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La fine di una guerra senza fine

La fine di una guerra senza fine

Pubblichiamo qui di seguito un intervento comparso a mo' di editoriale sulla home page del sito di cattolici democratici C3dem (www.c3dem.ir). L'intervento, espressione autorevole di una delle anime, tra le molte e diverse, in cui si articola il mondo cattolico e democratico di fronte al tragico conflitto innescato dall’aggressione russa, è scritto da Sandro Antoniazzi, ex segretario regionale della Cisl Lombardia. L'articolo originale è consultabile a questo link

 

 

Nella guerra in Ucraina ci troviamo di fronte a una situazione dove si continua a combattere, mentre sono pressoché ferme le prospettive di confronto politico.

Sembrano però perdere di peso le affermazioni di una parte dello schieramento occidentale secondo le quali è possibile “vincere” la guerra che, in alcune dichiarazioni di Zelensky, si spingono a volte sino a immaginare una riconquista di tutti i territori, Crimea compresa.

Sempre di più si sentono, invece, voci di esponenti politici europei che cercano di far presente l’esigenza di una trattativa con la Russia: ne fanno testo tanto il discorso di Draghi a Washington quanto le iniziative di Macron e di Scholz.

Del resto, è difficile pensare di continuare una guerra senza fine, come se fosse una guerra di logoramento reciproco.

Anche se non si volesse tener conto delle vittime umane quotidiane (quelle complessive, e non due morti qua e tre morti di là), la situazione sul teatro di guerra sembra chiara: la Russia ha rinunciato all’invasione dell’intera Ucraina, ma sembra ormai vicina alla conquista del Donbass.

Quando la Russia avrà completato l’occupazione del Donbass – con le relative conseguenze: introduzione del rublo, lingua russa, anagrafe russa, domani scuole russe – sarà difficile pensare di farla tornare indietro.

Quali sono in questa situazione le prospettive che si presentano?

Il fronte occidentale, sinora tutto sommato unito, sta approssimandosi sempre di più a un punto di stallo.

L’ultimo pacchetto di sanzioni fa fatica ad essere approvato, il che rende molto aleatoria la possibilità di ulteriori decisioni in questo senso.

Gli analisti intanto mettono in risalto il costo che ha per l’Europa l’adozione delle sanzioni, con il rischio crescente di una reazione negativa a livello delle popolazioni.

Inoltre, se le sanzioni hanno indubbiamente danneggiato la Russia, la rivalutazione dei prezzi energetici e la maggiore libertà propria di un sistema autocratico (ciò che ha prodotto il rafforzamento del rublo) le hanno consentito di non essere messa nell’angolo: decisioni estreme – niente più né gas né petrolio dalla Russia – sono razionalmente fuori dalla nostra portata.

Anche sul piano degli armamenti, da una parte iniziano a manifestarsi delle difficoltà (in Italia il terzo invio ha sollevato problemi, che rendono poco plausibile un eventuale quarto), ma soprattutto sembra che non basti il rifornimento di armi all’esercito ucraino per metterlo alla pari delle forze russe.

Non rimane dunque che lavorare perla pace, sapendo che questo significa per l’Ucraina la rinuncia ad alcuni territori, la Crimea e il Donbass, la prima già in mano ai russi da tempo, il secondo terra di permanente conflitto.

L’Ucraina in compenso vedrebbe riconosciuta la sua indipendenza come nazione e conserverebbe la zona Sud, con Odessa, essenziale per la sua attività di esportazione; il proseguimento della guerra potrebbe significare perdere anche l’area meridionale con lo sbocco sul mare e questo sarebbe una perdita irreparabile per l’Ucraina.

Se poi si dovesse parlare dei danni a livello mondiale, che questa guerra e il suo prolungamento determinano, l’elenco sarebbe lungo; e forse quello che sta facendo pensare i governi occidentali è una possibile rivolta dei paesi africani e arabi colpiti pesantemente dalla mancanza del grano.

Un po’ di toni meno bellicosi e di affermazioni trionfalistiche (come se la decisione di Finlandia e Svezia di rinunciare alla neutralità e chiedere l’ingresso nella NATO fosse un passo avanti e non un passo indietro) e un po’ più di sano realismo, forse, sarebbero un orientamento migliore da tenere nei rapporti internazionali.

 

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