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L’obbedienza di Maria, la fede e la politica

L’obbedienza di Maria, la fede e la politica

Tratto da: Adista Documenti n° 5 del 10/02/2024

Qui l'introduzione a questo testo. 

Sull’obbedienza

Noi cattolici reagiamo, non già in uno spirito di disobbedienza, ma in uno spirito di profonda obbedienza, quella obbedienza che entra nel merito delle cose, quella obbedienza che collabora con i superiori, che prospetta le possibilità, che suggerisce, che rassicura i superiori che non si vuol fare la rivoluzione nella Chiesa, ma si vuole semplicemente che i cristiani maturino; che non si vuole una Chiesa di fanciulli, che stanno lì a fare quello che gli fanno fare, non si vuole un gregge di pecore belanti, ma si vogliono piuttosto delle comunità mature. [...]

Esiste un concetto di obbedienza, da almeno 15 secoli, per cui l'essere discepolo di Cristo significherebbe che se l'autorità ecclesiastica diceva “questo è nero”, e io lo volevo bianco, è l'autorità ecclesiastica a stabilire quale colore è; ma questa è una distorsione del concetto di obbedienza.

Sotto questo profilo oggi sappiamo che, da questa dismissione dell'uso del dono della ragione che Dio ci ha dato, sono derivate piaghe immense alla Chiesa e alla umanità intera; si dice giustamente che quel tipo di obbedienza non è più una virtù, anzi è un difetto grandissimo, come è stato giudicato unanimemente.

L'obbedienza, come dimissione della propria ragione per accettare cose che vengono dagli altri, è stata giudicata esattamente a Norimberga: è stato chiarissimo che, per tutto il disastro del nazismo, ogni imputato si è giustificato dicendo “Ma io ho obbedito!”.

Quindi, forse, nel banco degli imputati ci sta anche l'obbedienza. Ripeto, non l'obbedienza come capacità di ascolto degli altri e di prendere su noi stessi il messaggio e riportarlo, non l'obbedienza come verità, ma l’obbedienza come dimissione della propria ragione: diventa una ideologia che viene tirata in ballo come si mette nel panino una fetta di salame, viene messa come un amo dentro un'esca; e dentro un discorso, che di per sé è liberante, passa invece una ideologia che di nuovo è funzionale alla rassegnazione, alla capacità persuasoria dell'ordine...

Vorrei fare un ultimo esempio che riguarda la condizione della donna. Anche qui, noi abbiamo una figura, chiara, bellissima di Maria Madre di Gesù la quale è disponibile di fronte al messaggio, è obbediente perché ascolta, quindi rinuncia, o meglio, è disponibile a rinunciare a un poco di sé. Stava per sposarsi con Giuseppe, quindi chissà che bei progetti aveva. Anche se rinuncia e accetta di inserirsi nella storia, forse non comprende i dettagli e questo la porterà sicuramente a grandissimi sacrifici che forse lei non intravvide. Certo, va a finire anche lei, se non sulla croce, sotto la croce del Figlio crocifisso, condannato, disprezzato da tutto il suo popolo.

Quindi Maria è una ragazza obbediente in questo senso, ma non è mai andata a provocare il figlio; non gli dice “Ma stai buono, piantala, non vedi che ti metti contro tutti quanti… ma stai buono, mettiti in linea, ma fattiti almeno degli alleati, non vai d'accordo con i sadducei? ma vai d'accordo almeno con i farisei. Ma insomma, mettiti con qualcuno, come pretendi da solo, con 12 straccioni, di cambiare qualcosa con il tuo popolo!”.

Non l’ha mai fatta questa cosa, Maria. Probabilmente dobbiamo pensare che per Lui è stata sempre nella dimensione di disponibilità in cui si è messa sin dall'inizio, accettando un disegno che veniva per la salvezza del suo popolo. Ci sarà sempre stata Maria su questa strada.

Su Maria, donna e madre

E noi vediamo che intorno a questa immagine si è creato un modello di donna; è stata predicata come un modello essenzialmente ideologico che pone la donna in una situazione di dipendenza. Gesù nasce, come dice il Vangelo, da una vergine. Bisogna dire innanzitutto che si deve cogliere questo evento della nascita del Messia da una vergine come un evento biblico che rappresenta un tema di speranza.

