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Ciò di cui non si può parlare bisogna immaginare

Ciò di cui non si può parlare bisogna immaginare

Tratto da: Adista Documenti n° 31 del 13/09/2025

Qui l'introduzione a questo testo. 

E se si provasse dire: «Ciò di cui non si può parlare bisogna immaginare»?1 Rimettere insomma l’immaginazione al centro, così da concepire secondo la felice espressione di Ricoeur «l’immaginazione costituente».

Allievo di un maestro del teatro viaggiante, mi era stato dato questo imperativo: “Immagina!”. Mi domandavo fin da ragazzo: cosa vuol dire immaginare? Un bambino lo sa, non lo capisce razionalmente… Lo vive e basta. Però poi crescendo forse ho capito: immaginare era la possibilità di vivere la vita degli altri. Di entrare nella vita degli altri, di sperimentare il bene e il male, le pozzanghere e le stelle… Era vivere nell’istante quello che noi poi nella testa abbiamo continuato a dividere. Perché in quel teatro immaginario il visibile e l’invisibile erano la stessa cosa. Avevano corpo, voce, avevano una storia. E lì, per la prima volta io credo di essermi commosso. Senza sapere nemmeno cosa significasse commuoversi. Incominciavo così ad immaginare. Non sapevo se era quello che mi aveva detto il Maestro…2 ma certo sentivo che era bello, maledettamente bello immaginare fino a commuoversi. Perché il dolore e la gioia non erano più fiumi divisi. Erano sfociati in un unico mare. E il ma ero io…

La teologia spesso si è fatta discorso su Dio, un discorso razionale, astratto, in certi casi asettico. Come si dovesse confezionare un vestito, prendendo le misure delle spalle di Dio. Ma è quasi sempre un vestito troppo stretto, che non riesce a contenere un corpo infinito. Forse per questo è esistita la teologia apofatica, che si ferma ai bordi del mistero e socchiude le labbra. Eppure tra il logos razionale e il silenzio apofatico non potrebbe esserci una teologia che attraverso l’immaginazione si fa compagna di strada per le donne e gli uomini di oggi?

Vorremmo capire come la teologia possa essere oggi una teologia pubblica, e se per esserlo non possa diventarlo senza essere teologia dell’immaginazione.

Un uomo di pensiero e di silenzio, il monaco e teologo Benedetto Calati, proprio verso la fine della sua vita, quando aveva acquisito una grande libertà interiore, ha affermato la necessità, quasi l’urgenza di passare «da una teologia prescrittiva a una teologia immaginativa»3. Calati mette insieme teologia e immaginazione e sembra dedurre che sulla zattera dell’immaginazione la teologia potrà mettersi in salvo dal naufragio dell'autoreferenzialità e del narcisismo.

Peter Berger in Una gloria remota descrive i profeti, ovvero uomini e donne visionari, maestri e maestre di immaginazione. Profeti e profetesse che nelle strade avevano visioni e annunciavano cieli e terre nuove. Così «venivano assegnati a un tempio e posti sotto il controllo dei sacerdoti». «Chissà», scrive Berger, «quale genio sacerdotale escogitò per primo quella che a uno sguardo retrospettivo appare come la soluzione ovvia: dal momento che non possiamo sbarazzarci di questi personaggi, mettiamoli sul libro paga»4.

Forse questo potrebbe figurativamente rappresentare il passaggio tra desiderio, immaginazione e la logica della prescrizione.

Pesa sull’immaginazione un sospetto, che renderebbe l’immaginare meno forte del pensiero, che potrebbe forse corrodere il dogma, annacquare la “verità”. Ma da dove nasce l’immaginazione?

Le neuroscienze distinguono i due emisferi cerebrali: quello sinistro è dotato di funzioni logico-simboliche (il linguaggio ad esempio), quello destro coglie invece le diverse funzioni di analisi globale, la dimensione dell’emozione in primis. Ecco perché l’immaginazione appartiene all’emisfero destro del cervello in cui si possono rintracciare le informazioni visivo-spaziali, il linguaggio musicale, e quel pensiero divergente che è imprescindibile con l’immaginazione. Chissà perché l'immaginazione sembrerebbe così libera e slabbrata, incontrollata, da essere molto lontana dalla “scienza”. E invece le scoperte scientifiche non potrebbero avvenire se non ci fosse quella buona dose di immaginazione che avvia e orienta i processi di ricerca. Proviamo a pensare come sarebbero state possibili le scoperte scientifiche di Galileo, di Albert Einstein, di Rita Levi Montalcini, oppure le impensabili invenzioni di Leonardo da Vinci. 

