
San Saverio all’Albergheria. Chiude una delle comunità più vive del Mezzogiorno
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 40 del 13/11/2021
Nel 1984 un giovane docente della Facoltà teologica di Sicilia chiese e ottenne la ‘rettoria’ di una splendida chiesa tardo-barocca nel cuore del centro storico di Palermo. Il cardinale Salvatore Pappalardo non ebbe esitazioni: la chiesa di San Francesco Saverio all’Albergheria (il quartiere del mercato storico Ballarò), abbandonata da anni, era adiacente a un Pensionato gestito direttamente dall’Università degli studi e si prestava a diventare una sorta di cappella cattolica per docenti e studenti. Ma per don Cosimo Scordato, il nuovo rettore, l’aggettivo “cattolico” – che ha finito col designare una delle tante confessioni cristiane diffuse nel mondo – etimologicamente significherebbe “inclusivo dell’intero”, universale, planetario. Da qui la decisione che il tempio affidatogli diventasse la casa di tutti: una volta a settimana il luogo della celebrazione eucaristica secondo il rito cattolico (ma ospitando, secondo le circostanze, fratelli di confessione protestante o ortodossa); per gli altri sei giorni uno spazio a disposizione della città (assemblee sui problemi del quartiere, mostre di pittura e di fotografia, presentazione di libri, concerti musicali, tavole rotonde…). Così, in pochi anni, la chiesa di San Saverio diventava un punto di incontro per credenti in senso religioso e non-credenti (preferibilmente designati come diverso-credenti). Se nei primi mesi sembrava di assistere a scene dal film di Nanni Moretti La messa è finita – con due o tre vecchiette nella grande chiesa deserta – ben presto persone da tutta la città, anzi da tutta la provincia, vi confluivano attratte dallo stile accogliente della piccola comunità nascente e dalle omelie, leggere nel tono ma rigorose e impegnative nei contenuti, del presidente dell’assemblea celebrante. Persone omosessuali, divorziate, ex-preti ed ex-suore… chiunque trovasse chiuse le porte di altre chiese, trovava un sorriso e una mano tesa: un invito a confidare nella comprensione divina e nella solidarietà fraterna e sororale. Intorno alla chiesa fiorirono iniziative di ogni genere: da un centro sociale aconfessionale e apartitico a una trattoria gestita da una cooperativa di giovani, da un’agenzia di viaggi a una gelateria, da una scuola popolare di teatro a mille altre iniziative di cui parlarono giornali e televisioni di varia nazionalità. Non mancarono neppure libri (di o con Cosimo Scordato) che, via via, raccontavano le vicende del “San Saverio” (termine comprensivo di realtà giuridicamente distinte ma operativamente convergenti: la rettoria della chiesa “materiale”; la comunità cristiana e i gruppi ospitati nei locali della chiesa; il centro sociale auto- gestito con le sue diverse articolazioni interne per settori: doposcuola, spazio donne, spazio anziani e così via): da Fare teologia a Palermo. Intervista a don Cosimo Scordato sulla “teologia del risanamento” sull’esperienza del Centro sociale “San Francesco Saverio” all’Albergheria (Augustinus, 1990) a Uscire dal fatalismo. Un’esperienza di pastorale del “risanamento” (Paoline, 1991); da Le formiche della storia. Un itinerario collettivo di liberazione all’Albergheria di Palermo (Cittadella, 1994) a Libertà di parola (Cittadella 2013); da Dalla mafia liberaci o Signore. Quale l’impegno della Chiesa? (Di Girolamo, 2014) a Un Dio simpatico. Sguardo teologico sul contemporaneo (Il pozzo di Giacobbe, 2018).
