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Nelle caverne della preistoria

Nelle caverne della preistoria

Tratto da: Adista Notizie n° 12 del 02/04/2022

La cronaca dell’aggressione russa all’Ucraina ci coinvolge. Il modo di raccontarla anche. Anzi, a volte non si capisce quale sia il confine tra informazione, fake e propaganda. D’altra parte, la brutalità stessa di ciò di cui siamo spettatori ci spinge a prendere posizione e a schierarci. E, in fondo, non possiamo sottrarci. Dovremmo sentirci direttamente interpellati da questa guerra e non perché abbiamo investimenti da difendere, ma come cittadini di un’Europa che, spesso, non sa parlare che con il linguaggio della moneta; dobbiamo sentirci corresponsabili del tracollo dell’Ucraina, delle false illusioni che abbiamo alimentato nel suo popolo, attraverso promesse frettolose di ingresso nell’UE e nella Nato.

Anche per questo, falliti i tentativi di accordo, Putin ha attuato il minacciato, inatteso ed evitabile intervento armato contro l’Ucraina. Il bombardamento e l’assedio delle città in questo primo mese di guerra, hanno provocato morti e feriti nei due eserciti e tra i civili ucraini, la distruzione di infrastrutture e quartieri, la fuga di milioni di profughi, mettendo in moto una inaspettata gara di solidarietà. L’intervento militare è stato motivato come una “operazione militare speciale” in difesa degli ucraini russofoni del Donbass, in guerra da 8 anni. Insomma, i russi uccidono contro l’espansione della Nato, per la propria sicurezza e per quella degli abitanti del Donbass: «Come un eunuco che vuol deflorare una vergine, così è chi vuol rendere giustizia con la violenza», si legge nel Siracide (20, 4).

Questa guerra sta già spaccando il mondo, i singoli Paesi, la politica, le Chiese, le comunità, ciascuno di noi. È la guerra tra la super potenza militare contro la “giovane” democrazia? È Golia contro Davide? Caino contro Abele? O è la “guerra” tra i valori dell’impero russo contro quelli dell’occidente “rammollito”, come ha lasciato intendere il patriarca di Mosca Kirill nella sua giustificazione della guerra? Di una cosa possiamo essere certi: può darsi che Putin riesca a strappare all’Ucraina una fetta consistente di territorio, ma i soldati russi non saranno mai visti come “i nostri” che arrivano a liberare dal presunto nazismo. Anzi, faremo da spettatori a un accumulo d’odio pari, se non superiore, alla radioattività dell’uranio sparso su quelle terre; e, come il decadimento della radioattività, anche quello dell’odio ha tempi spaventosamente lunghi.

Non dovremmo mai dimenticare che uccidere è una spaventosa aberrazione, sempre! Lo raccontano le immagini devastanti della guerra, quelle vere e quelle della propaganda. Insieme a parole che sembravano sepolte nei libri di storia; parole che avevamo stupidamente riservato ai conflitti degli altri, mentre noi orgogliosamente dicevamo che, invece, «l’Europa ha vissuto quasi 80 anni di pace»! Parole come assedio, fronte, trincee, stupri, ci fanno tornare al Medioevo; altre come missili ipersonici, bombe nucleari, droni, ci proiettano verso un funesto futuro. In realtà questa guerra, come ogni guerra, ci precipita nelle caverne della preistoria e ci interpella con le parole accusatorie di Salvatore Quasimodo: «Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo». Allora l’urgenza di questo momento è la fine, o almeno la sospensione, dei combattimenti per incamminarsi verso una pace difficile; perciò è nostro dovere tentare tutte le strade pacifiche possibili, perché in questa ora terribile non si senta soltanto la voce delle bombe ma si sentano anche le voci di quanti lavorano concretamente e senza armi per ottenere la pace, perché se si moltiplicano le iniziative della diplomazia ufficiale e di quella dal basso, si aprono crepe nel muro della propaganda armata.

Oltre ad essere unita sulle sanzioni alla Russia, l’UE è chiamata anche ad accogliere i milioni di profughi che si stanno riversando soprattutto nei Paesi che confinano con l’Ucraina. E già ne sono stati accolti tantissimi. Resta da chiedersi perché quello che riusciamo a fare per i profughi ucraini non siamo riusciti a farlo anche per gli altri. Intanto mi consolo con le tante belle storie di solidarietà. La più commovente è giunta dall’Eritrea, da dove mi è arrivata una piccola somma da destinare ai profughi, raccolta da una suora irpina che accoglie bambini abbandonati e orfani di un’altra guerra, questa purtroppo dimenticata; i ragazzi eritrei si sono privati della merenda per qualche giorno e il ricavato è stato destinato ai profughi ucraini.

È altresì confortante vedere che in moltissimi Paesi, movimenti laici e religiosi, partiti politici e istituzioni si sono uniti per dare più forza al grido di dolore che sale dall’Ucraina, e per chiedere che ci si adoperi con tutte le forze innanzitutto per un cessate il fuoco e per la pace. È indispensabile farlo in un momento come questo nel quale le diplomazie sembrano incapaci di proporre una via di uscita alla drammatica situazione. È indispensabile anche se qualunque risultato si riuscirà a ottenere sarà sulla pelle e sul sangue di troppi morti, feriti e profughi.

E tornano attuali le parole di Simon Weil: «Sembra di trovarsi di fronte a un vicolo cieco da cui l’umanità potrebbe uscire solo per miracolo; ma la vita umana è fatta di miracoli». Allora è venuto il momento di crederci ai miracoli!

Anche se preoccupato, sto scrivendo tranquillamente a casa mia e so che, invece, vivere sotto le bombe è tutta un’altra storia. So anche che le armi portano solo morte, se si aggredisce o se ci si difende; ma qui mi fermo e, con un po’ di imbarazzo, sospendo il giudizio su se sia giusto o no rifornire di armi gli aggrediti che hanno scelto di difendersi e resistere. Mentre, senza volerlo, mi ritrovo a fischiettare “Bella Ciao”!

Vitaliano Della Sala è parroco a Mercogliano (AV) e vicedirettore della Caritas diocesana di Avellino

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