La scomparsa dei giganti
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 28 del 05/08/2023
È terribilmente triste assistere, nella Chiesa, alla scomparsa di veri e propri giganti, fedeli laiche e laici, religiose e religiosi, preti sposati e preti celibi, e vescovi, che hanno contribuito a dare un volto alla Chiesa-altra, di base, nata dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Scompaiono fisiologicamente “le madri e i padri” che hanno provato a progettare e realizzare la Chiesa come «una umana realtà impregnata di divina Presenza» (Lumen gentium). E hanno contribuito a cambiare il volto della Chiesa più di quanto si immagini; grazie a loro è ormai impossibile pensare ad essa come un monolito, del tutto corrispondente al dettato dei numerosissimi documenti vaticani o alle oceaniche dirette televisive da piazza San Pietro.
La maggior parte, in modo silenzioso, ha sognato e contribuito a realizzare, in tanta parte della Chiesa, comunità “evangelicamente progressiste”, lillipuziane comunità pronte a proseguire quel cammino di rinnovamento iniziato con il Concilio.
A ogni necrologio sembra svanire quel sogno, lasciando il posto all’incubo sempre più reale, di una Chiesa tutta “impregnata” di sterile e reazionario tradizionalismo. Un incubo che, in realtà, ha iniziato a manifestarsi già durante e immediatamente dopo il Concilio tanto che, troppo spesso, questi profeti sono stati esclusi ed emarginati dai vertici della Chiesa, impegnati più a conservare potere e privilegi, che ad ascoltare la propria base. Ma non c’è da meravigliarsi se i discepoli, alle volte, anziché scappare seguono il Maestro fino alla croce! In fondo, l’esclusione ha tracciato lungo la storia della Chiesa una scia rossa di sangue e di dolore. Il “peccato di esclusione” ha macchiano e continua a deturpare il volto della Chiesa che, non di rado ha relegato ai margini autentici testimoni di Gesù Cristo, semplicemente perché urtavano il potere, e insegnavano a battere vie nuove, quelle strade su cui subito prendono a camminare gli ultimi, i poveri di Dio, e sulle quali invece inciampano, scandalizzati, i potenti.
In effetti spesso si è provato a preparare il “dopo” e alcuni hanno promosso incontri e discussioni sull’argomento. Ad esempio, dopo il contro G8 del 2001 di Genova, vista la presenza attiva della Chiesa nel Movimento cosiddetto no-global, con un prete della Versilia sognammo di invitare nella sua piccola parrocchia di montagna tutti coloro, preti e fedeli laici, vecchi e giovani, noti e sconosciuti, che avevano a cuore il futuro della Chiesa. Il titolo dell’incontro sarebbe stato “non porto la museruola”, da una canzone dei 99 Posse. Coinvolgemmo il direttore di Adista, il compianto Giovanni Avena (a proposito di giganti!) che fu subito entusiasta di mettere a disposizione la rivista che dirigeva per diffondere l’invito, la pubblicazione di un documento da sottoporre a tutti come base di discussione e, infine, le conclusioni dell’incontro.
Appena la notizia cominciò a circolare, apriti cielo! Da Roma arrivarono minacce e divieti, attraverso i vari vescovi dei preti che avevano espresso l’intenzione di partecipare. In segreto dirottammo l’incontro a Romena, ma non fu la stessa cosa. Fu un fallimento! Eravamo pochi e solo preti, e trasformammo la riunione in un mezzo ritiro spirituale, certamente utile, ma che non era quello che avevamo sognato. Le catacombe sono belle metafore, ma poi è lungo e complicato il cammino per arrivare alle “terrazze” da cui gridare quello che si è appreso in esse! Nessuno si meravigliò: purtroppo era “normale” in quei decenni di terrore ecclesiale “regnante” Giovanni Paolo II, o il suo entourage.
Oggi, nonostante i tentativi di papa Francesco, che ha provato a mostrare il volto misericordioso della Chiesa, c’è da chiedersi con onestà se la Chiesa cattolica si sia realmente liberata dalla necessità di emarginare, di escludere e di inquisire i propri membri che dissentono dalla maggioranza e che non pensano secondo il pensiero unico, o soltanto ha trasformato i tribunali dei processi, delle torture e dei roghi in un Sant’Uffizio del silenzio e dell’oblio. Certamente la violenza fisica non esiste più – spero non solo perché il braccio secolare non è più disposto a esercitarla in nome e per conto della Chiesa! – ma quella morale e interiore è completamente scomparsa dai tribunali ecclesiastici?
La Chiesa che chiede perdono per l’Inquisizione del passato e che riabilita, reinclude e fa santi gli eretici messi al rogo, veramente ha smesso di inquisire e di escludere? Penso che, purtroppo, il modello inquisitorio sia sempre latente nella Chiesa come in ogni società forte: il luogo di discrimine è il dissenso; il luogo di crisi è la profezia. Dissenso e profezia rivelano il livello inquisitoriale di ogni Chiesa e di ogni società. Sarebbe da ricordare fraternamente a papa Francesco che, finché tutta la “gerarchia” cattolica non risolverà la contraddizione per cui pretende il rispetto dei diritti umani all’esterno, mentre li nega al proprio interno, non potrà dirsi veramente superato il tempo dell’Inquisizione.
La scomparsa di questi veri e propri profeti della “Chiesa del Concilio” non ci deve intristire: essi sono vivi, e non solo perché risorti con il Risorto, ma anche perché la loro parola, i loro scritti e la loro testimonianza profetica li rende “vivi” con noi che dobbiamo raccoglierne il “testimone”, l’eredità da portare avanti, per continuare l’edificazione del Regno di Dio.
Quindi ora dovrebbe toccare a “noi”. Noi che dovremmo essere la “seconda linea”, ma che ci sentiamo tanto scoraggiati, impreparati e incapaci di portare avanti la realizzazione di quel sogno. Troppe cose sono cambiate, la Chiesa è cambiata e noi siamo cambiati. Viviamo la stessa crisi numerica e di valori della Chiesa e della società, e come potrebbe essere altrimenti! Certamente si dovrebbe ripartire dal Concilio che, “prevedendo” i rischi a cui la Chiesa sarebbe andata incontro, ha tentato di dare risposte “profetiche”, su cui bisognerebbe tornare a riflettere insieme.
Ci sentiamo nani di fronte a quelli che noi consideriamo giganti, ma che in realtà hanno incarnato e testimoniato quella parabola del vangelo di Matteo che racconta di un granello di senape che il contadino ha seminato nel campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi, e una volta cresciuto diventa un arbusto frondoso, il più grande non del bosco, né della foresta, ma semplicemente dell’orto, eppure «fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra»: paradigma della Chiesa-altra che tanti hanno sognato e che noi, ora, dobbiamo continuare a costruire. Una Chiesa inclusiva, che non emargina, non usa la pesante scure del giudizio contro nessuno, una «Chiesa degli esclusi e non dell’esclusione» (Jacques Gaillot), capace di accogliere, di portare tutti, proprio tutti, in seno, per realizzare quella “convivialità delle differenze” che sognava don Tonino Bello.
Anche noi dobbiamo essere disposti a convertirci, a cambiare, a sognare e a immaginare la Chiesa-altra, tirando fuori dal tesoro della Storia e della testimonianza di tanti profeti, “cose nuove e cose antiche”.
Forse siamo ancora in tempo per incontrarci e organizzarci; certamente siamo come quel seme di senape che, seppure tanto piccolo, è capace di compiere “miracoli”.
Vitaliano Della Sala è parroco a Mercogliano (AV) e vicedirettore della Caritas diocesana di Avellino
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