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La Bossi-Fini fa 20 anni: su

La Bossi-Fini fa 20 anni: su "Redattore Sociale" il punto di Filippo Miraglia

È partita la campagna elettorale per le elezioni del 25 febbraio, in questa estate italiana arroventata dal cambiamento climatico e dalla caduta del governo Draghi. Sin dalle prime battute le destre del Paese – pronte a espugnare Palazzo Chigi in forza degli ultimi sondaggi – hanno ritirato fuori dal cassetto vecchi e logori slogan su sicurezza, protezione delle frontiere e immigrazione clandestina. Come se in questi ultimi anni l’Italia e il mondo interno non abbiano dovuto subire gli effetti nefasti di una pandemia e di una guerra, con il loro portato di crisi su ogni fronte (sanità, scuola, economia, inflazione, energia, clima, relazioni internazionali, ecc.) a svelare le reali questioni che dovrebbero turbare il sonno di governanti saggi e lungimiranti. Ma evidentemente, come appunto dimostrano le prime battute di campagna elettorale, la promessa del pugno di ferro contro i migranti continua a suscitare l’entusiasmo del pubblico di riferimento di Lega e Fratelli d’Italia.

Il Paese intanto si appresta a celebrare i primi 20 anni di vita della Legge n.189 del 30 luglio 2002, più nota come Legge Bossi-Fini. Redattore Sociale, in vista del triste compleanno, ha chiesto ad alcuni esperti di pubblicare una serie di riflessioni sul tema. Il 25 luglio è stato il turno di Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci.

In 20 anni nessuno dei governi di centrosinistra ha mai «inspiegabilmente» messo le mani su quella legge che nasceva esplicitamente, spiega Miraglia, per «rendere più incerta e precaria la vita in Italia ai lavoratori e alle lavoratrici immigrate, legandola in maniera patologica al lavoro. Persone poco gradite in pratica, che non potevano pretendere di costruire il loro futuro nel nostro Paese che, quindi, li considerava ospiti temporanei e non cittadini». Quel provvedimento, come anche i successivi interventi su “immigrazione e sicurezza” prendeva le mosse dall’«allargamento dello spazio del razzismo e quindi la costruzione del consenso elettorale intorno all’identificazione dello straniero come nemico: meno diritti hanno gli immigrati, meglio staranno gli italiani».

L’unico aspetto positivo della Bossi-Fini era l’istituzione del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR) affidato ai Comuni, soppiantato poi nei fatti dal sistema “straordinario” ed emergenziale di accoglienza dei CAS affidato alle prefetture, introdotto nel 2011, «che da allora ha sempre rappresentato la risposta principale dello Stato, alimentando un’idea sbagliata e negativa dell’accoglienza».

Leggi l’intervento di Filippo Miraglia su Redattore Sociale.

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