
Sinodo: il "Documento finale", una pietra d'inciampo per il futuro della Chiesa
Obiettivo raggiunto: è il commento che si può fare al “Documento finale” consegnato a papa Francesco il 26 ottobre a conclusione del Sinodo (qui il testo integrale che include i voti raggiunti da ogni paragrafo).
Il tema era la sinodalità, o meglio lo stile sinodale della Chiesa nel senso della partecipazione di tutti e della collaborazione fra tutti. E in effetti la prospettiva sinodale e il come attuarla in ogni momento e ambito della vita ecclesiale impregnano ogni parte del documento votato dall’Assemblea. Ultimo atto, peraltro, di un percorso iniziato nel 2021 con l’ascolto dei fedeli e la raccolta delle loro voci nelle più varie istanze della Chiesa.
Sinodale fino in fondo se si considera che il papa, nel rispetto dello stile da lui sollecitato, ha deciso che non adotterà le conclusioni del lavoro assembleare per elaborare ed emanare un suo documento, come dopo ogni sinodo (che è organo consultivo, non deliberativo), ma lo assume così com’è, dandogli perciò dignità di magistero.
E allora tutto bene? In realtà no, perché l’aspettativa era che “sinodalmente” questo percorso avrebbe preso decisioni su problemi che urgono ormai da molto e che infatti sono stati indicati proprio dalle numerose assemblee locali, episcopali, continentali e riportati alle due Assemblee (2023 e 2024). Ci riferiamo in particolare all’impedimento alle donne all’accesso ai ministeri del diaconato e del sacerdozio, e all’obbligo del celibato per i sacerdoti: due condizioni che determinano una forte carenza nella cura sacramentale e pastorale dei fedeli, soprattutto in parti del mondo di difficile raggiungimento. Sono temi, questi, che tuttavia i membri del Sinodo non hanno potuto affrontare: il papa, com’è noto, li ha riservati, fra altri, «al termine di una consultazione internazionale», a gruppi di studio appositamente costituiti (tutti enumerati del “Documento finale”).
Trasparenza, rendiconto, valutazione
Sicché anche il “Documento finale”, come la Bozza dello stesso di cui ha Adista ha scritto in esclusiva , risente su varie questioni, oltre quelle appena sopra citate (per esempio, la figura del vescovo, anche in relazione alle Conferenze episcopali) di una certa vaghezza o genericità. È anche vero che contiene puntualizzazioni interessanti rispetto alla bozza. Per esempio, rispetto alla «trasparenza, rendiconto e valutazione» dell’operato dei chierici, si dice che «queste pratiche contribuiscono ad assicurare la fedeltà della Chiesa alla propria missione. La loro mancanza è una delle conseguenze del clericalismo e allo stesso tempo lo alimenta. Esso si fonda sull’assunto implicito che coloro che hanno autorità nella Chiesa non debbano rendere conto delle loro azioni e delle loro decisioni, come se fossero isolati o al di sopra del resto del Popolo di Dio. Non si deve fare appello a trasparenza e rendiconto solo quando si tratta di abusi sessuali, finanziari e di altro genere. Essa riguarda anche lo stile di vita dei Pastori, i piani pastorali, i metodi di evangelizzazione e le modalità con cui la Chiesa rispetta la dignità della persona umana, ad esempio per quanto riguarda le condizioni di lavoro all’interno delle sue istituzioni». Nella Bozza non era segnalato “lo stile di vita dei Pastori”, che invece la cronaca ecclesiale rileva in vari casi come discutile e fonte di confitto con i fedeli.
Prima o poi si parlerà di diaconato femminile
Vi sono puntualizzazioni anche nel paragrafo riguardante presenza e ruolo delle donne nella Chiesa. Dei 155 paragrafi di cui si compone il “Documento finale”, è quello che ha ricevuto meno approvazioni: sono stati ben 97 i voti contrari (258 i favorevoli), probabilmente a causa di questa frase in esso contenuta: «la questione dell’accesso delle donne al ministero diaconale resta aperta». Frase non presente nella Bozza, come non vi era presente la citazione di Maria di Magdala in quanto prima annunciatrice della risurrezione, né si citavano le «molte altre donne che avevano seguito Gesù». Si tratta del n. 60, che recita:
«In forza del Battesimo, uomini e donne godono di pari dignità nel Popolo di Dio. Eppure, le donne continuano a trovare ostacoli nell’ottenere un riconoscimento più pieno dei loro carismi, della loro vocazione e del loro posto nei diversi ambiti della vita della Chiesa, a scapito del servizio alla comune missione. Le Scritture attestano il ruolo di primo piano di molte donne nella storia della salvezza. A una donna, Maria di Magdala, è stato affidato il primo annuncio della Risurrezione; nel giorno di Pentecoste, nel Cenacolo era presente Maria, la Madre di Dio, insieme a molte altre donne che avevano seguito il Signore. È importante che i relativi passi della Scrittura trovino adeguato spazio all’interno dei lezionari liturgici. Alcuni snodi cruciali della storia della Chiesa confermano l’apporto essenziale di donne mosse dallo Spirito. Le donne costituiscono la maggioranza di coloro che frequentano le chiese e sono spesso le prime testimoni della fede nelle famiglie. Sono attive nella vita delle piccole comunità cristiane e nelle Parrocchie; gestiscono scuole, ospedali e centri di accoglienza; sono a capo di iniziative di riconciliazione e di promozione della dignità umana e della giustizia sociale. Le donne contribuiscono alla ricerca teologica e sono presenti in posizioni di responsabilità nelle istituzioni legate alla Chiesa, nelle Curie diocesane e nella Curia Romana. Ci sono donne che svolgono ruoli di autorità o sono a capo di comunità. Questa Assemblea invita a dare piena attuazione a tutte le opportunità già previste dal diritto vigente relativamente al ruolo delle donne, in particolare nei luoghi dove esse restano inattuate. Non ci sono ragioni che impediscano alle donne di assumere ruoli di guida nella Chiesa: non si potrà fermare quello che viene dallo Spirito Santo. Anche la questione dell’accesso delle donne al ministero diaconale resta aperta. Occorre proseguire il discernimento a riguardo. L’Assemblea invita inoltre a prestare maggiore attenzione al linguaggio e alle immagini utilizzate nella predicazione, nell’insegnamento, nella catechesi e nella redazione dei documenti ufficiali della Chiesa, dando maggiore spazio all’apporto di donne sante, teologhe e mistiche».