Con l’autunno del 2019 don Cosimo Scordato, ormai settantenne, si è dimesso da rettore della chiesa di san Francesco Saverio, mantenendo solo la titolarità di una chiesetta vicina (San Giovanni Decollato) che – sorta come una specie di succursale nel medesimo quartiere – negli ultimi anni ha acquisito, grazie a operatori laici come Massimo Messina e la sua squadra di volontari/e, una propria identità autonoma di spazio sociale e culturale poliedrico. Alla festa di compleanno, fra altri ospiti all’insaputa del festeggiato, mons. Nunzio Galantino e Francesco De Gregori. Nessuno prevedeva, e tanto meno si augurava, che il successore “canonico” di don Scordato fosse un suo clone. Ma nessuno prevedeva, e tanto meno si augurava, che la successione avvenisse nel segno della discontinuità. L’arcivescovo don Corrado Lorefice ha nominato un prete quarantenne, incaricato di occuparsi della pastorale giovanile diocesana, non estraneo alle opportunità offerte da Internet e, dunque, propenso a dialogare soprattutto con il mondo universitario. Purtroppo, però, a dispetto di ogni altra possibile affinità, anche in questo caso è emersa la frattura terribile, all’interno della Chiesa cattolica, fra due “paradigmi” inconciliabili. Il nuovo rettore, infatti, è – del tutto legittimamente – interno alla logica ratzingeriana: esponente convinto e battagliero di una chiesa gerarchica, verticale, attentissima al rispetto letterale della “dottrina” e ancor più delle “rubriche” liturgiche, preoccupata di contaminarsi con la mentalità “peccatrice” della modernità “secolarizzata”. In poche parole: interno a quella ecclesiologia pre-conciliare che papa Bergoglio sta tentando di convertire all’originaria ispirazione evangelica.
Ma intanto, a due anni dal pensionamento del “vecchio” rettore, il bilancio del “nuovo” è scoraggiante: i membri della comunità – sorpresi e umiliati da rimproveri («È finita l’epoca del “tu” confidenziale al presbitero: ho studiato cinque anni teologia e non mi giro neppure se non mi si appella con il “Lei”»), sottrazione di responsabilità («Le chiavi di tutti i locali della rettoria sono in mio esclusivo possesso»), azzeramento di fiducia («Non devo certo dare conto ai fedeli delle entrate e delle uscite finanziarie»), pesanti ingerenze sulla prassi liturgica consolidatasi («A messa non possiamo perdere troppo tempo con i canti: la gente ha fretta»), rifiuto di qualsiasi confronto pubblico (nonostante la richiesta della comunità e dello stesso arcivescovo) – si sono via via assentati all’appuntamento domenicale, disperdendosi in altre chiese o abbandonando la partecipazione alle celebrazioni eucaristiche.
La vicenda non meriterebbe particolare attenzione se non avesse valenza simbolica, quasi a mo’ di metafora: paradossalmente spetta a vescovi, presbiteri e fedeli laici – oggi al di là della soglia dei settant’anni che si sono formati ai tempi del Concilio Vaticano II – criticare il clericalismo difeso, e praticato, da generazioni più giovani di trent’anni, formatisi nel clima controriformistico di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI.
Sappiamo tutti – tranne quanti si lasciano accecare volontariamente dalle illusioni – che ogni esperienza umana, specie se bella e autentica, implica una data inesorabile di scadenza. Ma per le comunità come per gli individui c’è modo e modo di morire. Quando è il pastore a disperdere il gregge – soprattutto perché le pecore non vogliono restare pecore – il rammarico e l’amarezza sono più gravi di quando la responsabilità ricade su lupi estranei e nemici.
Per il presente c’è poco da fare: ogni vescovo deve accontentarsi di fare il pane con la farina a disposizione (anche se resta un po’ strano constatare che diversi preti conservatori e tradizionalisti smettono di essere tali solo quando si tratta di obbedire ai pastori: sono, insomma, sì difensori del principio di autorità, ma a intermittenza). Non così per il futuro: se candidati al presbiterato dimostrano di non avere l’elasticità psicologica per rapportarsi alla pluralità dei fedeli (e manifestano la presunzione di voler insegnare come vivere a persone che hanno il doppio dell’età anagrafica e della saggezza acquisita), pur in regime di penuria di “vocazioni”, non andrebbero ordinati. Si potrebbe aggiungere che, una volta ordinati presbiteri (o presbitere!), dovrebbero essere incaricati/ e di guidare solo comunità che, avendoli/e conosciuti/e per un periodo sperimentale, ne condividessero la mentalità teologica e lo stile pastorale (come avviene in molte chiese sorelle di confessione evangelica). Ma qui si aprirebbe tutto un altro discorso.
Filosofo e saggista, Augusto Cavadi dirige a Palermo la “Casa dell’equità e della bellezza” (www.augustocavadi.com)
* Palermo, chiesa di San Francesco Saverio all'Albergheria in una foto del 2009 di costagar51 tratta da flickr, immagine originale e licenza
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