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L’evento di Nicea e il suo Simbolo. La 61ma sessione di formazione ecumenica del Sae

L’evento di Nicea e il suo Simbolo. La 61ma sessione di formazione ecumenica del Sae

CAMALDOLI (AR)-ADISTA. Alla 61ma sessione di formazione ecumenica del Sae a Camaldoli (27 luglio-2 agosto) il primo panel, “L’evento di Nicea e il suo Simbolo”, ha posto le fondamenta del discorso per aprire un cammino verso gli sviluppi successivi. Moderati dal teologo Simone Morandini del Comitato esecutivo del Sae, la storica del cristianesimo Emanuela Prinzivalli e il teologo valdese Fulvio Ferrario hanno esaminato l’aspetto storico e teologico del Concilio del 325 che ha una sua unicità ecumenica ed è stato riconosciuto da uno spettro molto ampio di chiese cristiane.

Nicea è un evento complesso, di cui mancano gli atti, ed è testimoniato dal suo Simbolo, che ha avuto una evoluzione come niceno-costantinopolitano, e da venti Canoni, ha esordito Prinzivalli nella sua lezione magistrale. È il concilio che ha dibattuto sulla data della Pasqua discostandosi da quella ebraica, e che usa in modo nuovo uno strumento tradizionale: la riunione di capi ecclesiastici di diverse chiese di una regione o di una provincia convocati dal vescovo più influente. Quello di Nicea, definito concilio ecumenico da Eusebio di Cesarea, fu convocato dall’imperatore Costantino che riuscì a radunare circa 270 vescovi seguiti da accompagnatori. La storica ha sottolineato, tra le finalità dell’evento, la risoluzione di un problema dottrinale ma anche di politica geo-ecclesiastica. Non c’era solo il problema del presbitero Ario, considerato eretico, in contrasto con il vescovo di Alessandria, ma la questione dell’unità della fede.

Dopo aver riunificato nel 324 l’impero, Costantino si trovò davanti non solo il caso di Ario ma un conflitto che toccava le principali sedi episcopali di Oriente. Il ruolo dell’imperatore di pontifex maximus, garante del culto divino, lo rendeva responsabile verso il mondo divino del retto culto che era ritenuto essenziale per ottenerne il favore.

Nel mondo antico le controversie religiose avevano un impatto forte e un conflitto religioso a volte coagulava altri problemi. Il problema massimo del cristianesimo era un Dio Figlio accanto a Dio. Attraverso parole mutuate dalla filosofia - usia, homoousios, hipòstasis - i Padri hanno cercato di definire il grande mistero del rapporto del Figlio con il Padre.

Per Fulvio Ferrario la ricerca di un linguaggio per dire questo mistero è una storia che non inizia nel IV secolo. A Nicea i Padri cercavano parole non solo nella filosofia, ma anche nel Nuovo Testamento dove si cerca di verbalizzare l’esperienza dell’incontro con Gesù. L’identificazione tra Gesù e Dio compare due volte in contesto dossologico: nella professione di fede di Tommaso: “Mio Signore e mio Dio” (Giovanni 20,28) e in una lettera apostolica (Tito 2,13): “Aspettando l’apparizione nella gloria del nostro Dio e Salvatore Gesù Cristo”.

Non esiste una parola che sia univoca per verbalizzare l’esperienza dell’incontro con Gesù. Il tema è sviluppato in vari modi. Il Nuovo Testamento conosce due modalità di approccio: dal basso come incontro con un uomo speciale; dall’alto, nei dogmi, come incarnazione del Logos presso Dio.

Ferrario ha esemplificato il modello della risalita: la filiazione nella risurrezione (Rm 1,4), nel battesimo (Mc 1,9-11), nell’infanzia (Matteo e Luca), nel principio (Giovanni 1) a cui si ispira il dibattito successivo.

Nicea chiama in causa il rapporto tra fede e filosofia. Alcuni interpretano quell’evento come una resa alla filosofia che ha risucchiato la semplicità evangelica, altri lo giudicano come una critica alla filosofia. Le due opinioni possono essere entrambe giuste, secondo il teologo, che aggiunge: «Le affermazioni di Nicea riguardano la comprensione della salvezza: per incontrare la salvezza devi incontrare Dio in Cristo. Dio stesso ti viene incontro nella sua realtà. Questo implica una rilettura dell’idea di Dio, uno ma differenziato».

Il linguaggio va bene tanto più è elastico e si presta a custodire in modo sempre parziale il messaggio della fede. Si può affidarsi alla riproduzione: ripetere homoousios credendo che ci siano parole sacre che si identificano con la realtà, oppure ri-produrre una parola secondo le intenzioni dell’annuncio. La tradizione cristiana non andrebbe vista come arsenale di contenuti ma come stile di pensiero.

Ferrario suggerisce di utilizzare i dogmi come una delimitazione di spazio. I no di Nicea aiutano a crescere. Il no fondamentale è che il volto dell’unico Dio non è separabile in nessun modo e in nessun tempo dalla storia dell’uomo Gesù di Nazareth. La dottrina trinitaria se ha un senso è che Dio è padre e questo è un concetto relazionale.

Vivace è stato il dibattito seguito alle due relazioni, molto applaudite.

 

Foto di Laura Caffagnini

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