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Elezioni in Senegal: una democrazia in buona salute, un futuro incerto

Elezioni in Senegal: una democrazia in buona salute, un futuro incerto

Nel contesto geopolitico dell’Africa Occidentale, segnato da violenze e colpi di Stato, l’esito delle elezioni del 24 marzo in Senegal è balzato agli onori delle cronache internazionali proprio per la sua “stravagante” normalità democratica. Il 25 marzo scorso, infatti, Bassirou Diomaye Faye ha vinto le elezioni presidenziali senegalesi, superando al primo turno il 50 dei consensi e sconfiggendo dunque lo sfidante Amadou Ba, rappresentante del partito di governo del presidente uscente Macky Sall, che ha concluso il suo secondo mandato.

44 anni, di origini contadine, segretario generale del partito Pastef (“Patrioti Africani del Senegal per il Lavoro, l’Etica e la Fraternità) fondato da Ousmane Sonko (principale oppositore all’ex presidente Sall), in carcere insieme a Sanko fino al 15 marzo scorso con l’accusa di diffamazione e liberato a pochi giorni prima del voto grazie a un’amnistia, totalmente inesperto di politica di governo, Faye ha avuto pochissimo tempo per convincere l’elettorato senegalese sul suo programma, incentrato per lo più sulla lotta al sistema politico senegalese corrotto, che avrebbe svenduto le risorse e la dignità del Paese e del popolo senegalese per interessi privatistici. Democrazia, divisione dei poteri, indipendenza della magistratura, lotta alla corruzione, rinegoziazione degli accordi internazionali su gas e petrolio, rilancio dell’occupazione, indipendenza monetaria dalla Francia (sostituzione del Franco CFA con una moneta regionale africana): questi i punti chiave dell’agenda di governo del nuovo presidente, che rappresenta una grande speranza, soprattutto per i giovani, ma che ora dovrà scontrarsi con la dura realtà degli ingranaggi di governo.

Dopo alcuni mesi di tensioni politiche – il presidente uscente Sall aveva imposto uno slittamento delle elezioni dal 25 febbraio scorso a dicembre 2024, scatenando una protesta popolare che l’ha costretto poi a fare un passo indietro, fissando infine le elezioni al 24 marzo scorso – l’elezione di Faye a capo della coalizione d’opposizione al governo sembra confermare lo stato di buona salute del modello democratico senegalese. «Il popolo senegalese ha fatto la scelta della rottura», ha dichiarato il vincitore, «per vedere realizzata l’immensa speranza suscitata dal nostro progetto di società civile». Amadou Ba e Macky Sall hanno riconosciuto la vittoria di Faye e si sono pubblicamente complimentati.

«Ci sono abbastanza elementi per rispolverare analogie alla Davide contro Golia», commenta il mensile comboniano Nigrizia. «Una forza politica esterna ai partiti tradizionali, che denuncia la corruzione e infonde nuove speranze nella popolazione, incontra la repressione delle forze al potere e infine la spunta contro i suoi avversari. È un lieto fine epico per i pro-Pastef. Lo è anche per tutto il Senegal? Questo sarà tutto da vedere e dipenderà molto dalla capacità di governance che Faye, Sonko e il loro entourage sapranno dimostrare. Il timore principale è legato qui, non tanto alla loro inesperienza come classe politica, quanto ad alcuni tratti populistici dei loro programmi». L’ultimo programma politico del Pastef – sciolto lo scorso agosto – di cui si ha memoria è un pamphlet che risale al 2018, in cui «si trovano ricette piuttosto generiche sulla gestione dello Stato. Con un’abbondante dose di panafricanismo e nazionalismo a legare il tutto. Per portare avanti la seconda economia dell’Africa francofona occidentale ci vorrà più di questo».

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