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Ecco perché il "caso Djokovic" riguarda tutti: editoriale di "Aggiornamenti Sociali"

Un fatto “sportivo”, presto divenuto un affaire internazionale, giudiziario, mediatico e politico, che per due settimane ha tenuto sulle spine appassionati e non solo: si parla del torneo di tennis Australian Open e, nel caso specifico, della vicenda che ha visto come protagonista uno dei più forti tennisti del mondo, Novak Djokovic, non vaccinato contro il Covid e per questo trattenuto a Melbourne e poi espulso dal governo federale australiano, che consente l’accesso nel Paese solo ai vaccinati, per contenere il più possibile i contagi da variante Omicron.

In un interessante editoriale di Aggiornamenti Sociali il gesuita Giuseppe Riggio, nuovo direttore della testata, racconta il caso Djokowic come «una storia emblematica», che «accende i riflettori su tensioni e contraddizioni sempre più profonde nella nostra società».

Da un lato, il direttore affronta la copertura mediatica, quasi maniacale, della vicenda, raccontata dai media e dai social in ogni dettaglio, minuto per minuto. Riggio cita il celebre film “Truman Show” per descrivere l’esposizione totale del grande campione, sempre costantemente sotto la lente dei media e dell’opinione pubblica: «Ogni azione e dichiarazione di Djokovic e delle altre persone coinvolte è stata minuziosamente ricercata, vivisezionata, valutata e commentata».

Questa grande esposizione, prosegue Riggio, produce anche una sorta di “indotto” mediatico. Grazie al clamore suscitato sulla quarantena forzata del tennista nel Park Hotel di Melbourn, il mondo è venuto a conoscenza delle storie dei migranti che vivono «da anni in una sorta di limbo giuridico», rinchiusi in quell’albergo in attesa di un pronunciamento sulla loro domanda di soggiorno, «ostaggi di un sistema pensato per scoraggiare i flussi migratori e “proteggere” lo stile di vita degli australiani a costo di calpestare le vite e i diritti riconosciuti internazionalmente dei richiedenti asilo».

Altro aspetto di importanza cruciale, sottolineato dal direttore, è la gestione “politica” della vicenda: la macchina giudiziaria si è mossa rapidamente con un pronunciamento deciso e ferreo, per ragioni «di salute e ordine pubblico». «Dietro questa formula generica – spiega Riggio – si celano timori squisitamente politici: il fatto che la presenza di Djokovic potesse alimentare le posizioni no-vax nel Paese; il possibile impatto negativo sui consensi dell’attuale maggioranza nella prossima tornata elettorale, visto che nei sondaggi d’opinione le percentuali di australiani favorevoli all’espulsione del serbo erano altissime».

l’affaire Djocovic, insomma, afferma Riggio, rappresenta «una vicenda paradigmatica», «perché getta un fascio di luce su processi importanti e contraddittori, in cui siamo tutti immersi». La pervasività, a volte fuori controllo, dei media e soprattutto dei social network; l’ipocrisia politica delle norme che si impongono con fermezza nei casi più eclatanti ma che poi si finiscono tranquillamente nel dimenticatoio, per esempio, quando si tratta di calpestare i diritti dei rifugiati. Secondo il direttore oggi è difficile «tenere insieme la tutela dei diritti individuali e la salvaguardia del bene di tutti», come questa pandemia ha dimostrato. E proprio a partire da questo stato di crisi globale «si può riconoscere che è poco feconda la via dell’affermazione dei propri diritti, come individui o come comunità nazionale, nell’indifferenza rispetto la sorte altrui o a scapito degli altri. Neanche l’adempimento degli eventuali doveri è sufficiente, se non si accompagna con un’altra dimensione che va oltre la sfera di quanto deve essere fatto: il sentirsi responsabile dell’altro, consapevole che non vi è un vero bene per me che non lo includa in qualche misura, che non ne tenga conto. Questo è il campo più importante dove essere un numero uno».

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