Scrive il teo-poeta latino-americano Ruben Alves che la scienza, superata la tentazione di subordinare l’immaginazione alla osservazione, è consapevole che «la conoscenza dipende dalla nostra capacità di riempire gli spazi vuoti lasciati dai frammenti delle informazioni. Senza l’immaginazione, resteremmo nei frammenti, nel particolare. Mai potremmo fare il volo universale della scienza»5. Basterebbe questa constatazione per dire che una teologia immaginativa non sarebbe meno “scientifica” di una teologia prescrittiva, l’unica che ancora molti ritengono come “teologia seria”. 

Abbiamo invece sempre associato l'immaginazione all’arte, alla poesia, alla letteratura. Una filosofa della poesia come Maria Zambrano mette in luce come però proprio la poesia sia stata emarginata dal pensiero egemone come una “materia povera”. Scrive la filosofa di Malaga:

Ha inizio così nella cultura occidentale, la vita rischiosa della poesia, quasi relegata ai margini della legge maledetta, costretta a vagare su accidentati sentieri, sempre sul punto di perdersi, esposta di continuo alla follia. Dal momento in cui il pensiero compì la “presa di potere” la poesia si è accontentata di vivere ai margini, da cui esacerbata e lacera, in rivolta perenne, grida, le sue sconvenienti verità6.

Conferma questa idea Ruben Alves quando scrive che liquidare l’immaginazione sembra essere il programma illuministico:

Tutto quello che nasce dal desiderio – poesia, religione, arte, metafisica, valori, utopie – può avere un’importante funzione pedagogica o sociale. Ma quello che non gli si può attribuire è un significato epistemologico: non comunica conoscenza della realtà7.

Non è un caso che sia una donna, Maria Zambrano a ricordarci il grido delle «sconvenienti verità». Una teologia dell’immaginazione non può che essere essenzialmente di matrice femminista. Il pensiero divergente delle donne sorpassa i confini e ha la capacità di ri-creare scenari inediti.

Per tale motivo forse la resistenza delle istituzioni, compresa la Chiesa cattolica e non solo, continuano a marginalizzare la donna. Sono istituzioni che hanno fondamentalmente un deficit di immaginazione e si sentono messe in discussione dal pensiero e dall’azione delle donne. Nel panorama di una teologia della “moderazione” sarebbe necessaria quella «indecent theology», come la chiama Marcela Althaus Reid8. Una teologia più inclusiva e immaginativa rispetto a quella teologia “decente” che non risveglia le menti e sclerotizza il cuore. Una teologia che non sia contaminata dall’immaginazione, però, rischia di divenire la “teologia del re” e della sua corte; imprigionata nel sistema e incapace di gridare quelle “sconvenienti verità” che una teologia pubblica invece dovrebbe gridare oggi. 

La questione di questa emarginazione immaginativa viene da lontano; ne parlava già il poeta e a suo modo filosofo Giacomo Leopardi in un frammento dello Zibaldone [Zib. 3155]:

Poco ai tempi d’Omero valeva ed operava quello che negli uomini si chiama cuore, moltissimo l’immaginazione. Ma oggi per lo contrario (e così a’ tempi di Virgilio) l’immaginazione è generalmente sopita, agghiacciata, intorpidita, estinta; difficilissimo è ravvivarla anche al gran poeta, il quale altresì difficilmente può esser oggi gagliardamente ispirato dalla immaginativa, ed esser grande per quella parte che propriamente spetta all’immaginazione e per ciò che da lei deriva, come furono Omero e Dante.

Se la teologia sembra aver posto resistenza all'immaginazione, non si può dire lo stesso per la Bibbia. L’immaginazione biblica è infatti un’officina di metafore, immagini, racconti, canti e poemi. Si potrebbe dire che lo spirito della Bibbia abbia ispirato soprattutto l’emisfero destro del cervello. Dalla Genesi all’Apocalisse l’immaginazione galoppa e raggiunge chi la legge. Non solo la Bibbia è un laboratorio di immaginazione ma ha ispirato a sua volta l’immaginazione declinandola nei diversi linguaggi. Basterebbero queste parole di Marc Chagall a testimoniarlo: «Fin da piccolo sono stato attratto dalla Bibbia. Mi è sempre sembrata, e mi sembra ancora, che sia la più grande fonte di poesia di tutti i tempi. Fin da allora ne ho cercato il riflesso nella vita e nell’arte»9. 