La potenza di Dio si rivela nelle situazioni deboli e sfortunate e le rende produttive, ricche e promettenti per il suo popolo. Quindi la nascita da una vergine è un grande tema biblico per cui i profeti, i giudici, i condottieri israeliti, nascono o da una donna sterile, o da una donna anzianissima, che non aveva più speranza di avere figli, o da una prostituta. In questo caso nasce invece da una vergine… ma la verginità non è vissuta come una situazione positiva, di privilegio, è una situazione infausta per una donna, come è per la figlia di Ester che viene condannata a morte e chiede al padre alcuni giorni per poter piangere la sua verginità, perché il segno della benedizione di Dio sulla donna era proprio quello di inserirsi nella storia del suo popolo, offrendo a esso dei figli. Quindi questo era il modo, per Maria, di inserirsi nel futuro nell'attesa del Messia.

Questo significa in realtà che l'Onnipotenza di Dio non è una potenza gratuita, ma è una potenza che si interessa proprio delle condizioni deboli. Allora avviene che un seno vuoto, sterile, morto e debole, non fecondato può generare invece vita e salvezza per tutto il popolo. Questo è il significato profondo. In questo non c'è una ideologia di privilegio delle vergini sulle donne non vergini.

Peraltro, in un ambiente radicale come quello dei seguaci di Marcione, nasce il discorso che Cristo non poteva avere un corpo materiale umano, ossia una cosa volgare. Questa idea discendeva da una concezione per cui la materia, come il corpo umano, era una cosa di per sé negativa e quindi Gesù doveva aver avuto un “corpo spirituale”. E allora, come quando risorse passò attraverso la lastra del sepolcro senza rovesciarlo, o come entrò nella sala del cenacolo dopo la Resurrezione e passò a porte chiuse, così quando nacque passò senza rompere l'imene di Maria.

Vedete che proprio da una tesi di carattere sostanzialmente astratto e ideologico, per lo meno in ambiente radicale, nasce questa idea astratta di Maria vergine, cioè integra, che diviene non più un evento che dà speranza, ma piuttosto un fatto che crea una stratificazione della gerarchia tra le donne, legandole tutte quante a questa aspirazione, a questo mito, a questo senso di superiorità.

E anche quando nel Vangelo si parla dei fratelli di Gesù, nell'interpretazione della Chiesa cattolica romana si dice che per fratelli si intendevano i cugini. Io non so, se successivamente Gesù ha avuto degli altri fratelli; non mi interessa. Però, di nuovo qui passa un discorso ideologico; per me potevano benissimo essere cugini e così io sono tranquillo e non ho problemi, però non voglio che questo discorso si trasformi in un discorso ideologico per il quale si vuole condannare la sessualità e quindi Maria, per la sua superiorità, non poté di nuovo sporcarsi con la sessualità e avere altri figli.

Di per sé l'evento deve rimanere nella sua capacità liberante e nella sua dimensione di speranza senza trasformarsi in una ideologia che lega la donna a quella condizione; perché tutte le donne hanno avuto l'aspirazione alla verginità, per lo meno fino al matrimonio, e quindi hanno avuto l'aspirazione a vivere in tempi separati questo privilegio che Maria ha vissuto.

E quindi la donna sente di diventare madre, di arrivare da donna vergine al matrimonio, quando diventa protagonista di se stessa, capace di decidere; in ogni caso, sia come vergine che come madre, è sempre legata alla casa, sempre legata al marito, sempre legata ai figli, sempre legata a una situazione di subalternità.

Voi direte: “ma l'immagine di Maria come madre la vorrei salvare!”. E io la salvo volentieri, perché tutte le volte che dicono a Gesù: “fuori ci sono tua madre e i tuoi fratelli che ti aspettano”, Gesù risponde «chi sono mia madre e i miei fratelli? Per me madre e fratelli sono coloro che fanno la volontà del Padre». Con ciò non la esclude dal lodarla come madre, ma non tanto perché deriva da un rapporto carnale, ma in quanto donna che si è inserita nel disegno della salvezza, si è messa nella storia del suo popolo accettando un ruolo di liberazione.

La stessa cosa sarà quando una donna, presa dall'entusiasmo, esclamerà e dirà a Gesù: «beato il ventre che ti ha portato, e le mammelle che hai succhiato»; lui risponderà: «beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio con obbedienza e la mettono concretamente in pratica».

Di nuovo si penserà che con questo elogio Gesù esclude Maria, ma qui non si parla del rapporto con le mammelle e con il ventre, perché Maria è stata colei che per prima è entrata nel disegno di salvezza e ha accettato la volontà salvifica del Figlio.