Abusi: non un passo avanti
Molto carente è la posizione assunta sugli abusi sessuali e spirituali nella Chiesa: nessun riferimento alla responsabilità della gerarchia ecclesiale, colpevole in moltissimi casi di aver insabbiato il reato di pedofilia commesso dai sacerdoti, consentendo a questi “orchi” di perpetuare la loro perversione. Il n. 55 dice: «Tanti mali che affliggono il nostro mondo si manifestano anche nella Chiesa. La crisi degli abusi, nelle sue diverse e tragiche manifestazioni, ha portato sofferenze indicibili e spesso durature alle vittime e ai sopravvissuti, e alle loro comunità. La Chiesa deve ascoltare con particolare attenzione e sensibilità la voce delle vittime e dei sopravvissuti agli abusi sessuali, spirituali, economici, istituzionali, di potere e di coscienza da parte di membri del clero o di persone con incarichi ecclesiali. L’ascolto è un elemento fondamentale del cammino verso la guarigione, il pentimento, la giustizia e la riconciliazione. In un’epoca che conosce una crisi globale di fiducia e incoraggia le persone a vivere nella diffidenza e nel sospetto, la Chiesa deve riconoscere le proprie mancanze, chiedere umilmente perdono, prendersi cura delle vittime, darsi strumenti di prevenzione e sforzarsi di ricostruire la fiducia reciproca nel Signore».
Consultare e consultare prima di decidere
Rispetto alla Bozza, è precisata con maggiore rigore la messa in guardia rivolta ai vescovi contro un eccessivo decisionismo. Ai nn. 91 e 92 si legge:
«Vi sono casi in cui già il diritto vigente prescrive che, prima di prendere una decisione, l’autorità è obbligata a procedere a una consultazione. L’autorità pastorale ha il dovere di ascoltare coloro che partecipano alla consultazione e, di conseguenza, non può più agire come se non li avesse ascoltati. Non si discosterà, pertanto, dal frutto della consultazione, quando è concorde, senza una ragione che risulti prevalente e che va opportunamente espressa (cfr. CIC, can. 127, § 2, 2°; CCEO can. 934, § 2, 3°). Come in ogni comunità che vive secondo giustizia, nella Chiesa l’esercizio dell’autorità non consiste nell’imposizione di una volontà arbitraria. Nei vari modi in cui viene esercitata, è sempre a servizio della comunione e dell’accoglienza della verità di Cristo, nella quale e verso la quale lo Spirito Santo ci guida nei diversi tempi e contesti (cfr. Gv 14,16)».
Seguita il 92: «In una Chiesa sinodale, la competenza decisionale del Vescovo, del Collegio Episcopale e del Vescovo di Roma è inalienabile, in quanto radicata nella struttura gerarchica della Chiesa stabilita da Cristo a servizio dell’unità e del rispetto della legittima diversità (cfr. LG 13). Tuttavia, non è incondizionata: un orientamento che emerga nel processo consultivo come esito di un corretto discernimento, soprattutto se compiuto dagli organismi di partecipazione, non può essere ignorato. Risulta dunque inadeguata una contrapposizione tra consultazione e deliberazione: nella Chiesa la deliberazione avviene con l’aiuto di tutti, mai senza l’autorità pastorale che decide in virtù del suo ufficio. Per questa ragione la formula ricorrente nel Codice di diritto canonico, che parla di voto “solamente consultivo” (tantum consultivum), deve essere riesaminata per eliminare possibili ambiguità. Appare quindi opportuna una revisione della normativa canonica in chiave sinodale, che chiarisca tanto la distinzione quanto l’articolazione tra consultivo e deliberativo e illumini le responsabilità di coloro che nelle diverse funzioni prendono parte ai processi decisionali».
Ci fermiamo qui. Da rilevare il “Documento finale”, per quanto “monco”, delinea quello “stile sinodale” che è una sfida enorme per la Chiesa, dopo millenni di autoritarismo, clericalismo e temporalismo (forse nei fatti superato, questo, ma ancora palpabile nei titoli onorifici “eccellenza”, “eminenza”, “monsignore”, “padre” riconosciuti agli ecclesiastici, peraltro sempre presenti a eventi pubblici). Ma è magistero, è una “pietra d’inciampo” cui gli “uomini di Chiesa” si avvicineranno con ancora molto lavoro e ancora più cautela, ma che prima o poi non potranno più aggirare.
*Foto ritagliata di Radek Kucharski tratta da tratta da Flickr, immagine originale e licenza
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