Aveva scritto l’amico teologo Carlo Molari: «La teologia dovrebbe diventare esperta di poesia o di creazione simbolica per essere in grado di decifrare i profondi simboli del reale radunati nelle trame operative, ed espressi nelle narrazioni e nei gesti».10 L’immaginazione diventa insomma l’asso nella manica per una teologia piena di coraggio, di esposizione, di visione. 

Gesù, del resto, è stato potremmo dire un “coltivatore diretto” dell'immaginazione. Le metafore, le parabole, i racconti costituiscono il linguaggio attraverso cui il Maestro di Nazareth parla di Dio. Non solo un coltivatore di immaginazione ma un educatore all’immaginazione.

L’immaginazione certo non è solo una promessa di bellezza e di giustizia: si può «immaginare l’inimmaginabile, compresi, il Bene e il Male assoluti (…); se l’uomo prende da solo l’iniziativa di immaginare l’assoluto può produrre la Divina Commedia ma anche Auschwitz» e produrre «rapidamente il meglio e il peggio»11. Ci può essere dunque un’immaginazione distopica che diventa poi fatalmente dispotica. Ma è possibile lavorare per immaginare un’alternativa. Una immaginazione utopica che realizzi un sogno diverso di mondo12. 

La teologia nei secoli ha diffidato dell’immaginazione. I motivi sono certamente diversi. Ma uno di questi potremmo rintracciarlo nel sospetto e nella diffidenza del corpo, nel sospetto dei sensi. Tale sospetto ha spesso delegato alla ragione, anzi solo a una parte del cervello l’interpretazione del mondo. Se Agostino e una certa scuola di pensiero pensavano che i sensi sono una pericolosa tentazione, Cristina Campo ricordava che possono essere invece una «suprema occasione»13, le «divine tastiere»14 come le chiamava David Maria Turoldo. Il sospetto del corpo, della sessualità ha portato una teologia prevalente ad avere un rapporto di sospetto con il corpo della terra, con il corpo del mondo, la sua radice femminile. Il Cantico delle creature di Francesco contiene profeticamente i bagliori di questa visione divergente del mondo. 

Una visione che permette di emanciparsi da quella narcisista, mercantile e patriarcale del mondo. Accogliendo una suggestione di Pasolini potremmo dire che il sospetto del corpo e dell’immaginazione sia frutto di una teologia borghese, preoccupata di contenere i sentimenti e disciplinare le emozioni, refrattaria ad aprire scenari inediti e preferendo al salto in avanti del canguro il salto indietro del gambero. 

Solo una teologia antiborghese può immaginare scenari inclusivi in cui l’orfano, la vedova e lo straniero, di cui secondo l’immaginario biblico Dio stesso si prende cura, avranno salvaguardati i loro diritti con le escluse e gli esclusi del mondo, e potrà produrre scenari possibili di giustizia.

Una teologia immaginativa è quella che entra nel dibattito pubblico e dice una parola di senso per l’oggi, per il dramma che vive il mondo o per contribuire a un progetto di fedeltà alla terra. Il linguaggio immaginativo, poetico rompe gli stereotipi e invita la teologia a prendere contatto con il corpo, non solo con quello della dottrina, ma con il nostro stesso corpo malato, fragile, diverso, mortale. Con i corpi delle vittime stesse del sistema economico e politico, con le vittime del sistema delle religioni e delle chiese stesse.

Qualcuno certamente potrebbe obiettare che la teologia non può occuparsi di tutto… ma questo può essere anche un alibi per continuare a stare fuori dal mondo, per salvaguardarsi nel proprio recinto borghese e clericale.

Di cosa si dovrebbe occupare allora? La teologia in realtà per molti secoli si è sempre occupata di tutto. Solo che l’ha fatto con un senso di onnipotenza, che escludeva gli altri saperi. Ma se ieri la teologia ha preteso di possedere un sapere esclusivo ed escludente, oggi la teologia deve partecipare a quella ricerca plurale di sapienze, di linguaggi, di buone pratiche che possono ridare un senso a un modo plurale di immaginare il mondo. Che cosa si guadagna, per stare alle parole di Calati, nel passaggio da una teologia prescrittiva a una teologia immaginativa? Si guadagna la sua liberazione. La liberazione della teologia infatti è premessa a ogni teologia della liberazione, come ci insegna la teologia femminista ad esempio.