Quindi per noi, quali sono le madri cristiane? Quelle che stanno continuamente a rivendicare il rapporto affettivo e protettivo nei confronti dei figli, che li scoraggiano nel seguire le vie del Vangelo o la via della lotta politica, oppure le vere madri cristiane sono quelle che seguono l'esempio di Maria? Oppure sono quelle che si mettono accanto ai loro figli per seguire una via di liberazione e corrono con i loro figli i rischi conseguenti? Al limite diventano discepole dei loro figli, cioè accettano di crescere con loro, di imparare con loro, di ricominciare a vivere con loro. Non rimangono continuamente in un atteggiamento ansioso e protettivo proprio perché con il loro figlio sanno che la vita non appartiene solo a loro due, madre e figlio, o alla loro famigliola, ma la vita è del popolo ed è un popolo intero che si libera e va verso la salvezza.

Per questo i Padri della Chiesa antica quando le danno una denominazione la chiamano Eva e la vedono più nel rapporto di partner, sposa, compagna. La parola compagna qui significa colei che condivide il cammino; a quei tempi non c'era un significato diverso di questa parola. Alcuni Padri della Chiesa alla ricerca di nuovi nomi per Maria vollero dare questi: compagna, discepola. Quale gemma, quale decoro maggiore, quale titolo maggiore di essere la prima discepola di suo Figlio, e quale maggiore indicazione per le madri di oggi, spesso così apprensive e preoccupate che i loro figli facciano politica anche nella scuola. Quale maggiore esempio, per una donna, se non Maria che ha accettato il fatto accaduto quando a 12 anni ha portato il figlio a Gerusalemme e l'ha trovato a far politica come dottore nel tempio? E ha detto: «eravamo in ansia», e lui: «non sapevate che ero venuto per le cose del Padre mio?»; in questo modo Gesù ha subito fatto capire le cose che avrebbe detto più tardi: «chi non odia suo padre e sua madre non è degno di me». Non significa che bisogna odiare mamma e papà nel senso psicologico della parola, significa che padre, madre, fratelli e figli insieme devono trovare la dimensione della verità, non quella della protettività. E le madri scoprono e amano veramente i figli quando non amano solo i propri figli, che devono andare con i compagni per bene e non con le “mele bacate”, ma amano i figli di tutti, soprattutto i figli delle persone più povere e più maleducate, che magari dicono le parolacce; devono avere il coraggio di dire “noi abbiamo la responsabilità verso i figli di tutti”. Allora, in questa dimensione, si è discepoli di Cristo. In questo modo si prende per modello quella figura di Maria.

Vedete quindi, questo tipo di modello – e io sono convintissimo di non forzare così l'immagine biblica del rapporto tra madre e figlio, tra Maria e Gesù – è una immagine liberante per la donna, che le restituisce la sua possibilità di essere protagonista nel cammino di liberazione e non ai margini del discorso ad attendere qualche cosa dagli altri, ma veramente in una dimensione da protagonista, non l’immagine che lega la donna in un ruolo di dipendenza e le preclude la possibilità di assumere quello che oggi si richiede: la parità completa dei diritti dell'uomo e della donna.

Su fede e ideologia

Mi sembra di aver fatto alcuni esempi di ideologie che passano indebitamente attraverso la nostra predicazione; noi quindi siamo chiamati a un duplice rispetto: per il rispetto alla parola di Dio siamo chiamati a predicare solo quella e a non ficcarci dentro anche l'ideologia che non è propria del Vangelo. L'ideologia non si deve mai mettere nella predicazione, neanche quella di sinistra, francamente.

Quindi il Vangelo va annunciato così com'è; caso mai il Vangelo va letto dalla parte di Gesù e dalla parte dei poveri e dei malati di mente. Questo è il modo corretto di leggere il Vangelo, anche questo però senza intromissioni ideologiche, perché sennò lo si tradisce. Addirittura il tradimento è doppio quando il Vangelo viene imbottito di ideologia che ci colloca dalla parte opposta a quella delle lotte di liberazione portate avanti dalle classi subalterne.

Innanzitutto dobbiamo condurre questa opera di purificazione e di riappropriazione del Vangelo, proprio per recuperarlo.

