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Gaza e la guerra mondiale

Gaza e la guerra mondiale

Tratto da: Adista Documenti n° 9 del 09/03/2024

Qui l'introduzione a questo testo. 

La Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite, su iniziativa del Sudafrica, ha messo Israele sotto inchiesta per genocidio. E ha imposto a Israele di non commettere alcuna azione connessa a questo crimine.

La sentenza vieta formalmente a Israele di uccidere civili, di mettere a repentaglio in qualsiasi modo la loro sicurezza, e lo obbliga ad assicurare alla popolazione di Gaza tutti gli aiuti e l’assistenza necessaria.

C’è voluto un tribunale per guardare in faccia la verità e dire ciò che la politica della comunità internazionale da quattro mesi rifiuta di ammettere.

L’operazione di assedio, deportazione e sterminio condotta a Gaza è uno dei più tremendi crimini di guerra degli ultimi decenni, compiuto sotto gli occhi del mondo intero. Le sofferenze inflitte alla popolazione palestinese sono immense, e neppure l’enorme numero dei morti salito ormai a 27.000 ne riesce a dare conto.

A Gaza si stanno compiendo tutti i crimini di guerra possibili, in una magnitudine di orrore: è un salto enorme nella barbarie, non solo per chi la commette, non solo per chi la giustifica, ma anche per chi la guarda e piano piano, come sta accadendo, si abitua.

In Israele i familiari degli ostaggi continuano a manifestare per chiedere inutilmente che Netanyahu faccia ogni accordo possibile per riportarli a casa. E invece le forze politiche della destra israeliana fanno a gara nel proporre senza vergogna né pudore piani di deportazione definitiva dei palestinesi di Gaza, e invocano il diritto al massacro di un popolo intero.

Sono gli ultimi tragici frutti avvelenati di decenni di occupazione militare, di impunità per le continue violazioni del diritto internazionale e umanitario, della complicità e della ignavia della comunità internazionale.

Le speranze di pace degli anni 90 sono state fatte svanire nel nulla, senza che nessuno muovesse un dito. I palestinesi vivono in un regime di apartheid consolidato e istituzionalizzato, Gaza è circondata e chiusa da anni in un assedio illegale.

In Palestina si è deteriorato tutto, non solo la qualità di vita delle persone ma anche la politica, e nel popolo che era davvero il più laico e progressista del Medio Oriente. Israele è un Paese sempre più malato. Lo denunciano da anni i pacifisti israeliani, quanto sia pericoloso declinare l’insicurezza in chiave securitaria, militarista, colonialista e razzista.

L’oppressione non produce giustizia, né in chi la compie né in chi la subisce. È solo la politica giusta che genera giustizia. E la politica giusta pare scomparsa, in questo mondo. Eppure il Sudafrica che ha portato Israele alla sbarra è la dimostrazione che esisterebbe la possibilità, e che esistono anche gli strumenti, per non arrendersi alla barbarie.

Fra qualche giorno saranno due anni dall’inizio della guerra in Ucraina, che ha prodotto 750.000 morti. E anche di quel conflitto non si vede la fine.

Di fronte alla invasione russa, l’Occidente si è schierato con il popolo invaso e ha armato la sua resistenza. Di fronte all’occupazione israeliana, l’Occidente da sempre difende l’occupante. Due pesi e due misure, come sempre.

Il diritto internazionale riconosce il diritto alla resistenza dei popoli occupati, anche armata. Ai resistenti, come agli Stati, è fatto divieto di compiere crimini di guerra e di colpire i civili.

Alla comunità internazionale, come recita l’articolo 5 della Carta dell’Onu, di fronte alle occupazioni spetta invece il compito di ristabilire al più presto con misure politiche – non certo con le armi – la legalità internazionale.

Ma ciò non accade: anzi, la guerra e l’uso della forza sono tornate a sostituire la politica fondata su principi di giustizia, e non ci sono segnali di inversione di tendenza.

La sentenza della Corte Internazionale di Giustizia imporrebbe anche a tutti i Paesi membri delle Nazioni Unite il rispetto delle misure prescritte per prevenire il genocidio a Gaza.

Sarebbe un obbligo, a questo punto, smettere di essere complici del massacro. E quindi, ad esempio, la decisione di molti Paesi, e dell’Italia fra questi, di sospendere i fondi all’UNRWA per garantire aiuti e assistenza umanitaria è ora da considerarsi, oltre che sbagliata, anche illegittima e illegale.

In questo quadro, il governo Italiano persiste a muoversi in direzione opposta e contraria.

Senza mandato dell’ONU e senza voto parlamentare stiamo poi per prendere il comando tattico della missione ASPIDES nel Mar Rosso contro le azioni degli Houti yemeniti. È una missione potenzialmente offensiva, con regole di ingaggio fumose, che ci renderà attori attivi del conflitto in Medio Oriente e ci espone al coinvolgimento diretto nella possibile escalation.

Invece che contribuire a risolvere il problema alla radice, mettendo fine al massacro a Gaza, andiamo alla guerra.

Stiamo finendo mani e piedi direttamente coinvolti nella terza guerra mondiale che sempre più si avvicina a essere non a pezzetti, ma intera e globale.

Con il Medio Oriente in fiamme, la guerra nell’est dell’Europa, i conflitti africani, la grande deflagrazione che si prepara in Asia, gli esperti discutono sugli anni che ci separano da un vero conflitto mondiale, e molti Paesi europei cominciano a parlare di mobilitazione dei riservisti e del ritorno alla leva militare.

Il nostro governo aumenta le spese militari, annuncia l’invio di portaerei e F35 nell’Indo-Pacifico, e compie giorno dopo giorno i passi che ci portano in guerra.

Un disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri ha modificato le norme per le missioni militari all’estero, per accelerare i tempi della loro approvazione e per evitare il voto in Parlamento.

La Commissione Affari Esteri e Difesa del Senato ha modificato la legge sul commercio delle armi rendendo più semplice l’import/export, rendendo meno trasparenti e leggibili i dati: un favore ai produttori e ai mercanti di armi, e alle banche armate.

Non c’è altra via se non mobilitarsi in tutti i modi per fermare il genocidio a Gaza, fermare le guerre, i crimini di guerra, il riarmo, l’apertura di nuovi fronti. Basta con il neocolonialismo, i due pesi e due misure, le violazioni del diritto internazionale.

Facciamo il possibile per costruire il massimo di unità e di azione unitaria, rompendo tutte le gabbie mentali e ideologiche, intorno a poche essenziali richieste per Gaza, che è assoluta priorità di oggi: cessate il fuoco immediato e permanente, liberi tutti e tutte, fine dell’occupazione, autodeterminazione per il popolo palestinese, stessi diritti per due popoli.

Non abbiamo altre possibilità. Solo questa. E il tempo stringe.

Continueremo a tenere alta l’attenzione, a denunciare, a non cadere in semplificazioni: siamo a fianco del popolo palestinese, di chi in Israele si batte contro l’occupazione, e di tutte e tutti coloro che nel mondo si impegnano per una pace giusta e per l’uguale diritto dei due popoli al benessere, alla dignità e all’autodeterminazione.

*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza

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