È proprio la pratica teologica esposta, coraggiosa, che assume la parola sul mondo che fa un corpo a corpo con il mondo, come lotta, ma anche come danza amorosa (come l’angelo e Giacobbe nel fiume) che libera la teologia prescrittiva dal suo rigor mortis e la chiama fuori dalla tomba: vieni fuori…

Soprattutto quando il dibattito è centrale sul destino della terra, sulla pace mondiale, sulla violazione dei diritti umani, sull’agonia della terra, come può mancare una voce della teologia? Tanto più che oggi proprio in nome di dio, o meglio di una idea di dio, viene giustificato un modo di creare un mondo escludente e violento. Appaiono all’orizzonte nuovi faraoni che vendono, come ricorda il profeta Amos. i poveri e i popoli per un paio di sandali. Questa è la religione della prescrizione, del pre-scritto che non ha a cuore il destino del mondo ma quello del proprio sistema esclusivo ed escludente.

Pensiamo per l’immaginazione al contributo del teologo statunitense David Tracy15 che invita ad assumere questa prospettiva immaginativa della teologia e viverla nelle differenti declinazioni, in uno spazio pubblico che si apre in tre direzioni: società, accademia, chiesa. Non solo per la chiesa ma prima di tutto per il mondo, poi per un dialogo tra i saperi, di cui l’università è l’espressione non assoluta, ma imprescindibile, e infine con la chiesa come comunità di persone16.

Tracy è stato discepolo di Metz, per questo si è interessato di teologia pubblica e ha lavorato sull’immaginazione. Se Metz ha detto che è necessario andare «al di là della religione borghese», potremmo dire allora che è necessario andare “al di là della teologia borghese”17. La teologia borghese è una teologia prescrittiva, quella cioè che scrive prima, che vuole conservare lo status quo, che non si lascia interrogare dalla vita, dalla storia. Che in nome del proprio sapere dogmatico paralizza le emozioni, i sentimenti, che rifiuta ogni tipo di denuncia per salvaguardare il proprio sapere come potere. Alda Merini, poetessa italiana candidata al Nobel per la Letteratura, mi disse quando le chiesi cosa avrebbe potuto fare la poesia per la teologia: «Prendere i dogmi e farli cantare»18. La verità non statica, ma dinamica, che dialoga, immagina e danza. 

Per comprendere quanto l’immaginazione possa essere una qualità necessaria per cambiare il mondo, vorrei riportare una esperienza riferita all’architettura. 

Renzo Piano, architetto e visionario noto in tutto il mondo, ha realizzato per l’hospice pediatrico a San Lazzaro-Savena a 5 km da Bologna un ospedale per bambine e bambine tra gli 0 e gli 8 anni. Bambini che a oggi sembrano non avere possibilità di guarigione e vanno accompagnati finché c’è in loro la vita… All’architetto visionario, quando ha visto il luogo collocato in un bosco in crescita, è venuta in mente una immagine: ecco l’immaginazione… Ha pensato a se stesso bambino (ricordo l’espressione del poeta Franco Loi, Da bambino il cielo), a quella che noi bambini e bambine abbiamo sempre desiderato, “una casa sull’albero”, e qui ha finalmente immaginato che avrebbe fatto una casa sull’albero per queste bambine e questi bambini. Un ospedale, un hospice pediatrico sugli alberi19.

Piano ha confidato: «L'architettura non è solo risposta ai bisogni ma anche ai desideri e ai sogni»20. Quello che ha fatto Piano è stato offrire ai bambini il sogno di abitare sugli alberi. Secondo il «paradosso di Picasso: “Ci vuole molto tempo per diventare giovani”. Giovane, anzi, addirittura bambino, Piano è diventato nel progettare una delle sue ultime opere: forse la più empatica e difficile»21. Se c’è però un ambito in cui la teologia deve imparare a dialogare è certamente quello della letteratura. La Letteratura ci fa sperimentare vie possibili, inesplorate, promettenti. Il teologo Elmar Salmann ha espresso in modo suggestivo questa relazione in un felice titolo di una sua opera, La Teologia è un romanzo22.