In secondo luogo, e questo pure è assolutamente importante, bisogna togliere questo pilastro, questo strumento di consenso, questo strumento persuasorio, tanto più efficace quanto più intimo, che tocca i sentimenti più profondi dell'Uomo e della tradizione cristiana, nella quale permangono queste stratificazioni: parlo dell’elemosina, per esempio.

Bisogna discutere di elemosina oggi, che il mondo dei poveri ha acquisito dinamiche interne per cui si stanno aggregando non tanto intorno ai più poveri, come potrebbe essere l'indicazione dei Vangeli, ma intorno alla classe più forte, che è la classe operaia.

Noi come possiamo, come cristiani, dare una indicazione? Certo, al momento della nostra attenzione io, profeticamente, evangelicamente, mi metto, per esempio, accanto a un ospedale psichiatrico e dico: ecco là i più poveri, i malati mentali, le persone che non contano più per nessuno. Ma se devo amare i malati mentali, con chi li aggrego? Agli altri malati mentali o alla lotta della classe operaia?

Io so che un domani anche la salvezza del sottoproletariato, anche la salvezza degli ultimi sta in quella classe sociale che si è saputa dare per prima una analisi sulla società e sulla propria condizione di sfruttamento, che aveva i mezzi e la forza per imporsi e che ha condotto le lotte ed è diventata così il punto di aggregazione di tutto il mondo dei poveri e degli sfruttati.

Quindi io posso utilizzare politicamente le stesse tecniche del Vangelo; al momento però dell'intervento politico, io debbo sapere che devo comportarmi come la situazione storica richiede e quindi amare, ma razionalmente.

Una espressione molto indicativa ci dice che non si è discepoli di Cristo se non ci si lascia coinvolgere completamente nella situazione della persone bastonate e calpestate. Ce lo dice la parabola del Buon Samaritano, ma parla degli strumenti di quel tempo.

Io ritengo che la provocazione che viene dalla parabola del Buon Samaritano sia attuale ancora oggi in quanto non è più possibile intervenire con l'assistenza, con la beneficenza, con l'elemosina, ma bisogna lasciarsi coinvolgere fino in fondo nella condizione dell'uomo calpestato.

Voi sapete: con quali strumenti oggi si amano gli uomini che sono bastonati e calpestati? Questo il Vangelo non lo dice, e non lo deve dire. Questo lo dice invece la scienza di oggi e precisamente la scienza del proletariato, di quelle classi cioè che si sono date degli strumenti per uscire da questa situazione.

Non condivido il discorso che oggi chi lavora nel settore terziario non sia sfruttato. Si sa che sfruttati e sfruttatori si possono trovare ovunque; in tutte le classi sociali si trovano delle condizioni di subalternità, per cui qualcuno ha alcuni privilegi; ad esempio: un insegnante oggi ha le vacanze estive, ha un orario di lavoro meno pesante di un operaio alla catena di montaggio, ma non per questo oggi un insegnante non è sfruttato.

Però se io dovessi dire oggi ai lavoratori che l'asse portante dei discorsi sta tra i ceti medi, francamente direi che spero che un insegnante, ad esempio, ne arrivi a far parte, ma ancora oggi mi sembra che l'asse portante del discorso sia la classe operaia. Non perché necessariamente è la più sfruttata, ma perché di fatto è quella che ancora oggi è al centro delle lotte e che ha prodotto, fino a oggi, strumenti più avanzati di prassi rivoluzionaria. Di conseguenza è giusto che le classi si aggreghino e che la classe operaia cerchi l'alleanza con i ceti medi.

Sul rapporto fede/politica

Ma allora il discorso di fede dovrebbe avere una valenza politica? Non ce l'ha e non vedo perché dovrebbe averla. Il discorso di fede è un discorso che tocca la persona, le sue scelte e il suo modo di vivere nella comunità ecclesiale. Non come un fatto privato. Un fatto comunitario però non è un fatto che ha una valenza sul piano sociale; quindi cosa saranno domani i cristiani in una società nuova, in una società diversa? Come questa mattina che è emersa di nuovo questa questione che ci vessa e ci cruccia, domani, in una società ben realizzata, quale sarà la nostra funzione? È uscito fuori che nei cristiani, per la loro dimensione critica, per la loro propensione ad andare al di là, per una certa criticità nei confronti di ciò che è terreno (perché hanno una tendenza a valori eterni), per tutti questi motivi anche in una società socialista i cristiani saranno sempre, come dice don Milani, la coscienza critica del socialismo, lo richiameranno continuamente a non tradire sé stesso. Viene ricordata sempre la lettera di don Milani a Pipetta (Oreste del Buono) quando dice «oggi insieme cristiani e comunisti abbattiamo i cancelli… ma domani quando tu sarai in una posizione di potere io sarò di nuovo fuori e verrò a criticarti, perché tu avrai la posizione di potere». Io dico che questa lettera ha fatto tanto.

