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Parigi brucia?

Parigi brucia?

È dedicato al disastro ambientale antropico l'articolo di oggi di Doenico Gallo sul suo sito.

 

Parigi brucia? È il titolo di un film del regista francese Renè Clement (1966) che narra del fallimento del piano di Adolf Hitler di ridurre Parigi in cenere, dovuto agli scrupoli del governatore militare tedesco, il generale Dietrich von Choltitz e all’azione intelligente della resistenza francese.

Nell’agosto del 1944 Parigi fu risparmiata dal fuoco, ma oggi un fuoco molto più esteso minaccia non una singola città ma la terra intera. Epifenomeni di questo fuoco che minaccia la terra sono le centinaia d’incendi che, in questa settimana rovente in cui la temperatura ha raggiunto nel nostro Paese punte di 48,8 gradi, stanno devastando il Sud e le isole, mentre sulle altre sponde del Mediterraneo il fuoco devasta la Grecia continentale e le isole e infligge ferite gravissime all’Algeria dove sono morti 25 pompieri.

Il gigantesco rogo che da giorni insiste sull’Aspromonte ormai lambisce le Faggete Vetuste di Valle infernale, uno degli scrigni di biodiversità più importanti d’Italia, patrimonio dell’umanità secondo l’UNESCO.

Lunedi scorso è stato pubblicato il sesto Rapporto Ipcc, l’ente intergovernamentale delle Nazioni Unite che periodicamente misura la febbre della Terra.  Alla pubblicazione hanno lavorato 234 scienziati di 195 Paesi.

Il rapporto, già dalla sua prefazione ci annuncia una cattiva novella e avverte: “Il peggio deve ancora venire e a pagarne il prezzo saranno i nostri figli e nipoti, più che noi stessi”. I grandi cambiamenti climatici sono ormai «inevitabili e irreversibili», avverte il Rapporto: «Molti di questi cambiamenti climatici sono senza precedenti in migliaia, se non centinaia di migliaia di anni, e alcuni tra quelli che sono già in atto, come il continuo aumento del livello del mare, sono irreversibili in centinaia o migliaia di anni».

La soglia dell’aumento della temperatura media del pianeta di 1,5 gradi centigradi sarà raggiunta attorno al 2030, dieci anni prima del previsto, e anche se non si supererà tale soglia, preannuncia l’Ipcc, il pianeta subirà un aumento “senza precedenti” degli eventi meteorologici estremi. Non solo. Impatti come lo scioglimento dei ghiacci o l’aumento del livello dei mari sono ormai “irreversibili per secoli o millenni”.

Il rapporto, dice il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, è un «codice rosso per l’umanità»: senza tagli profondi e immediati alle emissioni di CO2, la temperatura sul pianeta salirà inesorabilmente ed andremo incontro ad una catastrofe. Nel 2019, le concentrazioni atmosferiche di Co2 erano le più alte degli ultimi 2 milioni di anni e quelle dei principali gas serra (metano e biossido di azoto) le più elevate degli ultimi 800.000 anni; negli ultimi 50 anni la temperatura della Terra è cresciuta a una velocità che non ha uguali negli ultimi 2.000 anni.

Come osserva Raniero La Valle (No, non è la fine, EDB 2021) “finora (cioè nelle ultime migliaia di anni) tutti abbiamo vissuto nell’idea che al Terra ci sopravvivesse, per un lungo, insondabile futuro”. Nessuno, prima d’ora, aveva mai pensato che potesse venir meno “questa bella d’erbe famiglia e d’animali” (Ugo Foscolo, I sepolcri). “Il tema della fine del mondo – prosegue La Valle – come eventualità possibile o addirittura inevitabile nel giro di pochi decenni e di qualche generazione, è entrato nel dibattito scientifico, nei livelli alti del pensiero politico e nei movimenti di massa che inascoltati gridano ai poteri costituiti di salvare la terra (...). C’è un dato sulla crisi molto serio, c’è un ritardo fra la novità intervenuta, la percezione cioè che il mondo è a rischio della fine, e le forme con cui il mondo continua a pensare a sé stesso; c’è uno scollamento, uno scarto fra la situazione qual è e la sua rappresentazione nella coscienza comune, tra il pericolo e l’allerta.”

Oggi non possiamo dire che l’allerta non sia stata lanciata. Le parole del rapporto Ipcc non potrebbero essere più crude e la fonte scientifica non potrebbe essere più autorevole.

Come si tradurrà questa conoscenza nel comportamento dei poteri responsabili della sorte dell’umanità?

Già la pandemia ci ha insegnato che nessuno si salva da solo e che l’umanità condivide un unico destino. Ma ancora una volta la reazione è stata quella di chiudersi nel ghetto dei propri interessi particolari, non si è riusciti nemmeno  a condividere i brevetti dei vaccini e dei farmaci salvavita. Al Sud del mondo sono state destinate le briciole e adesso il virus non debellato ci presenta il conto con nuove varianti sempre più aggressive.

Arginare la corsa al riscaldamento della terra è questione globale ancora più esiziale della pandemia. Al modello della competizione economica, politica e militare fra i massimi sistemi industriali del mondo (USA, Unione Europea, Russia e Cina) si deve sostituire con urgenza la massima cooperazione economica, politica e tecnologica per liberare la madre terra dai gas che la stanno soffocando.

È un’utopia, certamente, ma è l’unica strada che ci può garantire il futuro.

*Foto di dominio pubblico, immagine originale e licenza

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