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Etiopia, tra guerra e sogni infranti

Etiopia, tra guerra e sogni infranti

È del 6 novembre l’annuncio di un cooperante italiano del Vis (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo), Alberto Livoni, arrestato dalle forze di sicurezza di Addis Abeba. Sempre dal mondo salesiano sono arrivate poi ulteriori sconfortanti notizie di arresti: 17 persone, per la precisione, tra sacerdoti e lavoratori laici, etiopici ed eritrei, sono stati prelevati forzatamente e deportati chissà dove. E poi ci sono anche numerosi dipendenti delle Nazioni Unite, tratti in arresto e accusati, anche loro senza prove, di collaborare con le forze ribelli, non più solo tigrine, che negli ultimi giorni si sono compattate e hanno iniziato una lunga marcia verso la capitale etiope, conquistando posizioni importanti e destabilizzando il potere centrale. La ritorsione autoritaria dell’ultimo anno, con la repressione militare della rivolta nel Tigray e con l’attuale campagna di arresti di massa sta incrinando ormai definitivamente l’immagine conciliante e democratica del primo ministro Abiy Ahmed Ali, che appena insediato sembrava incarnare le speranze di riconciliazione e progresso per tutto la regione del Corno d’Africa. Tanto che, una volta portato a casa l’eclatante e insperato risultato della pacificazione con la confinante Eritrea, nel 2018, è stato insignito addirittura del Premio Nobel per la Pace 2019. Solo un anno dopo, il 4 novembre 2020, la comunità internazionale ha però assistito allibita all’avvio delle ostilità contro il Fronte Popolare di Liberazione del Tigray (Tplf) nel Nord del Paese. Un conflitto dagli effetti umanitari devastanti, di cui molto si è denunciato (entrambe le parti in causa hanno dato fiato alle trombe della propaganda) ma di cui si sa molto poco, per via del contesto di isolamento comunicativo e mediatico nel quale si è svolto. E nel quale, molto probabilmente, si è dato libero sfogo a numerose violazioni dei diritti umani. A distanza di un anno, invece di placarsi, la guerra si è allargata ben oltre il Tigray, coinvolgendo etnie e regioni diverse, che ora hanno raggiunto un accordo politico e militare contro Abiy Ahmed.

Il tramonto del sogno di Abiy Ahmed” è anche il titolo dell’approfondimento proposto il 4 novembre dal sito del settimanale di informazione missionaria Nigrizia, firmato dal nuovo direttore, Giuseppe Cavallini, missionario comboniano per 30 anni in Etiopia. «Gli eventi di quest’anno hanno fatto precipitare in un baratro l’Etiopia, ritenuta fino a tre anni or sono (dopo la nomina di Abiy a primo ministro, nel 2018, e dopo l’attribuzione del premio Nobel per l’accordo di pace con il presidente eritreo Isaias Afeworki) una delle nazioni africane che inauguravano una democrazia finalmente non solo di facciata». I Paesi africani e la comunità internazionale confidavano in una sorta di effetto contagio di democrazia e riformismo anche per i Paesi del Corno considerati politicamente instabili, come Eritrea, Somalia, Sudan e Sud Sudan. Ma purtroppo, l’attuale conflitto (e un suo eventuale esito a favore dei ribelli) potrebbe affossare definitivamente ogni speranza riposta in Abiy Ahmed. «Con l’aggravante per il giovane primo ministro – spiega Cavallini – di vedersi appioppare l’appellativo di “Nobel guerrafondaio”. Ad oscurare la fama che Abiy si era acquistato a livello internazionale ha poi contribuito la brutale risposta dell’esercito federale che, una volta scacciato dal Tigray, ha chiuso le vie d’accesso alla regione semidistrutta, interrompendo le comunicazioni e bloccando la strada agli aiuti umanitari per le centinaia di migliaia di persone ridotte alla fame».

Gravi le responsabilità dei tigrini del Tplf, che dopo l’ascesa di Abiy Ahmed hanno temuto di perdere la rendita di posizione politica saldamente mantenuta per decenni in seguito alla caduta, nel 1991, del regime di Menghistu Haile Mariam. (v. Adista Notizie n. 42/20). «Ciò non nasconde tuttavia», approfondisce ancora p. Cavallini, «che Abiy abbia commesso gravi errori di calcolo politico, il maggiore dei quali consiste certamente nell’aver accelerato anzitempo, mettendo alla porta il gruppo tigrino, il processo di riforme, e aprendo lo spazio a tutto e a tutti, incoraggiando il rientro nel Paese degli avversari più accaniti del governo, ignorando ingenuamente l’agenda di chi da anni cercava di destabilizzare il Paese». Il comboniano accusa il premier etiope di ingenuità e inesperienza,ricordando che il suo desiderio di pacificare e “superare” le divisioni etniche «si è trasformato alla lunga in un boomerang per il suo governo. Non si sarebbe probabilmente giunti alla situazione odierna se Abiy non fosse stato così precipitoso nell’emarginare i vecchi alleati del Tigray, più esperti di lui sia in chiave politica che militare».


* Una vista di Addis Abeba. Foto di Sam Effron, tratta da Flickr, immagine originale e licenza

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