Io però questa concezione dei cristiani coscienza critica della società non la condivido; tra l'altro nemmeno nelle società socialiste noi pratichiamo questi espedienti. In una società come quella polacca, dove c'è una massiccia presenza dei cristiani, caso mai, questi sono in una posizione di contrattazione e di resistenza, sono in una posizione di coscienza critica della società socialista che ha le sue deficienze. In una società come quella sovietica, dove c’è una grossa presenza di cristiani ortodossi, non mi sembra che questi siano in una posizione di coscienza critica verso la società socialista. Nel caso della Cina (mi spiace da un lato, ma da un altro sono contento), hanno messo quasi completamente fuori causa i cristiani, o in ogni caso non hanno alcuna voce, ma hanno saputo fare a freddo una rivoluzione culturale su se stessi, una rivoluzione all'interno della rivoluzione.

Io sarò contento il giorno in cui i cristiani avranno il ruolo storico che concretamente avranno, ma intanto possono vivere la loro dimensione di fede; io non rinuncerei mai alla mia esperienza diretta col Cristo. E non intendo io perché ho fatto delle scelte pubbliche anche politiche, che non so fino a che punto siano state motivate dalla ragione o dal mio incontro con Cristo. Cristo lo testimonio nelle sedi appropriate, nella comunità ecclesiale, nel sacramento, però devo anche confessare che molte scelte sono fatte semplicemente con la ragione perché, insieme ad altre persone, si è constatata la necessità di adottare certi strumenti di intervento.

Quindi non si possono motivare anche le scelte politiche con il Vangelo alla mano; coloro che hanno fatto queste scelte esclusivamente con la ragione perché partecipavano a una condizione di sfruttamento, non sono i secondi della classe. Quindi un ruolo istituzionale prefissato, prevedibile, dei cristiani sul piano sociale ci sarà, secondo me, se i cristiani assolveranno o meno un ruolo nella rivoluzione. Se lo assolveranno saranno benvenuti, se non lo assolveranno la rivoluzione si farà lo stesso.

La dimensione di fede può essere vissuta con o senza la rivoluzione soggettivamente per cercare la valenza politica della coscienza.

Sul dissenso cattolico

C'è nella Chiesa una tale impermeabilizzazione, un tale senso di soffocamento, che, per esempio, a noi giovani studenti in seminario non era arrivato il contenuto che c'era nel modernismo; lo abbiamo letto sempre e soltanto in modo distorto nei nostri testi di apologetica, soffocando così brutalmente e indiscriminatamente i contenuti che c'erano nel modernismo. In questo modo la Chiesa cattolica ha perso una grandissima occasione storica di rivedere le sue posizioni per tempo e quindi ha perso 30-40 anni.

Oggi noi non staremmo a crucciarci e a batterci per queste questioni se fossero passate di attualità. Ci sono state altre componenti, come ad esempio tutto il movimento biblico, dove oggi le esegesi cattoliche, a livello scientifico degli specialisti, non producono controversie. Ci possono essere piuttosto spaccature fra protestanti di diverse generazioni; ci possono essere differenze di esegesi fra cattolici, e non solo nei convegni biblici, ma anche quando bisogna fare i conti con il magistero.

E con le dottrine delle singole Chiese (ma in quella evangelica questa saldatura è avvenuta) la possibilità oggi di leggere veramente la Bibbia con strumenti scientifici di approccio è veramente stata molto importante. La differenza rimane questa.

Però c’è stata proprio una seconda esplosione, e sotto questo profilo rimane la lettura dinamica del modernismo, perché questa volta è riesplosa nel mondo cattolico, ma come è il mondo cattolico ora. Quindi non più esploso sui libri e nei seminari: oggi il mondo cattolico è coinvolto in una grossa esperienza sociale e politica. E allora è esploso in modi nuovi, cioè è esploso nelle parrocchie questa volta, nelle comunità di base. Inizialmente è esploso anche in certi circoli culturali, ma lì ha avuto il respiro corto; invece nelle comunità che hanno condotto un discorso sul piano ecclesiale, perché provengono per lo più proprio da parrocchie, il discorso continua. E quindi oggi è veramente nato un movimento di base.