Sembra però che anche il rapporto tra teologia e letteratura sia stato minato dal sospetto. In ambito cattolico l’aveva segnalato recentemente papa Francesco con una lettera inizialmente indirizzata a chi si formava per diventare prete ma poi estesa a tutti. Bergoglio, che da professore di Letteratura aveva inviato il poeta Borges ad incontrare i suoi studenti, scrive richiamando il valore della letteratura nella formazione teologica: 

La letteratura è spesso considerata, infatti, come una forma di intrattenimento, ovvero come una espressione minore della cultura, che non apparterebbe al cammino di preparazione e dunque all’esperienza pastorale concreta dei futuri sacerdoti. Tranne poche eccezioni, l’attenzione alla letteratura viene considerata come non essenziale23.

Il papa argentino parla di una povera teologia se non si incontra con la ricchezza della letteratura: 

A riguardo, desidero affermare che tale impostazione non va bene. È all’ origine di una grave forma di impoverimento intellettuale e spirituale dei futuri presbiteri, che vengono, in tal modo privati di un accesso privilegiato, tramite appunto la letteratura, al cuore della cultura umana e più nello specifico al cuore dell’essere umano24.

Il premio Nobel della Letteratura Mario Vargas Llosa nel ritirare il prestigioso riconoscimento ha scritto: «Un mondo senza letteratura sarebbe un mondo senza desideri e senza ribellione, un mondo di automi sprovvisti di ciò che rende davvero umano un essere umano: la capacità di uscire da sé stesso, di trasformarsi in un altro, in altri plasmati con l’argilla dei nostri sogni»25.

In uno scritto stimolante, Apologia dell’immaginazione, il teologo Marco Dal Corso riporta il pensiero del teopoeta Rubén Alves: «Descartes si sbagliava. L’essenza dell’uomo non è il pensiero. È desiderio. E, in ogni atto di ricerca stiamo cercando quello che desideriamo incontrare. La fantasia crea la ragione»26.

Bisogna dunque alimentare l’immaginazione, senza stancarsi. Poiché anche il più grande dei sognatori, delle sognatrici può finire per rinunciare alla sua utopia. Capita anche a chi è considerato il cavaliere errante della Letteratura. Alla fine del romanzo, l’Idalgo della Mancia è tornato a essere Alonso Chisciano il buono, sotto le coperte del buon senso o meglio del senso comune, sul letto di morte. Ecco cosa confida il Cavaliere al suo scudiero Sancio: «Perdonami amico, d’averti messo nel caso di sembrare pazzo come me, facendoti cadere nell’errore in cui io sono caduto che, cioè, ci furono e ci sono cavalieri erranti nel mondo»27.

Ed ecco la sorpresa, la metamorfosi di Sancio:

Ah – rispose Sancio, piangendo – non se ne muoia vossignoria, padron mio, ma dia retta a me: viva ancora a lungo, perché la maggior pazzia che un uomo possa fare in questa vita è di lasciarsi morire, così. Senza ragione, senza che l’uccida nessuno né che altra violenza lo conduca alla fine, tranne quella della malinconia. Su, non faccia il pigro, ma si alzi da codesto letto e andiamocene alla campagna vestiti da pastori, come si è concertato: chissà che al di là di qualche siepe non troveremo la signora Dulcinea disincantata, tanto bella che non ci sia da andare più in là. Se è che vossignoria se ne muore dal dispiacere di vedersi vinto, getti la colpa su di me dicendo che fu scavalcato perché io misi male le cinghie a Ronzinante...28

Alonso Chisciano il Buono rinuncia a essere don Chisciotte? Oppure, come si dice dei profeti, un quarto del suo spirito trasmigra nell’altro? 

L'immaginazione per fortuna si trasmette, e questo può accadere anche per la teologia. 

C’è sempre una congrega di preti e di barbieri che convincono che la mediocrità è meglio della follia. Infatti è più facile dominare e indottrinare i mediocri che i folli. 

La metafora del sogno è la promessa che la letteratura consegna alla teologia. Ha detto Mario Vargas Llosa che «da quando cominciarono a sognare collettivamente, a condividere i sogni, stimolati da narratori di storie, essi smisero di essere legati alla giostra della sopravvivenza, a un vortice di occupazioni degradanti, e la loro vita divenne sogno, godimento, fantasia (…) un piano rivoluzionario».29

Anche i teologi talvolta hanno sognato. Le teologhe lo fanno di più.

