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Nativi canadesi e colonizzazione. “Uccidi l’indiano, salva l’uomo”
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 34 del 05/10/2024
Prendere un libricino tra le mani, soppesarlo, sfogliarlo e leggerlo tutto d’un fiato. Potrebbe essere questo l’effetto che fanno le Storie di un conflitto irrisolto tra il Canada e i nativi annunciate dal sottotitolo del libro di Pierdavid Pizzochero Kill the Indian, Save the Man (Editoriale Scientifica, pp. 102, 10 euro). L’autore prova ad esplorare un tema delicato, trascurato e forse, persino volutamente, rimosso: il genocidio compiuto in Canada dai colonizzatori ai danni delle minoranze native da un punto di vista culturale. Tenuta ai margini del dibattito pubblico occidentale, la questione, che si inquadra tra la fine dell’Ottocento e il Novecento, viene affrontata attraverso più chiavi di lettura. Chiavi di segno storico senz’altro, ma anche chiavi concettuali e tematiche che ampliano la comprensione nel quadro del percorso di giustizia riparativa avviato dal governo canadese dopo anni di consapevoli omissis.
Nell’introduzione, storica e storicopolitica, sulle relazioni tra i nativi e i colonizzatori, vengono in soccorso all’autore le affascinanti suggestioni di Paolo Conte che si trovano nei brani Max (dal nome del carismatico capo degli Uroni), Il quadrato e il cerchio (riflessione sulla stanzialità europea contrapposta allo spirito nomade indiano) e Chi siamo noi? (dove fa capolino quel Bastian Caboto che andava in pieno mare fino a raggiungere l’isola di Terranova).
Il libro mette in risalto la strategia del governo federale volta a creare un sistema per “educare” le minoranze affidandone la gestione alle Chiese cristiane. Radunati a forza nelle residential schools, i bambini, indiani, inuit e meticci, furono educati secondo i dettami del white Canada, trasformati e convertiti in tanti “piccoli buoni cristiani”. Kill the Indian, Save the Man è il motto che meglio riflette la pedagogia coloniale del tempo. Coniato dagli Stati Uniti d’America, venne adottato in Canada dalla fine dell’Ottocento in poi.
Il portone dell’ultima residential school chiuderà solo nel 1996. In tempi più recenti partirà un nuovo corso fondato sull’impegno del governo a garantire «verità e riconciliazione» (2008). Pizzochero si sofferma su una distinzione importante nei comportamenti assunti al riguardo dai vertici del mondo cristiano. Mentre, già nei primi anni Novanta, la Chiesa anglicana e la United Church of Canada ammettono le proprie responsabilità e presentano pubbliche scuse, la Chiesa cattolica «si limita ad esprimere “dispiacere” e tergiversa». Né papa Wojtyla, né papa Ratzinger prendono una posizione chiara, come invece fa papa Francesco nel 2022. Addolorato per «le modalità con cui molti cattolici hanno attuato e sostenuto la mentalità colonizzatrice», Bergoglio parte per una “visita penitenziale”, che riveste una portata storica ed entra in un racconto audiovisivo d’eccezione: In viaggio di Gianfranco Rosi. Momenti altamente lirici di un pontefice filmato in momenti di raccoglimento, silenzio, incontro e preghiera. Naturalmente non senza astenersi dal puntare il dito contro quei responsabili di scuole residenziali colpevoli di aver «derubato le comunità e gli individui della loro identità culturale e spirituale» arrivando a creare così degli «orfani di identità».
Nel processo di giustizia riparativa, l’impegno della magistratura nel punire gli aguzzini è indispensabile ma non sufficiente, da solo, a porre riparo. La dimensione immateriale, in particolare quella audiovisiva, è altrettanto importante.
Negli anni Cinquanta – denuncia Pizzochero –, la televisione pubblica canadese poteva liberamente rappresentare residential schools popolate da piccoli indiani felici di saltellare sulla neve e di giocare a hockey. Oggi tali mistificazioni della verità storica non sarebbero tollerate. È dagli ultimi decenni del Novecento che la realtà del genocidio culturale – pure attenuatosi sul finire degli anni Sessanta –, con le sue gravi conseguenze sul piano sociale, comincia a trovare un grande supporto nella rappresentazione, decisamente più obiettiva e documentata, proveniente dall’intermediazione di opere audiovisive. Va così piano piano colmandosi quella assenza vistosa sul tema che ha caratterizzato sin troppo a lungo i libri di scuola di generazioni di studenti canadesi e no; parallelamente vengono offerte nuove opportunità di consapevolezza e di memoria storica anche all’opinione pubblica internazionale.
Nel libro di Pizzochero sono descritti diversi generi di opere da cui emergono numerose «storie di conflitto irrisolto». Un esempio per tutti, quasi un paradigma di democrazia televisiva virtuosa, è il cartone animato The Secret Path, storia “cross-mediale” di Chanie, bambino indiano che scappa dagli orrori del collegio e dai religiosi che lo insidiano.
Da Ennio Flaiano a Clint Eastwood, dall’autore fumettista Joe Sacco fino ai registi Kent Monkman, Gordon Downie e il nostro Gianfranco Rosi, si è dipanato un lungo filo di narrazioni profondamente nuove. Colpiscono alcuni “frames” sulla sorte che attende i nativi: dal volto sdegnato di Anna per le ingiustizie subìte dalla sua amica mi’kmaq nella serie tv Chiamatemi Anna allo sguardo smarrito del giocatore di hockey nel film Indian Horse voluto da Eastwood, dal terrore di Chanie in fuga lungo i binari in Secret fino al tenerissimo sorriso della bimba inuit Laverna mentre saluta, prima di venire strappata al suo mondo, il villaggio natìo dall’oblò di un aeroplano governativo nel documentario Oceano Canada di Flaiano.
Ci sembra, in conclusione, che Kill the Indian, Save the Man, arricchito da un’accurata filmografia, sappia illustrare e connotare prospettiva storica, significato concettuale e caratteristiche artistiche di film, serie tv, graphic novel, cartoni animati, canzoni incentrati sul crudele tentativo di assimilazione culturale patita dai nativi nel territorio canadese.
Nello scovare immagini e trame narrative forti e incisive per farne oggetto di una ricerca rigorosa e insieme appassionata risiede tutto lo sforzo pionieristico di un lavoro come quello di Pierdavid Pizzochero. Una sollecitazione da intercettare per approfondire una questione su cui è evidente ci sia ancora molto da scoprire.
*Foto presa da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza
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