Quindi cominciando dal Concilio, che ha raccolto le spinte del movimento biblico, del movimento liturgico ed ha potuto mettere a frutto queste saldature di cui parlavo prima, si è prodotto il fatto che non si doveva più accettare solo ciò che veniva dalla esegesi biblica, al nostro interno, ma si è voluto utilizzare il Vangelo e i testi della Sacra Scrittura per leggerli, come diceva Batler in Concilio, in un modo nuovo, non più come testi staccati e funzionali a certe argomentazione ideologiche ma fare una lettura critica propria dei testi biblici. Questo ha fortificato il Concilio.

Quando poi il Concilio ha dato delle indicazioni molto generiche, ha scatenato in un mondo cattolico ormai stanco di certe formulazioni, di certe prassi, di un certo modo di criticare e di portare avanti la vita parrocchiale, ha provocato una reazione. E, in questo mondo cattolico, che forse non sapeva bene che cosa fosse il Concilio e quanto le tensioni fossero arrivate allo spasimo, questa rilettura del Vangelo ha provocato una reazione e le persone hanno cominciato a correre per conto loro e non è più possibile fermarle.

Quindi, quando si rimprovera all'attuale fenomeno, che io chiamo comunità di base e molti lo chiamano contestazione, si va al di là del Concilio. Contestazione significherebbe una rottura, ma una rottura non è stata mai voluta e neanche la si vuole. Immaginate un padre o una madre di famiglia che tiene dei ragazzi chiusi in casa per una settimana intera e che poi a un certo punto dica; “andate a fare un giretto di mezz'ora”: è chiaro che, aperta la porta dopo una settimana o un mese di repressione, quel ragazzo esce, ma altro che mezz'ora!

Tutto a un tratto esplode ciò che non era stato consentito: lo sblocco di certe situazioni, l'instaurarsi di rapporti nuovi tra prete e gente, lo stipulare rapporti veri con il proprio prete entro determinati limiti. Ma il Concilio non ha rispettato questi limiti perché c'era una contraddizione tra certi enunciati; da un lato si diceva di questa nuova immagine del popolo di Dio, dall'altra parte però si diceva che bisogna rispettare la tradizione. Questo era contraddittorio, era frutto di un compromesso per accontentare tutti; nel momento in cui si è andati ad attuare il Concilio, si è scatenata l’esperienza della contestazione, delle comunità di base, che tutto sommato non va vista con preoccupazione, è una fermentazione che dimostra la mentalità della Chiesa di oggi.

Ci si poteva attendere nel 1975, nel momento in cui la ricerca tecnologica è così avanzata, in cui i mass media sono così nelle mani del potere economico, in cui trovi in giro tanti film di evasione, in cui le folle sono concentrate negli stadi a vedere delle manifestazioni spettacolari, ci si poteva attendere un assoluto disinteresse per il problema fede, invece noi assistiamo al contrario.

Qualche giorno fa io mi son sentito profondamente commosso perché ero in concorrenza con la partita internazionale di calcio in televisione e allora ho detto: “stasera finiamo a schifio, vedrai che verranno quattro gatti” e invece c'era la sala piena! Anche i giovani avevano lasciato il televisore e la partita e venivano a discutere di fede. Allora io non riesco a comprendere l'angustia mentale di certe autorità ecclesiastiche che sono preoccupate di questo movimento, mentre dovrebbero essere felici che la gente consideri un problema di fede un problema vivo! Anche se il modo di discuterne segue ormai più un costume di oggi, in un dibattito aperto che è essenzialmente democratico, e non si accettano più certi tatticismi. E quindi questa modalità non è più funzionale al potere e non conduce al discorso del potere, che certe persone amano forse più che la fede, e quindi sono più preoccupate della difesa dell'ordine costituito che non di un ritrovamento della fede.

Ma questa è una lotta che non finirà qui; soltanto speriamo che non finisca come il modernismo perché credo che sia molto più preparata la base, più preparata l'esperienza della gente al movimento storico di liberazione politica e quindi ci siano consensi più ampi.

E tutto questo è determinato dalla condizione storica della Chiesa oggi.

Sull’obiezione di coscienza

Io riprenderei il discorso dell'obiezione di coscienza da come è nata, anche se l’origine non è più attuale.