Imprescindibile rimane il sogno di Martin Luther King, matrice di tutti i sogni novecenteschi. Di sogni ha parlato Carlo Maria Martini immaginando un nuovo concilio.

C’è anche la teologia che sogna come ha fatto Bernard Häring nell’agile testo Perché non fare diversamente? in cui racconta un sogno per la chiesa: l’elezione di Papa Giovanni XXIV30.

Il teologo gesuita Karl Rahner nel 1980 in Sollecitudine per la chiesa intitola un capitolo “Il sogno della Chiesa”. Scrive: «Voglio raccontare un sogno. È un’impresa difficile per me; infatti per quanto ne so, sogno raramente. Quello che mi accingo a raccontare riguarda per di più la Chiesa, un tema nei confronti del quale è più facile avere degli incubi (…); sono un teologo cattolico (…), dato che il mio sogno deve riferirsi al futuro, devo sognare in maniera promettente, la futura unità della cristianità»31.

Poi a sogno finito, il gesuita tedesco racconta: «Quando lo raccontai a un amico, egli rispose: è il sogno tipico di un professore di teologia».32

Forse i più bisognosi di sognare sono proprio i professori di teologia. Sembrava pensarlo anche lo stesso Rahner quando concluse così il suo racconto: «Comunque nessuno ci proibisce di sognare e di sperare».33

Papa Francesco rivolgendosi a quelli che felicemente ha definito poeti sociali scrive: «Sogniamo insieme, perché sono stati proprio i sogni di libertà, di uguaglianza, di giustizia, di dignità, i sogni di fraternità a migliorare il mondo. E sono convinto che attraverso questi sogni passa il sogno di Dio per tutti noi che siamo suoi figli».34

L'immaginazione non è solo una virtù politica, così necessaria in un mondo privo di politica che immagina l’utopia. È anche una virtù teologica. E certamente una virtù ecumenica. Tanto che potremmo ben dire che senza immaginazione non può esserci ecumenismo. Non ci potrà esserci nessuna possibile escatologia senza costanti, coraggiosi, fantasiosi esercizi di immaginazione. 

Lo ricordava con lucidità e immaginazione il nostro amico teologo Placido Sgroi in Verso un ecumenismo narrativo. Scrive: «Il narrare può fornire alla teologia ecumenica (e all’ecumenismo tout court) un impulso ulteriore per andare oltre l’inverno ecumenico»35.

Per concludere vorrei raccontare una piccola storia: facevo un laboratorio di storie sulla Bibbia, il Corano e la letteratura. Erano bambini di 3a e 4a elementare, tutti piccoli visionari, piccole visionarie. Quelle storie loro le vedevano, le sentivano sulla pelle. Arrivati al terzo incontro il laboratorio era ormai finito. Fatima, una bambina musulmana, mi fermò sulla porta. “Devo parlarti” mi disse, come fosse già grande. “Di cosa?”, “Di una cosa importante”.

Aveva due occhi così grandi che sembravano non starci nemmeno in quell’esile corpo filiforme. “La maestra ci ha detto che venivi tre volte e che questa è la terza volta”. “Sì”, risposi, “è vero”. Si fece più seria e gli occhi più grandi… “e la terza volta è l’ultima volta?”. “Sì”, dissi, “questa è l’ultima volta”. Tutto sembrava concluso. Ma fu allora che la bambina si spinse sulle punte dei piedi per diventare più grande e mi disse: “Ma dopo l’ultima volta c’è un’altra volta?”.

Nessuno mi ha dato una più bella lezione di utopia come Fatima. Negli studi di teologia si usa la parola escatologia, cioè il pensiero delle cose ultime. Ma è stata Fatima ad insegnarmi che la vera rivoluzione delle “cose ultime” è pensare che ce ne sia un’altra ancora…

Note

1. Pensando a un aforisma dal Trattato logico di Wittgenstein: «Ciò di cui non si può parlare è meglio tacere». Umberto Eco ha tradotto questa specie di epitaffio così: «Ciò di cui non si può parlare bisogna raccontare».

