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"I padroni della Terra": Rapporto 2022 della Focsiv sull’accaparramento della terra

È stato presentato ieri, a Roma, al Senato, il V° Rapporto “I padroni della Terra. Rapporto sull’accaparramento della terra 2022: conseguenze sui diritti umani, ambiente e migrazioni” elaborato dalla Focsiv (Federazione degli Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontariato), nell’ambito della Campagna “Abbiamo riso per una cosa seria”, iniziativa ventennale volta a sostenere l’agricoltura familiare contro le grandi operazioni di accaparramento. «Presupposto delle cinque edizioni del Rapporto – si legge nella presentazione del documento - è la consapevolezza che la terra, soprattutto quella fertile e l'acqua salubre, sono risorse che si stanno esaurendo, in un mercato globale che tutto fagocita con un modello sviluppista ed estrattivista».

Un dato molto preoccupante emerge dal lungo (300 pagine) e dettagliato Rapporto: non solo «sono pari a 91,7 milioni di ettari le terre accaparrate in questi ultimi 20 anni a danno delle comunità locali, dei contadini e dei popoli nativi», ma il fenomeno può essere amplificato a causa della competizione tra blocchi geopolitici a discapito delle comunità native. Va osservato innanzitutto che il fenomeno si concentra in alcuni Paesi: il più coinvolto è il Perù con 16 milioni di ettari, a questo seguono a distanza il Brasile e l’Argentina, l’Indonesia e la Papua Nuova Guinea; nel continente africano il Sud Sudan, il Mozambico, la Liberia e il Madagascar, mentre in l’Europa orientale vi è l’Ucraina, caso «emblematico» di Paese in guerra.

Più in dettaglio, il comunicato di presentazione del Rapporto riferisce che «dei 60 milioni di ettari di superficie totale dell’Ucraina, il 55% è classificato come terreno coltivabile, la percentuale più alta in Europa. A milioni di abitanti dei villaggi ucraini, con la privatizzazione dei terreni durante il processo di riforma agraria, sono stati assegnati piccoli appezzamenti di terreni – in media quattro ettari – che in precedenza, sotto l’Unione Sovietica, erano di proprietà statale o comunale. I grandi investitori con il tempo hanno aggirato il divieto di vendita della terra imposto dalla moratoria grazie alla messa in atto di contratti di affitto. La mancanza di capitale e la frammentazione degli appezzamenti ha costretto molti contadini dei villaggi ad affittare a cifre irrisorie la loro terra, oggi migliaia di questi appezzamenti sono concentrati sotto il controllo di grandi aziende agricole».

«La guerra dell’Est europeo, così come la pandemia prima, non ha rallentato il fenomeno – spiega la Focsiv -, anzi sono proprio queste crisi, come quella del 2008 con il crollo di Wall Street, che generano ed alimentano la competizione degli attori sovrani e di mercato più potenti per accordarsi con le élite locali appropriandosi di terre fertili e di risorse minerarie per il proprio tornaconto a discapito dei popoli che da secoli vi vivono».

Si mette anche in evidenza come «la digitalizzazione stia facilitando le operazioni di accaparramento con la creazione di registri e certificazioni digitali, mostrando come questa non sostenga i diritti alla terra delle comunità contadine, ma la loro frustrazione da parte di chi si appropria del potere. Le nuove tecnologie informatiche, in linea di massima, appaiono piegate agli interessi di privatizzazione e finanziarizzazione dei terreni. Mentre Facebook diventa uno spazio per il commercio della terra, situazione per la quale la piattaforma social si sente non coinvolta».

Il Rapporto analizza poi la situazione «drammatica» legata al land grabbing, «la deforestazione per lo sfruttamento delle risorse naturali – 11,1 milioni di ettari di foreste tropicali perse nel 2021 – a favore dell’espansione delle grandi piantagioni monocolturali. Le conseguenze sono pesanti e molteplici: perdita della biodiversità e dei relativi servizi ecosistemici, espulsioni delle popolazioni native e contadine, insicurezza umana e nuove tensioni».

I principali Paesi investitori e accaparratori sono soprattutto quelli “occidentali” più ricchi: Canada (quasi 11 milioni di ettari), Gran Bretagna, Stati Uniti (quasi 9 milioni di ettari), Svizzera, Giappone. Ma sono segnalati anche la Cina (5,2 milioni di ettari), l’India, la Malesia (4,2 milioni di ettari) e sede di imprese multinazionali come Singapore (3 milioni di ettari), il Brasile e la Russia, Paesi questi due contemporaneamente accaparratori e investitori.

Il Rapporto indica 10 raccomandazioni (un grafico riassuntivo a pagina 17 del Rapporto) che vanno nella direzione di una ristrutturazione del sistema alimentare internazionale, che possa sostenere il diritto alla terra delle comunità contadine e dei popoli nativi. Ne segnaliamo alcune: «Sostenere le lotte dei movimenti sociali, i difensori dei diritti umani, coinvolgendo le Chiese locali»; «Aumentare gli impegni degli Stati nella COP27 per ridurre le emissioni di carbonio»; «Introdurre nei trattati commerciali e degli investimenti clausole vincolanti per il diritto alla terra delle comunità locali»; «Promuovere la coerenza delle politiche riguardo il diritto alla terra dei piccoli contadini e dei popoli indigeni».

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