Come era nata dunque l'obiezione di coscienza? Una persona diceva: io in questa faccenda non mi espongo, voi fate pure, io me ne tiro fuori. Io non sparo, io le armi non le voglio, io la divisa non me la metto.

[...] Ora questo modo di tirarsi fuori da un problema di coscienza, di cercare una purezza propria, è in fondo un esempio del vecchio moralismo cattolico, ma anche calvinista. Che tutto sommato però non si pone il cuore del problema, quindi io escluderei questo approccio al discorso. L’approccio dei testimoni di Geova, dei modi di manifestare la propria fede oggi in questo ambito francamente e personalmente non mi interessa.

Allora per me l'obiezione di coscienza non è mai un modo di uscire individualmente da una situazione, ma è sempre un modo di intervenire in una situazione in una prospettiva politica, un modo di denunciare e di entrare in una situazione; e allora qui bisogna molto ben distinguere, secondo me, quello che può essere coscienza che ha un suo risvolto politico, un modo profetico di entrare in una questione.

Ad esempio, l’obiezione di coscienza per la divisa: se chi la compie viene sorpreso a organizzare un gruppo fra soldati non è che la passa liscia, perché sempre chi fa politica in qualche modo paga di persona. Una discriminante fra colui che fa il gesto profetico di sfidare fin dall'inizio l'istituzione per negarla e chi fa un'opera di sensibilizzazione; e siccome noi siamo distratti, in effetti il processo dell'obiettore di coscienza in una città ha una forte risonanza, riscuote attenzione, tutti leggono il documento con cui si pronuncia quel tipo di istituzione, è un modo di responsabilizzare. Separare il cittadino dal resto della società, magari proprio in un momento delicatissimo della sua vita, ad esempio far passare il fervore di passione per un problema quando è studente, perché poi, quando uscirà dall'università, avrà il problema impellente di trovare lavoro, poi il problema di sposarsi, di trovare la casa e quindi si dovrà mettere a pensare ad altro, cioè subentra questo lungo periodo in cui uno viene spoliticizzato.

Allora io denuncio questo e penso: si rifiuta il servizio militare cercando un servizio civile alternativo, magari nei Paesi in via di sviluppo; qui, vedete, sono riusciti a far passare dei contenuti, delle immagini rispetto a un altro modo di servire l'Italia.

Perché ha servito la patria sempre e soltanto chi ha combattuto la guerra e chi invece è morto nelle acciaierie di Taranto non ha servito? Perché quando viene in visita in Italia un capo dello Stato straniero l'unico modo di onorare il nostro Paese è portarlo a onorare il milite ignoto? Io non ho nulla contro il milite ignoto che è morto, può essere anche il lavoratore l'ignoto che è morto, semplicemente “tirando la carretta”, ed è rimasto dentro la miniera o, come muratore, gli è cascata l'impalcatura addosso. Quindi noi dobbiamo onorare tutti: chi ha potuto scegliere, magari serve il Paese proprio rifiutando la struttura militare e chiedendo di lavorare tra i terremotati del Belice. Quindi io ritengo utile l’obiezione di coscienza, però bisogna stare attenti: un certo modo di far politica propria dei radicali in fondo è una politica diversa da quella di chi ha fatto la scelta socialista, che comporta di rendere istituzionali queste indicazioni.

A me sembra che dalla sinistra storica e parlamentare venga questa indicazione di fare un’altra scelta invece di andare nell'esercito, accettando di essere in contraddizione e accettando solo in periodo di pace l'istituzione militare, ma non il risvolto ingiusto del divieto di far politica e di mantenere un rapporto con la popolazione e con le forze politiche. Questa secondo me è una scelta più proponibile proprio come indicazione di massa.

Quindi oggi non sarei più per dare l'indicazione di una obiezione di coscienza politica di massa; stimo e rispetto moltissimo l'obiezione di coscienza personale ma l’indicazione di massa mi sembra non proponibile.

Poi capita che mi mettono in imbarazzo perché mi chiedono: “tu che faresti?” e io in questo momento non saprei, perché bisognerebbe valutare la situazione storica del momento per vedere se è più opportuna una obiezione di coscienza di tipo profetico e personale o se è più opportuno partecipare concretamente a una azione collettiva. Questo dipende dal tipo di lotta che stai facendo in quel momento e quindi francamente, se mi esonerano dal rispondere, sono grato.

*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza 

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