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Dall’esclusione all’esposizione. Un libro racconta i “marginali in processione”

Dall’esclusione all’esposizione. Un libro racconta i “marginali in processione”

Tratto da: Adista Notizie n° 2 del 20/01/2024

 

41722 ROMA-ADISTA. Spesso pensiamo che la rappresentazione ostentata e amplificata degli eventi sia una caratteristica esclusiva della società contemporanea. Se oggi la televisione, internet e i social media permettono a un evento collettivo di diventare planetario e di suscitare enorme emozione, oltre che formare un immaginario collettivo molto forte, quella della spettacolarizzazione di certi eventi è però una tendenza che ha attraversato i tempi ed era già caratteristica dell’età antica, come del Medioevo e dell’era moderna. Esibire qualcuno o qualcosa attraverso forme ritualizzate è stato spesso funzionale al modo con cui il potere ha inteso rappresentare se stesso presso le masse.

Va in questa interessante direzione la nuova ricerca appena pubblicata dalla storica del cristianesimo Anna Carfora (Marginali in processione. Mendicanti, ebrei e captivi riscattati nell'Italia di età moderna, il Pozzo di Giacobbe, 2023, pp. 186, €20), che muove i suoi passi da studi già condotti dall’autrice sul contesto mediatico dei giochi gladiatori e sugli aspetti comunicativi dei martirii avvenuti in quei contesti (in particolare nel libro I cristiani ai leoni. I martiri cristiani nel contesto mediatico dei giochi gladiatori, del 2009). Nello specifico, all’interno dei giochi, la storica aveva studiato alcune forme spettacolari applicate alle figure di margine politico e sociale come i noxii, letteralmente i “colpevoli”, cioè i condannati a morte nell’arena. La loro esecuzione avveniva durante una normale giornata di giochi. Vi sono testimonianze di sfilate “processionali” a cui, all’interno degli spettacoli gladiatori, questi condannati erano assoggettati. Più in generale, il mondo romano, sia di età repubblicana sia di età imperiale, ben conosceva le processioni dei vinti.

Anche in età moderna, quella su cui si concentra il nuovo studio di Carfora, si conducono in processione altre tipologie «di figure liminali come i mendicanti, gli ebrei convertiti e gli schiavi riscattati». Ciò che la studiosa intende indagare è un segmento specifico della questione, «quello degli allestimenti e svolgimenti di processioni e, soprattutto, la relazione che intercorre tra processioni di mendicanti verso la reclusione, ebrei verso il battesimo e ex schiavi riscattati verso la piena reintegrazione nel contesto di origine e di appartenenza». Ma cosa hanno in comune i noxii, tra cui alcuni cristiani destinati al martirio, i poveri condotti negli ospizi-case di lavoro dell’età moderna, i convertiti dall’ebraismo e i captivi liberati? «Tutti – afferma Carfora – occupano una posizione liminale all’interno dei contesti in cui si trovano inseriti e vengono esibiti e sottoposti al pubblico sguardo in messe in scena processionaliۛ».

Del resto, scrive Carfora, dagli studiosi «l’età moderna è stata interpretata come l’epoca in cui la paura del diverso si impadronisce della società». Processo già iniziato nel Basso Medioevo, ma che nei secoli successivi vive «un incremento, una sistematizzazione e una strutturazione delle modalità attraverso cui si affronta e si governa la marginalità, con un parimenti strutturato apparato ideologico a supporto».

Nella rappresentazioni e nel senso comune quello dei mendicanti è un “antimondo” che si oppone a quello regolamentato dalle leggi e dalla morale e «viene percepito come un insieme in parte sovrapponibile, o almeno che presenta molte intersezioni, con quello della malavita organizzata dell’epoca». «Mendicanti e vagabondi, dunque, non solo costituiscono un fattore di disturbo per i “buoni cittadini”, per la loro petulanza e per la loro puzza, ma una seria minaccia e un pericolo costante; assediano la civitas e attentano all’ordine pubblico». Per questa stessa ragione, paradossalmente, c’è un immaginario legato al povero “cattivo” e uno – uguale e contrario – del povero “buono”: «La stigmatizzazione furfantesca del povero», scrive Carfora, conosce infatti «l’alternativa del santo povero, il povero modello», disponibile a leggere in chiave spirituale il senso delle sue privazioni.

Nella seconda parte del libro vengono prese in considerazione le strategie e le iniziative messe in campo nei confronti di un’altra realtà marginale, gli ebrei, in particolare quelli convertiti al cattolicesimo. «Anche qui ci troviamo di fronte a forme di rinchiudimento, come i ghetti e le case dei catecumeni, ma anche a fenomeni processionali di battezzandi e neofiti, la cui dimensione comunicativa può essere messa a confronto con quella utilizzata nei riguardi dei mendicanti». Infatti, «come nel caso della reclusione dei poveri, anche nel caso delle conversioni di ebrei le motivazioni religiose e politiche si intersecano». Si tratta di normalizzazione religiosa da altre fasce di irregolari, sia che si presentassero nell’atteggiamento beffardo e irridente dell’eretico dell’incredulo, sia che esibissero con fierezza la matrice inconfondibile dei discendenti di Abramo. D’altra parte, attraverso queste processioni i cristiani assistono alla «grandezza del cattolicesimo e si rafforzano e rinsaldano nella propria identità e compattezza di religione. Si “piegano” i diversi che sono una costante minaccia alla propria verità». «Il trionfo della fede espresso dalle conversioni si configura come una grandiosa opera di rassicurazione identitaria».

Analoga la situazione degli ex schiavi liberati, specie se provenienti da paesi sotto il dominio musulmano: in tutti i casi si tratta le processioni rappresentano «un percorso di incorporazione guidato e accompagnato, un tracciato definito e obbligato che la società civile e religiosa impone a soggetti che in vario modo si pongono come quelli “da fuori”. Redimere, convertire e neutralizzare la diversità: per raggiungere lo scopo non basta che si facciano procedere i mendicanti, gli ebrei conversi e gli ex captivi; è tutta la compagine sociale che si mette in movimento sfilando, nei corpi che la rappresentano, nella processione». A chi non si integra si paventa la minaccia della reiezione e della punizione; per chi si “redime” c’è l’offerta dell’integrazione della protezione; alle masse che osservano si propone un tranquillizzante rifugio identitario. 

*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza 

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