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Per la Siria di domani. La scelta è fra pluralismo e ritorno al passato

Per la Siria di domani. La scelta è fra pluralismo e ritorno al passato

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 44 del 21/12/2024

La Siria o torna la casa di mille dimore o muore. Che vuol dire? Uno strano fiume di siriani rientra nel loro Paese da Libano e Turchia dove erano ormai perseguitati anche lì: il loro Paese è a un passo dal diventare un buco nero… Non sorprende che gli aguzzini degli infiniti servizi segreti del passato vengano giustiziati in queste ore, cercati casa per casa. Sorprende che molti altri siriani, quelli fuggiti negli anni scorsi, considerino l’idea di tornare, quindi sperano, non dicono “mai più”; ammirevole. Ma cosa indica tutto questo?

La domanda su chi sarà mai Muhammad al-Bashir, il nuovo primo ministro siriano che fino a marzo 2025 governerà il Paese, nominato dagli insorti che hanno preso il controllo della Siria, non può trovare una risposta senza rispondere a una preventiva domanda: chi era Bashar al Assad? Questa domanda spiega molto di lui, del suo possibile background e trova una parziale risposta nella scoperta che i gironi danteschi esistono davvero, e hanno funzionato per 50 anni in Siria. Tra tutto ciò che abbiamo visto nell’apertura di due dei tanti mattatoi di Assad, le presse per uccidere e poi dissolvere nell’acido i detenuti, le botole usate come celle, gli ambienti nei quali poteva essere impedito l’accesso dell’aria, voglio ricordare due dettagli: una donna uscita dal “carcere” con quattro figli, senza sapere chi sia il loro padre o chi siano i loro padri; un uomo ora libero, ma che non sa più il suo nome.

La cultura del terrore

Tutto questo raffigura un’ideologia: seviziare serviva a umiliare e umiliare serviva a imporre il terrore, il piedistallo sul quale era stato costruito il culto della personalità, insegnato a scuola sin dalle elementari come cardine della Siria “degli Assad”. Chiunque arrivasse in Siria lo poteva vedere scritto sui cartelli di accoglienza ai posti di frontiera: “Benvenuti nella Siria degli Assad”. Dunque, chiunque ci sia stato, in visita di Stato o per turismo, sapeva che lì cominciava una proprietà privata appartenente a una famiglia e al suo clan, e quasi tutti sapevamo che era governata da un arbitrio senza limiti: per costruirlo come sistema si è ricorsi alla consulenza del gerarca nazista Aloise Brunner. Sarebbe curioso che chi ha visitato la Siria non sapesse che il linguaggio diventava più sincero passato quel confine, con lo slogan che i miliziani del capo hanno urlato a squarciagola dal 1970 a ieri: “Assad o bruceremo il Paese”. E lo hanno fatto. Dunque chi ha messo piede in Siria si portava dentro l’annuncio che il campo di sterminio di Saydnaya era la capitale “culturale” della Siria degli Assad: proprio lì, a partire dal 2011, sono state impiccate tra le 5mila e le 13 mila persone, senza processo e senza un capo d’imputazione.

Qualcuno l’ha descritta come “laica” questa Siria, che non ha distrutto tutte le armi chimiche che possedeva dopo averle impiegate contro il suo popolo nel 2013. Abbiamo ormai le prove di numerosissimi attacchi chimici anche successivi a quella data e ora dell’esistenza di altri armamenti segreti di cui gli Stati Uniti dicono importante evitare che cadano “nelle mani sbagliate”. Hanno ragione, ma per i siriani non erano nelle mani giuste neanche prima.

Il sistema Assad ha fatto di Saydnaya la sua capitale culturale dopo che quella cittadina dal sesto secolo era stata il principale luogo di pellegrinaggio cristiano dopo Gerusalemme, ospitando una delle icone più preziose di Maria, attribuita all’apostolo Luca. Questo è il lascito di Assad al cristianesimo orientale. Forse era possibile pronunciare al suo orecchio una supplica: “Presidente, trasferisca il suo esercizio altrove”.

Il sistema Assad ha istigato odio, sapendo che chi viene portato in un inferno terreno difficilmente resta umano e quindi ha messo tutti contro tutti, con l’obbligo di restare nel mosaico siriano senza rapportarsi agli altri, dai quali ci si guardava timorosi, confidando impietriti nella protezione personale del capo dei capi.

