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La persecuzione dei sacerdoti russi contrati alla guerra. Un rapporto del Centro di Studi Cristiani Ortodossi

La persecuzione dei sacerdoti russi contrati alla guerra. Un rapporto del Centro di Studi Cristiani Ortodossi

Si intitola “Comunità religiose sotto pressione: documentare la persecuzione religiosa in Russia 2022-2025” il rapporto di Orthodox Christian Studies Center presso la Fordham University di New York del 20 maggio scorso stilato da Sergej Chapnin, direttore delle comunicazioni del Centro. Il rapporto è stato commissionato dalla Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nella Federazione Russa, Mariana Katzarova, chiamata a questo ruolo dal Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite il ad aprile del 2023. Chapnin, moscovita, per sei anni è stato direttore del Giornale del Patriarcato di Mosca, segretario della Commissione ecclesiale per i rapporti con la società e le istituzioni e docente presso l’Università ortodossa “San Tikhon”. Nel 2015 è stato licenziato dopo aver pubblicato un testo, “Una Chiesa dell’Impero” sulla rivista cattolica conservatrice e statunitense First Thing, intitolato “Una Chiesa dell’Impero”.

È lo stesso Chapnin a riassumere la situazione analizzata in un articolo su Religion News Serivice ("Questi preti russi che hanno detto "no" alla guerra di Putin in Ucraina stanno pagando un prezzo", RNS, 18/7/25), sottolineando che il report «rivela una verità nascosta che i cristiani americani hanno bisogno di conoscere: esiste una vibrante resistenza alla guerra in Russia, basata sulla fede, e i credenti stanno pagando un prezzo terribile per la loro testimonianza».

«Dall'inizio dell'invasione russa – riassume – più di 100 leader religiosi e attivisti hanno affrontato persecuzioni per essersi opposti alla guerra: 79 cristiani ortodossi, 7 battisti, 7 pentecostali, 3 cattolici, tra gli altri. Diciannove sono stati condannati per reati penali, con pene che vanno dai due ai 12 anni. Due cristiani sono morti in custodia. Almeno 38 membri del clero ortodosso hanno affrontato processi ecclesiastici, con 17 destituiti e 14 sospesi dal ministero». Molti di essi sono fra coloro che nel febbraio 2022 che pubblicarono una «lettera aperta che chiedeva la pace e un cessate il fuoco immediato». L’iniziativa partiva da un piccolo gruppo, ma «nel giro di pochi giorni, quasi 300 ecclesiastici la firmarono: un atto di dissenso collettivo senza precedenti nella Russia di Putin». 

Nel rapporto integrale Chapnin riferisce che «la persecuzione ha assunto varie forme:

• Designazione di "agente straniero" (individui e organizzazioni): 8 leader religiosi e attivisti cristiani sono stati etichettati come "agenti stranieri" senza alcuna prova comprovata, sottoponendoli a gravi restrizioni politiche, civili e finanziarie che compromettono fondamentalmente il loro ministero e i loro diritti fondamentali.

• Designazione di "organizzazione indesiderata": 12 organizzazioni.

• Procedimenti amministrativi: almeno 23 casi hanno comportato multe o detenzione amministrativa.

• Procedimenti penali: 19 casi di condanna per reati penali, con altri 5 attualmente oggetto di indagine.

• Procedimenti canonici: almeno 38 chierici ortodossi sono comparsi dinanzi a tribunali ecclesiastici (17 sono stati ridotti all'abito laicale, 14 sospesi dal ministero, 7 ritirati dal servizio attivo).

• Esilio forzato: almeno 17 leader religiosi costretti a lasciare la Russia.

• Decessi in custodia: 2 cristiani sono morti (1 in custodia cautelare, 1 in prigione)».

Cooridnamento fra Chiesa e Stato

E nell’articolo su RNS commenta: «Ciò che rende questa persecuzione particolarmente insidiosa è il coordinamento tra la Chiesa ortodossa russa e le autorità statali, tra Kirill e Putin. I tribunali ecclesiastici hanno distorto il diritto canonico per scopi politici, trasformando antiche discipline spirituali in strumenti di controllo politico». «Eppure – aggiunge – la resistenza continua in varie forme. Almeno 27 sacerdoti ortodossi hanno abbandonato volontariamente il ministero attivo piuttosto che servire in quello che considerano un ambiente moralmente compromesso. Intere parrocchie in tutta l'Europa occidentale hanno votato per abbandonare la giurisdizione di Mosca, incluso un caso drammatico a Bergen, in Norvegia, dove 135 parrocchiani hanno votato per interrompere i legami con il Patriarcato di Mosca dopo che il loro sacerdote ucraino è stato oggetto di molestie per aver firmato la lettera di pace del febbraio 2022».

In questa situazione, il Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli è diventato silenziosamente un rifugio, accogliendo quasi 30 sacerdoti e diaconi, compresi quelli sospesi o ridotti allo stato laicale da Mosca per posizioni contrarie alla guerra. Questi sacerdoti ora servono le comunità di emigrati russi in tutta Europa. Rappresentano quella testimonianza ortodossa contro la violenza santificante che risiede nella nostra comune chiamata a stare al fianco della Chiesa perseguitata. Come comanda Ebrei 13:3: "Ricordatevi dei carcerati come se foste loro compagni di carcere, e di quelli che sono maltrattati come se foste voi stessi a soffrire"».

Crisi spirituale

Nel frattempo, «le istituzioni religiose internazionali e le organizzazioni ecumeniche sono rimaste in gran parte in silenzio – osserva Chapnin in RNS: «Alcuni vescovi si sono coraggiosamente pronunciati contro l'aggressione russa, ma delle 14 Chiese ortodosse autocefale, o indipendenti, in tutto il mondo, solo il Patriarcato ecumenico e la sua chiesa autonoma in Finlandia hanno intrapreso azioni pubbliche. La maggior parte degli organismi cattolici e protestanti non ha finora rilasciato dichiarazioni di solidarietà. Questo silenzio di fatto abbandona i perseguitati e normalizza la repressione della coscienza religiosa». «Ciò a cui stiamo assistendo – considera ancora – non è una mera repressione politica, ma una crisi spirituale. Lo Stato russo, con la collaborazione attiva della Chiesa ortodossa russa, cerca di subordinare il Vangelo a un'ideologia neoimperiale con chiare connotazioni nazionaliste. Questo rappresenta quella che i ricercatori di Fordham definiscono "una sfida fondamentale alla vocazione profetica delle comunità religiose: la loro chiamata a dire la verità morale a prescindere dalle conseguenze politiche"».

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