
Il Cile alle urne per la Convenzione costituente. E i vescovi escono dal silenzio
Fra pochi giorni, il 10 e 11 aprile, in Cile si terranno le elezioni per eleggere i 155 membri della Convenzione Costituente la cui missione sarà quella di redigere una nuova Costituzione, come espresso dai cittadini nel Plebiscito Nazionale del 25 ottobre 2020. La Convenzione si insedierà entro uno o due mesi (maggio o giugno) e lavorerà alla nuova Costituzione per un tempo fra i nove 9 e i 12 mesi massimo, quando sarà approvato il testo. Circa 60 giorni dopo (agosto 2022 circa), si svolgerà il Plebiscito per approvare o respingere la nuova Costituzione.
Che i cileni stiano aspettando con trepidazione un nuovo inizio democratico è dimostrato dai risultati del referendum del 25 ottobre scorso che chiedeva se si voleva una nuova Costituzione o si preferiva rimanere con quella voluta dal dittatore Pinochet. La prima opzione fu votata dal 78,27% dei votanti (contro il 21,73%). Un secondo quesito riguardava la scelta dell'organismo incaricato di redigere la nuova Carta: il 78,99 % dei votanti si espresse per una Convenzione tutta votata dal popolo – la scelta dei membri è appunto calendarizzata per il 10 e 11 aprile –, mentre all’altra proposta, quella di una Convenzione mista composta per metà da rappresentanti eletti e per l'altra metà dagli attuali parlamentari, andò il 21,01% degli elettori.
I vescovi sono stati, quanto meno in grande maggioranza, fra i cileni che hanno applaudito il nuovo corso politico-istituzionale del Paese. Colpiti dalla grave crisi morale degli abusi, per la quale tre anni fa papa Francesco chiamò a Roma l’intero episcopato, sono rimasti a lungo piuttosto defiliati, ma non assenti secondo quanto cinque di essi affermano nell’intervista collettiva pubblicata ieri dal quotidiano El Mercurio.
«Ovviamente la realtà degli abusi ha comportato molto lavoro, molto studio, riflessione e preghiera, in un contesto di perplessità, vergogna», ha detto mons. Fernando Chomalí, arcivescovo di Concepción. «Ma stiamo andando avanti, facendo giustizia e adottando tutte le misure preventive». La Chiesa cattolica però «non è stata assente dal dibattito, tanto meno ha mancato di riflettere, discernere e insegnare. Adesso lo si fa con altri mezzi e nel contesto di persone che vogliono ascoltare, oggi ci sono più attori, più modi di comunicare». «La Chiesa sta svolgendo un compito fondamentale a livello locale, nelle cappelle, nelle parrocchie, nelle scuole e nelle università, e soprattutto in ambito sociale».
Ed è il vescovo di San Bernardo, mons. Juan Ignacio González, ad annunciare parlando con il quotidiano che «pubblicheremo un documento con i principi essenziali riguardo al processo costituzionale. Per quanto riguarda la libertà religiosa, ci aspettiamo un regolamento più al passo con i tempi e non limitato alla libertà di culto e di coscienza come oggi. Che sia chiaro che il fenomeno religioso nei suoi vari aspetti è uno dei fattori essenziali per il bene comune».
Per il vescovo di Temuco, mons. Héctor Vargas, «il processo costituente è un'opportunità per generare un minimo di piattaforma sulla questione indigena». Vargas è uno di quelli che hanno più familiarità con il conflitto in Araucanía, dove i mapuche sono sottoposti a violenze e soprusi (v. Adista Noizie, n. 3/21). Durante il governo della presidente Bachelet, ha presieduto il Tavolo di dialogo che ha consegnato 70 proposte ancora in sospeso. «Tutto sommato», assicura ora, «sono molto fiducioso che ci sia un nuovo spirito trasversale per andare avanti e che possa aiutarci a trovare soluzioni».
In merito al processo costituzionale, il vescovo di Melipilla, mons. Cristián Contreras, auspica che «la Convenzione costituente sia un vero spazio di confronto e dialogo, e non riproduca stili conflittuali e minacciosi che hanno segnato l'ultima volta. La Costituzione è una sorta di "nuova casa" per il Cile. Lasciamo che gli elettori svolgano il loro ruolo nella democrazia, senza minacce o pressioni».
*Foto tratta da La Cttà Futura, immagine originale e licenza
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