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Vescovi e preti sposati non “hanno abbandonato la casa di Dio”

Vescovi e preti sposati non “hanno abbandonato la casa di Dio”

Questo articolo di Rufo González (collaboratore di Moceop, MOvimiento CElibato OPcional. Ritirato da ogni incarico, dopo quarant'anni di insegnamento e di pastorale parrocchiale nel 2004, dedica il suo tempo allo studio e alla scrittura di spiritualità, a collaborare con ogni comunità cristiana che richiede il suo servizio) è stato pubblicato il 19 novembre scorso sul sito “Religión Digital” (www.religiondigital.com). Titolo originale: "Los obispos y presbíteros casados no “han abandonado la casa de Dios”». Traduzione in italiano a cura di Lorenzo Tommaselli.

L'articolo originale è consultabile a questo link

 

Questa teoria secondo cui i preti sposati “hanno abbandonato la casa di Dio” deriva dall’enciclica di Paolo VI sul celibato presbiterale (Sacerdotalis Caelibatus, 24.06.1967). Enciclica che realizza «la promessa già fatta ai Venerabili Padri del Concilio, ai quali dichiarammo il Nostro proposito di dare nuovo lustro e vigore al celibato sacerdotale [sic!] nelle circostanze attuali» (SC, 2). Al termine dell’enciclica il papa esorta i vescovi a non abbandonare i preti sposati: «Siamo sicuri, Venerabili Fratelli, che non lascerete nulla di intentato per coltivare assiduamente nel vostro clero, con la vostra dottrina e sapienza, col vostro pastorale fervore, l'ideale del celibato sacro e non perderete mai di vista i sacerdoti [sic!] che hanno abbandonato la casa di Dio, che è la loro vera casa, qualunque sia l'esito della loro dolorosa avventura, perché restano per sempre vostri figli” (SC, 95). 

Conoscete un vescovo che “non abbia mai perso di vista” questi preti? La sua attenzione è stata di tipo protocollare: eseguire le disposizioni del procedimento di secolarizzazione. Hanno continuato la tradizione perversa di secoli nel maltrattamento di questi preti, bollati come disertori, ribelli, risentiti, persino come traditori da parte del settore più fanatico. Non si sono avvicinati alla loro vita con rispetto e con l’amore di Gesù che “chiamò quelli che amò” (Mc 3,13) e non smette mai di chiamarli e di amarli, anche se la gerarchia li respinge.

Come ricorda santa Teresa d’Avila: “Dio presta attenzione più di noi e sa per cosa ciascuno di noi è fatto" (“Libro della Vita”, 22,12). Lo Spirito Santo, sempre fedele ai bisogni umani, ha suscitato movimenti di preti sposati (in Spagna: ASCE [Asociación de Sacerdotes Casados de España] e MOCEOP [MOvimiento CElibato OPcional]) per accogliere le centinaia di preti abbandonati dalla gerarchia. Questo è stato il sentimento di uno dei suoi fondatori: «Qualcuno doveva fermare quest’emorragia di pastori premurosi, con una passione per Gesù di Nazareth e con il desiderio di continuare a servire la comunità ecclesiale come battezzati e come preti» (Julio Pérez Pinillos: «Memoria grata. 40 anni di MOCEOP» n. 152-153 della rivista “Tiempo de Hablar. Tiempo de Actuar”, pp. 26-27).

Esemplari sono stati teologi, come José María Castillo: “Sento una profonda ammirazione per coloro che un giorno hanno preso la decisione di riorientare le loro vite anche a costo di abbandonare l’esercizio del ministero presbiterale...Questi uomini hanno avuto la libertà e il coraggio di prendere la propria vita nelle proprie mani, per condurre queste vite nella maniera in cui, a loro giudizio, più e meglio si adattasse alla loro umanità...L’impegno fondamentale... è che ognuno, secondo le proprie possibilità e le proprie condizioni, trovi il percorso più pieno della sua piena umanizzazione...In questo momento la cosa più ragionevole è affermare senza esitazione che ormai vi è la necessità pressante di affrontare con urgenza l’abolizione dell’obbligo del celibato ecclesiastico per i preti di rito latino” (“Preti sposati. Storie di fede e di tenerezza”. Moceop, Albacete 2006, pp. 339-355).

