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Esclusiva di Adista: cosa dice la bozza conclusiva del Sinodo. Brani scelti. E rumors dall'Assemblea

Esclusiva di Adista: cosa dice la bozza conclusiva del Sinodo. Brani scelti. E rumors dall'Assemblea

Avviati a conclusione dei lavori della Seconda Sessione del Sinodo sulla sinodalità, i vescovi in assemblea hanno emesso un “Progetto di Documento finale – Bozza del 21 ottobre 2024”, con l’annotazione “Riservato-Confidenziale”, di cui Adista ha in mano una copia. Sarà ovviamente emendato e rivotato prima che sia consegnato a papa Francesco il 26 ottobre, ultimo giorno dell’Assemblea. Ma sarà emendato anche perché, a quanto sappiamo, c’è una “quota” di vescovi non soddisfatti di una certa vaghezza su temi importanti: in particolare i carismi delle donne (v. più avanti) e il modo di ammettere differenze (per esempio sul celibato ecclesiastico) fra le Chiese locali senza andare a scapito dell’unità della Chiesa.

Più temi sono stati sottratti dal papa alla discussione sinodale. Sono 10, fra cui: «l’ascolto del grido dei poveri», la revisione della formazione dei sacerdoti, «questioni teologiche e canonistiche intorno a specifiche forme ministeriali», «figura e ministero del vescovo»…; e sono stati affidati ad altrettanti gruppi che li studieranno e presenteranno al pontefice suggerimenti e proposte in merito.

Una scelta “censoria” che ha creato non pochi malumori nei partecipanti all’Assemblea – e qualcuno si è chiesto: non ci vorrà poi una sorta di sinodo quanto meno per uno sguardo comune sui risultati di tali gruppi o farà tutto lui? –; una scelta, inoltre, che forse è il motivo per cui la bozza del Documento finale sembra avere, finora, il sapore di un consommé senza carne: questioni solo accennate, altre taciute, tipo quella del diaconato femminile.

Alcuni suggerimenti in chiave sinodale

Tuttavia ogni argomento è osservato e prospettato nel quadro della partecipazione e della sinodalità e non mancano – vogliamo intanto qui segnalare – suggestioni interessanti, quali:

«I Dicasteri prima di pubblicare un documento dovrebbero avviare una consultazione delle Conferenze episcopali e delle istituzioni corrispondenti delle Chiese Orientali sui iuris. Nella logica della trasparenza e del rendiconto (…) porterebbero eventualmente essere previste forme di valutazione periodica dell’operato della Curia, affidate a un organo indipendente, quale potrebbe essere il Consiglio dei Cardinali o un Consiglio di vescovi eletto dal Sinodo»;

«L’Assemblea sinodale propone di istituire attorno al papa un Consiglio di Patriarchi e Arcivescovi Maggiori delle Chiese orientali cattolica che sia espressione di sinodalità e strumento per promuovere la comunione e la condivisione del patrimonio liturgico, teologico, canonico e spirituale»;

«Lungo il processo sinodale, è stata ampiamente espressa la richiesta che i percorsi di discernimento e formazione dei candidati al ministero siano configurati in stile sinodale. Ciò significa che devono prevedere una presenza significativa di figure femminili, un collegamento alla vita quotidiana delle comunità e l’educazione a collaborare con tutti nella Chiesa»;

«Dal processo sinodale emergono in particolare alcune esigenze concrete a cui dare risposta in modo adeguato ai diversi contesti»: da «una più ampia partecipazione di laici e laiche ai processi di discernimento ecclesiale e a tutte le fasi dei processi decisionali (elaborazione e presa delle decisioni)» a «un più ampio accesso di laici e laiche a posizioni di responsabilità nelle diocesi», all’«aumento del numero delle donne che svolgono il ruolo di giudice nei processi canonici»;

«Se la Chiesa sinodale vuole essere accogliente, allora la cultura e le pratiche di rendiconto devono essere al centro della sua azione a tutti i livelli e non solo al livello dell’autorità. Tuttavia chi ricopre ruoli di autorità ha una responsabilità maggiore a riguardo ed è chiamato a renderne conto a Dio e al suo Popolo. (…) va recuperata la dimensione del rendiconto che l’autorità è chiamata a dare alla comunità».

Le Chiese locali, cattoliche ma diverse

Per tornare al tema delle Chiese locali nei vari Paesi, la bozza del documento finale mette appena l’accento sulle diversità storico-socio-culturali, ma non si sofferma a definire quali questioni ecclesiali tali diversità comportano: «L’orizzonte della comunione nello scambio dei doni è il criterio ispiratore della relazione tra le Chiese – si legge –. Esso coniuga I’attenzione ai legami che formano l’unità di tutta la Chiesa con il riconoscimento e l’apprezzamento delle particolarità legate al contesto in cui vive ogni Chiesa locale, con la sua storia e la sua tradizione. L’adozione di uno stile sinodale permette alle Chiese di non muoversi tutte e sempre allo stesso ritmo nell’affrontare qualsiasi questione. Le differenze di ritmo possono essere valorizzate come espressione di una Iegittima diversità e come opportunità di scambio di doni e di arricchimento reciproco».

Le donne, irrisolto temuto problema

Per quanto riguarda l’universo femminile e il ruolo in cui tradizionalmente è relegato nella Chiesa cattolica, esso è trattato in modo qui paternalista, lì accorato, ma anche ammonitore. A proposito della «grande varietà di carismi e ministeri», nel documento si dice che nella discussione «è emersa I’aspirazione ad ampliare le possibilità di partecipazione e di esercizio della corresponsabilità differenziata di tutti i Battezzati, uomini e donne. A tale riguardo, però, è stata espressa la tristezza provocata dalla mancata partecipazione di tanti membri del Popolo di Dio a questo cammino di rinnovamento ecclesiale e da una fatica diffusa nel vivere pienamente una sana relazionalità tra uomini e donne, tra generazioni e tra persone e gruppi di diverse identità culturali e condizioni sociali, in particolare i poveri e gli esclusi». Più avanti: «Diamo testimonianza al Vangelo quando cerchiamo di vivere relazioni che rispettano l’uguale dignità e la reciprocità tra uomini e donne. Il dolore e la sofferenza espressi da molte donne, sia laiche sia consacrate, durante il processo sinodale, ha rivelato che spesso non riusciamo a essere all’altezza di questa visione».

Segue una stoccatina a quanti richiedono che gli ordini del diaconato e del sacerdozio siano riconosciuti anche alle donne: «Le diverse vocazioni ecclesiali sono infatti espressioni molteplici e articolare dell’unica chiamata battesimale alla santità e alla missione. La varietà di carismi (…) è finalizzata all’unità del corpo ecclesiale di Cristo e alla missione nei diversi luoghi e culture. Questi doni non sono proprietà esclusiva di chi li riceve e li esercita, né possono essere motivo di rivendicazione per sé o per un gruppo».

Poi la lamentazione per la poca considerazione delle donne in ambito ecclesiale: «La loro partecipazione a pieno titolo a posizioni di responsabilità e governo nella Chiesa, compreso i processi decisionali, resta limitata. Spesso anche le opportunità già previste dal diritto vigente restano inesplorate». E dunque, rivendicano i vescovi, «è necessario porre rimedio a questa situazione e anche nella predicazione, nell’insegnamento, nella catechesi e nella redazione dei documenti ufficiali della Chiesa, occorre prestare crescente attenzione al linguaggio e alle immagini utilizzate. Potrà aiutare fare riferimento più spesso a donne sante, teologhe e mistiche». Si certifica che per la Chiesa quelle “normali” non bastano.

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