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Emissioni militari: la società civile internazionale chiede alla Cop26 di darci un taglio

Emissioni militari: la società civile internazionale chiede alla Cop26 di darci un taglio

Una petizione della società civile internazionale – diffusa in Italia anche dalla Rete Italiana Pace e Disarmo che vi ha aderito – chiede ai governi del mondo, riuniti nella Cop26 che si è aperta ieri a Glasgow, «tagli significativi delle emissioni inquinanti militari». Con l’Accordo di Parigi del 2015, i tagli sulle emissioni climalteranti del settore militare erano stati lasciati al libero arbitrio dei singoli Paesi ma, sottolinea la petizione, «le forze armate sono grandi produttori di tali emissioni e non dovrebbero essere escluse dagli obiettivi di riduzione dei gas serra».

Non solo guerre e operazioni militari, ma anche addestramento, logistica, forniture e altre attività legate al settore, spiega il documento: «Le forze armate sono tipicamente i maggiori consumatori di energia tra le agenzie governative, ma storicamente c’è stata una riluttanza a rivelare i dati sulle loro emissioni». La spesa militare è cresciuta, sottolinea la petizione, anche in un periodo (quello della pandemia) in cui la gran parte dei settori produttivi si sono fermati e nel quale si è registrato un calo drastico del Pil globale: «Tali aumenti della spesa militare rischiano di rispecchiare gli aumenti delle emissioni, oltre a distogliere i finanziamenti dallo sviluppo sostenibile, dalla mitigazione e dall’adattamento al cambiamento climatico».

In merito alle emissioni climalteranti, le organizzazioni firmatarie chiedono ai governi più fermezza con l’industria militare e con le forze armate, che godono di maggiori privilegi e scarsa trasparenza rispetto al comparto civile.

Insomma, spiegano le associazioni, «i governi devono usare la Cop26 per impegnarsi a ridurre le emissioni militari di gas serra». Come? Fissando «chiari obiettivi di riduzione» coerentemente all’obiettivo di 1,5°C previsto dall’Accordo di Parigi; adottando meccanismi di reporting «solidi, comparabili e trasparenti», «verificati in modo indipendente»; imponendo anche alle forze armate una “rivoluzione verde” (efficientamento energetico, abbandono progressivo dei combustibili fossili e responsabilità ecologica); considerando l’impatto ambientale come una variabile decisiva nei processi decisionali su forniture e altre iniziative militari; sensibilizzando e informando i vertici dell’industria militare e delle forze armate; aumentando le sinergie, in ambito ambientale e climatico, con soggetti non militari e della società civile; destinando risorse opportune alle politiche interne di protezione climatica.

La petizione, lanciata in prima istanza dal Conflict and Environment Observatory, è stata firmata anche da numerose realtà internazionali (tra le altre, Amnesty International, Greenpeace, Human Rights Watch e Soka Gakkai International) e nazionali (per l’Italia, tra gli altri, Archivio Disarmo, Commissione Globalizzazione e Ambiente-Glam, Lega Obiettori di Coscienza, Rete Italiana Pace e Disarmo e Women’s International League for Peace and Freedom-Italy).

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