Il fondatore dell’ASCE, José María Lorenzo Amelibia, continua ad esercitare ampiamente la sua vocazione presbiterale con meditazioni evangeliche e commenti sulla vita di questi preti. Non molto tempo fa, in occasione della modifica del rescritto di secolarizzazione, scriveva su “Religión Digital”: “Dopo 50 anni il rescritto della secolarizzazione è cambiato…Almeno nel 2019 hanno eliminato le umiliazioni; non siamo emarginati come laici, ma continuiamo ad essere tanto emarginati come preti...Noi, preti secolarizzati, che abbandoniamo il ministero per imposizione della gerarchia - la volontà della maggioranza non era questa ma contrarre matrimonio - continuiamo ad essere preti e la volontà del Signore su di noi non è affatto cambiata, una volta che ci ha scelti. Ci ha amato e ci ama ancora...

In un modo molto semplice siamo stati accusati di “infedeltà”. Infedeltà a cosa? In nessun modo al ministero, né alla chiamata di Gesù. Continuiamo a sentirci preti ed a praticare il ministero all’interno della più stretta legislazione vigente, ma ci sentiamo completamente emarginati. Qualcosa è stato realizzato: la rimozione delle umiliazioni che abbiamo subito per cinquant’anni... Riconoscono unicamente il nostro ministero con l’obbligo di assolvere quando c’è pericolo di morte. Si comincia da qualcosa.

Un giorno abbiamo chiesto la dispensa da un voto che è stato imposto come obbligatorio per poter accedere al ministero. In un modo poco equo ci hanno detto che «non siamo degni di seguire Cristo perché abbiamo messo mano all’aratro e ci siamo voltati indietro» (Lc 9,62). Ma non ci siamo voltati indietro: abbiamo contratto un sacramento della Chiesa, il matrimonio... È guardare indietro il ricevere un sacramento? No. Volevamo continuare nel ministero da sposati... Ci hanno imposto di ritirarci e non lo hanno fatto con eleganza, perché ci hanno anche proibito di servire messa, di essere chierichetti...  

Gesù chiamò quelli che amò” (Mc 3,13). E ha amato noi, così come i compagni che esercitano il ministero...Il rifiuto nei nostri confronti lo ha fatto la gerarchia...È vero che ci veniva richiesto di rinunciare all’esercizio del ministero, ma questa rinuncia non è stata libera. Come se dicessero a una persona: “Ti taglierò qualcosa: la mano o la testa, cosa preferisci? E ovviamente tutti direbbero: la mano. Come si può poi rinfacciare il fatto che lui stesso ha scelto di farsi tagliare la mano?...Non odiamo nessuno, ma ci sentiamo emarginati. E per la cronaca, chi scrive questo lo fa senza alcuno spirito di rivincita. La mia età e la mia situazione mi impediscono di reintegrarmi nel ministero... Se fossi più giovane, l’avrei fatto. Ma quante vocazioni al ministero si sono perse e si continuano a perdere a causa dell’infelice legge del celibato!» (Blog dell’autore in “Religión Digital”, 25.01.2020).

Purtroppo questi fatti (opzione chiara per il ministero di questi preti, la rinuncia imposta a causa di un imperativo legale, l’autorizzazione e l’obbligo di esercitare in pericolo di morte - unico squarcio di bontà del legalismo clericale -, l’opposizione alla volontà di Gesù “che chiamò coloro che amò”, Mc 3, 13-14) sembrano preoccupare poco i gerarchi della Chiesa. La paura dei problemi prevedibili, l’attaccamento alla legge, il clericalismo che il celibato alimenta, il principio di autorità-potere... continuano a bloccare la maggioranza dei vescovi. È difficile spiegare il silenzio davanti al grido di tante migliaia di preti sposati in tutti i paesi, molti organizzati in associazioni piene di Spirito, che chiedono dialogo e cambiamento della legge. Non li smuovono neanche le comunità senza eucaristia, la mancanza di vocazioni, l’abbandono massiccio...

Grazie a Dio, il vescovo di Limburg, Georg Bätzing, presidente della Conferenza episcopale tedesca, appoggiando il Sinodo tedesco che propone di rivedere la legge sul celibato, ha dichiarato apertamente in questi giorni: “Credo che qui stiamo sostenendo un ministero che potrebbe benissimo essere collegato al matrimonio. E non siamo soli in questo...Vogliamo fornire argomenti perché questo potrebbe anche aiutare il bisogno dei sacramenti nella nostra situazione attuale. Questo non è solo un bisogno in Amazzonia, è un bisogno qui nel nostro Paese...Io non sono il vescovo per gli altri vescovi, ma per i credenti della mia diocesi. Hanno il diritto di sapere cosa penso e come mi posiziono. In questo senso, è un dovere interiore di coscienza quando dico molto chiaramente qua e là ciò che penso. Ho 60 anni. Il tempo della paura è finito. Quello era diverso” (Intervista a cura di Renardo Schlegelmilch realizzata il 12.11.2021 al sito www.katholisch.de).

 

 

 

 

 

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