Il ruolo dei cristiani

I cristiani sono stati oggetto di protezione per stemperare le critiche occidentali, così aggravando il loro urto con i nemici del regime. Ma quale protezione? Un ufficiale delle tribù fedeli ad Assad un giorno l’ha spiegata così: «Lasciamo le vostre donne girare mezze nude, le vostre campane suonare», e quindi tacete. Un novizio che ha lasciato il suo convento mi ha detto: «per riparare un muretto della mia parrocchia serviva il placet dei servizi segreti. Sai capire perché? Non è difficile».

Se volessimo fare un discorso serio dovremmo analizzare malattie intrecciate: la protezione delle minoranze, nata con l’impero ottomano come garanzia per il pagamento di una tassa, diventava ricatto esistenziale; il colonialismo da “missione civilizzatrice” si è fatto sopraffazione che ha usato i cristiani così percepiti come quinte colonne dell’Occidente; il nazionalismo arabo, da parte sua, si è subito ammalato del modello dei totalitarismi europei. Servirebbe troppo tempo per parlarne, ma i cristiani sono rimasti schiacciati tra incubi e complicità, arrivando a tacere e, con qualcuno, a condividere. Ecco perché, a mio avviso, padre Paolo Dall’Oglio ha scritto già nel 2012: «Collettivamente noi cristiani ci siamo messi dalla parte di uno stato fascista e con lui perderemo tutto. È troppo tardi, il disastro è già qui. […] Tuttavia […] il tessuto sociale siriano si ricomporrà nella sua pluralità. […] Io conservo la speranza che le comunità cristiane residuali possano fiorire in una futura Siria islamica, capace di scegliere un coerente pluralismo inclusivo».

L’emergenza è superare l’odio

Finalmente possiamo provare a immaginare chi sia Muhammad al-Bashir. Al di là di tutto quel che si dice di lui, esprime un mondo cresciuto nell’odio e nel dolore, nella persecuzione e nella rabbia. È quello che voleva Bashar, consapevole di dover favorire in tutti i modi, anche i più impensabili, estremismo e fanatismo, per consentirci di pensare che lui era “il male minore”. L’Isis e gli altri gruppi similari sono stati la manna cercata, foraggiata, aiutata dal regime, il “nemico perfetto”. Chi conosce al Bashir dice che governando Idlib, ha lasciato i metodi vessatori che i suoi usavano in precedenza. Propendo a ritenere che ci sia del vero. Anche il vescovo latino di Aleppo che ha prestato servizio a Idlib negli anni di Bashir ha detto che quel tempo ha segnato un miglioramento, qualcosa di buono. Ora? Anche gli estremisti, come i moderati, non sono tutti uguali. Ci sono gli estremisti che evolvono, ci sono quelli che non vogliono evolvere e – per fortuna in certo senso – ci sono i trasformisti. Quale sarà la miscela che uscirà da tutto questo?

L’emergenza è l’odio, la sete di vendetta, la comunità alauita, da cui venivano Assad e molti suoi fedeli, e quella curda, che rischia perché invisa a chi arma gli insorti, cioè il governo turco. I fatti bellici, a Mambji e Kobane, ne sono una tragica conferma. Questo è il punto decisivo: l’unità del Paese. Preservare l’unità del Paese è indispensabile, ma non con un nuovo, opposto al precedente, culto della personalità.

Dunque occorre avviare un processo che porti la Siria, già da anni divisa, a riunirsi, in un modo possibile ma non deteriore, base di un processo di riconciliazione nazionale. Non vedo aiuti esterni. La prospettiva che salva la Siria è dunque dei siriani, il suo orizzonte è la pari cittadinanza, ma ci si può arrivare solo avviando un processo, passando forse per un federalismo ma unitario: un “ma” congiuntivo, non disgiuntivo. Il rispetto dei territori certamente porterebbe con sé vecchie famiglie feudali, sistemi arcaici, ma questo servirebbe pure a sfiammare le ferite, se fosse il metodo per controllare le milizie. Il centro è indispensabile, ma il centralismo è un incubo.

Da una crisi si esce migliori o peggiori, ha detto papa Francesco. Peggiori è difficili nel caso della Siria, ma migliori lo si diventa solo insieme, quindi rispettando e valorizzando le diversità che devono tornare fiere sia di sé sia di appartenere tutte al grande mosaico siriano, che solo unito è tale.

La Siria è la casa di mille dimore o non è. 

*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza 

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