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Giornata contro l'impiego di bambini soldato: l'IRIAD chiede coerenza alle potenze occidentali

Giornata contro l'impiego di bambini soldato: l'IRIAD chiede coerenza alle potenze occidentali

Si è celebrata ieri, come ogni anno, la Giornata Mondiale contro l’Impiego dei Minori nei Conflitti Armati, indetta dalle Nazioni Unite nel giorno in cui ricorre l’entrata in vigore, nel 2002, del Protocollo Opzionale alla Convenzione Onu sui Diritti dell'Infanzia che proibisce il coinvolgimento dei minori nei conflitti armati.

Ad oggi, però, l’ambizioso obiettivo di cancellare questa piaga dalla faccia della terra sembrerebbe solo un sogno ancora lontano da concretizzarsi. Infatti, scrive Maurizio Simoncelli (vicepresidente dell’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo) in una nota diffusa due giorni prima delle ricorrenza – come ricorda il segretario generale Onu António Guterres in un rapporto dedicato alla situazione dell'infanzia nei conflitti – «nel 2021 oltre seimila minori, alcuni anche di soli sei anni, sono stati arruolati ed utilizzati nelle guerre». Molti, troppi, i Paesi coinvolti nell’uso dei bambini in guerra: il rapporto parla di Afghanistan, Iraq, Siria, Yemen, Colombia, RDCongo, Nigeria, Repubblica Centrafricana, Mali, Nigeria, Sudan, Sudan del Sud, Somalia, Myanmar.

Simoncelli cita il caso, uno dei più eclatanti con 1.200 minori coinvolti, della Somalia, dove i bambini vengono rapiti per lo più dalle milizie jihadiste di al-Shabab, ma vengono anche impiegati in azioni militari anche da polizia ed esercito (quasi 200 i casi di coinvolgimento in forze “regolari”). Il vicepresidente IRIAD ricorda inoltre che in Somalia, ex colonia italiana, esercito e polizia «usufruiscono del supporto dei nostri militari».

I bambini e le bambine – rapiti in scuole e villaggi e strappati alla loro vita e alla loro famiglia – sono utilizzati in guerra come carne da macello, manovalanza per sopperire alla domanda crescente di soldati, attentatori kamikaze, spie, messaggeri, schiave del sesso. I bambini, spiega ancora Simoncelli, «sono sottoposti a violenze di ogni tipo, per piegarne la volontà: peraltro, i giovani possono essere facilmente indottrinati e trasformati, anche con l’uso di droghe, in spietati assassini, dato anche che per sparare con un mitra non ci vuole la forza fisica di un adulto».

L'Istituto intende riaccendere i riflettori su questa piaga globale in occasione della Giornata Onu, ribadendo l’urgenza «che i responsabili di questi crimini, considerati tali dal diritto internazionale, ne rispondano in tribunale e che la comunità internazionale agisca con decisione nei confronti dei paesi che li utilizzano». Le grandi democrazie, approfondisce Simoncelli «devono coerentemente non solo sostenere le azioni di recupero sociale dei baby soldiers, ma anche attuare politiche di pace e porre fine alle vendite di armi a quelli in guerra o retti da regimi liberticidi, nel rispetto delle leggi nazionali (185/90) ed internazionali vigenti (Arms Trade Treaty)».

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