile è accaduto in diretta, davanti agli occhi del mondo, rimbalzando dalle Tv ai social. Segna un prima e un dopo, una frattura da cui non si potrà più prescindere. E che ci riguarda tutti da vicino, noi in Europa e soprattutto noi in Italia, dove gli emuli del trumpismo sono così forti e hanno dietro folle di seguaci molto simili. Il 6 gennaio non è solo l’immagine degli Stati Uniti che è andata in frantumi, lasciando a Biden un’eredità pesantissima, è il concetto di democrazia occidentale che è entrato in crisi profonda. Se si può impunemente – perché così è stato – assaltare e invadere un Parlamento, il senso stesso di quest’ultimo è messo in discussione. Si potrà fare o minacciare di farlo molte altre volte. Perché gli arresti e lo stesso all’insurrezione” sono stati tardivi (la sinistra del Partito democratico li chiedeva fin dai primi momenti) e non potranno cancellare nell’immaginario la massima sede istituzionale del “Paeseguida”, carica di significati storici e simbolici, così violata. Non si potrà dimenticare la massa che avanza verso il Palazzo con i poliziotti che aprono le transenne (rischiano un’incriminazione pesante), poi l’ingresso quasi da “tappeto rosso”, le foto nelle sale, i piedi sulla scrivania, l’oltraggio voluto ai luoghi del “potere”, i vetri fatti a pezzi, i congressisti riuniti che lasciano tutto e fuggono per mettersi in salvo… e la scenografia ignobile montata all’esterno, addirittura con una forca, evocatrice di tempi davvero bui della storia del Paese. Mentre inosservata è passata l’immagine, quasi commovente, delle assistenti del Senato che, composte e impassibili, hanno avuto la lucidità, in mezzo al caos, di mettere in salvo le urne con i voti: le istituzioni democratiche che non cedono alla violenza, ma sopraffatte nel clamore mediatico.
Come è stato possibile? La risposta viene da lontano. Dai tempi di Reagan la destra ha trovato un crescente consenso sulla rivendicazione di un’identità bianca e cristiana che sembrava perdere centralità. Già allora masse di invasati erano state catturate dalla retorica aggressiva dei telepredicatori, con i loro raduni giganteschi e le emittenti a larghissima diffusione che sfruttavano le modalità tradizionali della religione revivalista piegandole a discorsi reazionari. L’immagine del nemico esterno – se non più il comunismo, l’Islam – finiva col rafforzare la polarizzazione razziale interna, mai superata, alimentando il senso di minaccia e di paura, così funzionale all’affermazione del leader. È stato facile per Trump inserirsi in questo percorso, soprattutto dopo un doppio mandato di un presidente afroamericano, che sembrava per i suoi interlocutori la fine di tutto. Su quel ceto bianco, soprattutto uomini, soprattutto di mezza età e oltre, con scarsi strumenti culturali la retorica della destra populista ha avuto facile presa. La conosciamo bene anche noi. L’uomo forte e unico, che però è anche “uomo comune”, anzi è “uno di noi”, che finalmente esprime lo stesso odio, lo stesso risentimento contro i “politici” – da cui lui è diverso – e contro il mondo della cultura, parlando con un linguaggio basso – soprattutto dopo l’alto profilo di Obama – e senza freni. Che dice “di pancia” quello che loro pensavano e non potevano dire. E che individua un “colpevole” della crisi – crisi sociologica, economica, ma anche psicologica, se pensiamo ai progressi delle donne –: i neri, le minoranze che scalzano i bianchi dalla posizione di privilegio che spetta loro in modo naturale, che li priva di quella “supremazia” che ora si può recuperare. È una bolla quasi psichiatrica quella che si crea intorno agli attuali leader populisti di cui Trump è (ancora e forse più di prima, ora che sarà anche “vittima”) il campione. Non si vedono le dinamiche socio-economiche reali, non si vedono gli interessi di classe che Trump rappresenta e incarna, ben diversi da quelli dei suoi sostenitori, non si vede neanche una gestione o non gestione drammatica della pandemia, anzi, il negare l’emergenza sanitaria oltre ogni evidenza diventa un punto di forza che consente di espandere l’iniziale base sociale.
«Vi amo, siete speciali», diceva mentre si consumava quello che non può non definirsi un tentativo di colpo di Stato, fino a indurre i maggiori social a espellerlo dal veicolo privilegiato della sua chiamata all’assalto. La violenza, al di là degli aspetti grotteschi e quasi folkloristici, pervade queste folle, è bene non dimenticarlo – si ha notizia di un’aggressione a una donna nera a Los Angeles in quelle ore – insieme al rischio sempre presente di adesione cieca, come nel nuovo movimento religioso del Q-Anon (divinità anonima) che quasi lo divinizza nella lotta contro il Male (la sinistra che vuole distruggere il mondo).
Ma forti sono anche le responsabilità di chi non lo ha fermato. Dal Partito repubblicano, che pur di vincere lo ha accettato e ancora oggi non ha avuto la dignità di sospenderlo perché non idoneo, come avrebbe potuto fare in base all’Art. 25 della Costituzione, alle Chiese protestanti che forse potevano fare di più per contrastarlo sul terreno squisitamente religioso, ai cattolici stessi. In un duro editoriale il National Catholic Reporter accusa i cattolici fra i collaboratori di Trump, i Pro-life, che lo hanno sostenuto, tutta la destra della Chiesa statunitense, i laici che «hanno ammiccato» al presidente che tagliava le tasse e dava sussidi alle scuole cattoliche, ai media come The Eternal Word Television Network (EWTN), che gli hanno fatto da cassa di risonanza. E esorta a un profondo mea culpa e ripensamento.
E la politica? Nulla ha fatto l’establishment democratico per contrastare veramente la deriva ultra-liberista che ha polverizzato i diritti del lavoro e impoverito e marginalizzato i ceti bassi e anche medi. Anzi, ha bloccato anche i tentativi al suo interno di affrontare almeno il problema di una riforma minimale del sistema sanitario. La rincorsa al centro per timore di perdere consensi ha lasciato un grande vuoto che la destra populista ha avuto facile gioco a colmare. Biden però ha vinto col sostegno attivo della agguerrita e preparata sinistra interna di Sanders, che è riuscita ad attivare giovani e minoranze. Con il trumpismo che resterà forte dovrebbe farne un punto di forza, per consolidare questa prima importantissima inversione di tendenza.
Cristina Mattiello è insegnante, saggista e giornalista, dirige il Centro Interconfessionale per la Pace (Cipax)
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