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Alla Comunità di San Paolo, un incontro con don Giulio Mignani

Alla Comunità di San Paolo, un incontro con don Giulio Mignani

ROMA-ADISTA. Un bell'incontro quello che si è svolto a Roma nella sala della Comunità cristiana di base di S. Paolo con don Giulio Mignani il 21 gennaio scorso. Circa 170 persone, in presenza e online, che si sono confrontate sui temi che hanno portato alla sua sospensione a divinis nell’ottobre scorso: unioni di coppie omosessuali, eutanasia e interruzione di gravidanza (v. Adista Notizie n. 35/22).

Voglio condividere qui qualche riflessione sullo spirito che ha animato l’incontro, più che sul suo contenuto (che è possibile trovare qui: http://www.cdbsanpaolo.it/cartella%20documenti/IncontroConDonGiulioMignaniFascicolo.pdf).

Insieme ai gruppi che hanno organizzato l’incontro (la Comunità cristiana di base di S. Paolo e i gruppi di cristiani LGBT+ di Roma), c'erano scout, genitori di figli e figlie LGBT+ dell’associazione Agedo e della rete 3VolteGenitori di genitori cristiani, parrocchiani di don Giulio, alcuni preti, membri dell'associazione Luca Coscioni e delle Comunità cristiane di base italiane, fratelli e sorelle di chiese evangeliche, e tanti altri/e.

Persone provenienti da percorsi e mondi diversi, cristiane e non, e con idee diverse sui temi che abbiamo affrontato. Potevano esserci contrasti e interventi divisivi, e l'ho temuto come moderatrice, invece ha vinto altro. Se sul piano delle idee potevamo stare su posizioni diverse riguardo a uno o l’altro argomento, c’era qualcosa che, forse senza averne piena consapevolezza, avevamo in comune e che ci univa: tante e tanti di noi avevano speso

pezzi della propria vita su qualcuno di quei temi, e non per averlo deciso a tavolino, ma, il più delle volte, per un incidente di percorso. Per essersi trovati davanti ad un ostacolo, averci inciampato, cadendo a volte, e aver deciso, rialzandosi, di camminare insieme ad altri ed altre, che avevano vissuto quella stessa esperienza.

C'erano tante persone LGBT+, che, dopo essersi nascoste, a volte per anni, dagli altri e anche da sé stesse, hanno deciso di vincere il senso di vergogna che le teneva inchiodate alla loro invisibilità e di venire allo scoperto, per iniziare un cammino di liberazione insieme ad altri ed altre, condividere le loro storie, darne testimonianza perché i loro vissuti potessero arrivare a cambiare il sentire, prima ancora che il pensiero sulla loro realtà.

C'erano genitori, che si sono ritrovati a far fronte al coming out di un figlio o una figlia, spesso arrivato come un fulmine a ciel sereno, e, camminando insieme ad altri genitori, hanno superato le paure e imparato a fare loro stessi coming out, per abbattere le barriere fatte di ignoranza e ipocrisie che causano la discriminazione dei loro figli nella società e nella Chiesa.

C'erano donne che non solo come cittadine di uno Stato laico, ma anche come cristiane si sono schierate con altre in difesa della legge 194 per l’interruzione di gravidanza, attraverso percorsi non facili, intrapresi per esperienze vissute in prima persona o perché avevano stretto le mani e guardato negli occhi donne che avevano abortito, e ci avevano letto dentro la solitudine, i sensi di colpa e la vergogna che le schiacciavano.

C'era Mina, la moglie di Piergiorgio Welby, che nel dicembre del 2006 aveva deciso di staccare il respiratore che lo teneva in vita. Da allora la sua vita Mina l'ha dedicata alla lotta per una legge in Italia sull'eutanasia.

Un ricordo personale. La madre di Piergiorgio, poco tempo dopo la morte del figlio, l'ho sentita dire: "dove non c'è posto per mio figlio non c'è posto neanche per me". Si era ritrovata con la bara del figlio davanti alla porta sprangata della chiesa di don Bosco a Roma. Il funerale si è svolto nella piazza antistante, perché qualcuno aveva deciso che suo figlio non era degno di un funerale in Chiesa. Aveva ottanta anni allora, era cattolica, praticante. Anni dopo l'avrei risentita quella frase, pronunciata da genitori cattolici di figli LGBT+ allontanati dalla Chiesa.I vissuti non si giudicano, si accolgono. Condividerli ci ha aiutato nel nostro percorso, non ad uscirne tutti e tutte con lo stesso pensiero, ma forse a farci rivedere le nostre idee sotto un’altra luce, a rileggerle con gli occhi di altri, a rielaborarle, avendo acquisito più elementi per farlo. Ma soprattutto ci ha fatto sperimentare vicinanza e condivisione con chi pensa cose diverse da noi, percorre altre strade, ed è mosso da credi diversi.

Non dovrebbe essere questo il cammino sinodale a cui papa Francesco e i vescovi ci hanno invitato? Un ascolto vero e profondo gli uni delle altre, mosso da una sana curiosità di capire di più le ragioni e il sentire di chi ci sta di fronte. Una contaminazione di vissuti. Un percorso da fare insieme prendendoci il rischio di non sapere dove ci porterà. Un vero cammino sinodale fa perdere il controllo a chi vuole gestirlo. È pericoloso. Per questo molti vescovi ne hanno paura. Per questo va fermato con provvedimenti chi, come don Giulio, ci ha creduto, ha toccato ferite, incrociato sguardi, lasciando che lo cambiassero dentro, chi, come lui, ha messo al centro e dato voce al Popolo di Dio e a chi per motivi diversi dalla Chiesa si è allontanato, a coloro che Giovanni Franzoni chiamava “pellegrini della ricerca, credenti o no nel Gesù dei vangeli. Tutti però credenti di non possedere la verità e tutti desiderosi di cercarla.

Grazie ai gruppi di cristiani LGBT+ che, insieme alla Comunità di S. Paolo, hanno organizzato lincontro, forse qualcuno di loro ponendosi qualche domanda: È conveniente e prudente ai fini della nostra causa, già tanto difficile, affiancare i nostri temi ad altri, come leutanasia e laborto, così scomodi per la Chiesa? La domanda è lecita e la risposta non è ovvia. Però una cosa possiamo dirla. Quando cera di mezzo lesclusione e la sofferenza umana, perché di questo abbiamo parlato, Gesù, qualunque ne fosse la causa, non ha mai ragionato con le categorie della convenienza e della prudenza.

Avremo tempo per rifletterci ed elaborare i nostri dubbi. Il cammino davanti a noi è lungo e niente lascia pensare che sia facile, ma è capitato che le nostre vie si siano incrociate ed è stato bello percorrerne un tratto insieme. impegnandoci nello sforzo di capire e di farci capire, misurandoci con la complessità in temi per i quali le semplificazioni, i sì o no secchi sono una scorciatoia fuorviante, sperimentando il tentativo di comunicare, prima ancora che idee e percorsi intrapresi, la passione che li anima. Un po’ di tutto questo è successo in quell’incontro.

È successo. Dunque può succedere.

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