2. Nino Pozzo (Verona, 1901-1983), che nel 1923 fonda il Teatro Mondo Piccino.

3. R. Luise, La visione di un monaco. Il futuro della fede e della chiesa nel colloquio con Benedetto Calati, Cittadella, Assisi, 2001, p. 15.

4. P. L. Berger, Una gloria remota. Avere fede nell’opera del pluralismo, il Mulino, Bologna, 1994, p. 165.

5. R. Alves. Filosofia da ciencia, Loyola, Sao Paulo, 2000, p. 158. Traduzione dal portoghese di Marco dal Corso.

6. M. Zambrano, I luoghi della poesia, Bompiani, Milano, 2011, pp. 86-87.

7. Alves, Filosofia da ciencia, cit., p. 154. Traduzione dal portoghese di Marco dal Corso. Lo stesso è curatore di Religioni e immaginazione, Edizioni Antonianum, Roma, 2024, pp. 9-16.

8. M. Althaus-Reid, Indecent Theology. Theological Perversion in Sex, Gender and Politics, Routledge, London, 2000.

9. Chagall e la Bibbia, a cura di G. B. Martini, A. Ronchetti, Mondadori Electa, Milano, 2004, p. 15.

10. C. Molari, in B. Salvarani, Le storie di Dio. Dal grande codice alla teologia narrativa, EMI, Bologna, 1997, p. 99. Si veda anche B. Wacker, Teologia narrativa, a cura di C. Molari, Queriniana, Brescia, 1981.

11. N. Steeves, Grazie all’immaginazione. Integrare l’immaginazione in teologia fondamentale, Queriniana, Brescia, 2018, p. 9.

12. Cfr. C. Di Sante, La rinascita dell’utopia, Edizioni Lavoro, Roma, 2000.

13. C. Campo, “Sensi soprannaturali”, in Gli imperdonabili, Adelphi, Milano, 1987, p. 216.

14. Così una lirica di D. M. Turoldo, Canti ultimi, Servitium, Milano, 2017, pp. 15-16.

15. D. Tracy, The analogical imagination: Christian theology and the culture of pluralism, Crossroads, New York, 1981.

16. Si veda a proposito il testo di A. Autiero, “Tra diritto e morale. L’accompagnamento pastorale nell’orizzonte di Amoris laetitia”, in V. Buonomo, M. D’Arienzo, O. Échappé (a cura di), Lex rationis ordinatio. Studi in onore di Patrick Valdrini, 3 Voll., Luigi Pellegrini Editore, Cosenza 2002, Vol. I, pp. 104-119.

17. J. B. Metz, Al di là della religione borghese. Discorsi sul futuro del cristianesimo, Queriniana, Brescia, 1981.

18. Si veda M. Campedelli, Il vangelo secondo Alda Merini, Claudiana, Torino, 2019, p. 37.

19. Cfr. I. Vasentini, “Seragnoli: 20 milioni per l’hospice pediatrico progettato da Renzo Piano”, in Il Sole24Ore, 28 giugno 2017.

20. Così nella sua dichiarazione pubblicata con il titolo “Piano: L’architettura è sogni e bisogni”, in Vita, 20 novembre 2009.

21. F. Irace, “Renzo Piano crea l’hospice dei bimbi sugli alberi”, in Il Sole24Ore, 46, 16 febbraio 2025.

22. E. Salmann, La Teologia è un romanzo. Un approccio dialettico a questioni cruciali, Paoline, Milano, 2000.

23. Papa Francesco, Lettera sul ruolo della Letteratura nella formazione, introduzione di Antonio Spadaro, Ancora editrice, Milano, 2024, p. 17.

24. Ibidem.

25. M. Vargas Llosa in Aa. Vv., I Nobel dalla Letteratura si raccontano, traduzione di S. Crimi, A. Frigo, Terre di Mezzo, Milano, 2012, p. 88.

26. M. Dal Corso, “Apologia dell’immaginazione”, in Immaginare la città. Spazi di profezia per la Verona di domani, a cura di M. Dal Corso, Gabrielli editori, Verona, 2024, p. 72.

27. Leggo il testo da M. De Cervantes, Don Chisciotte della Mancia, con illustrazioni di G. Doré, introduzione J. L. Borges, 2 Voll., Rizzoli, Milano, 1994, Vol. II, p. 628. 

28. Ibidem.

29. M. Vargas Llosa in Aa. Vv., I Nobel dalla Letteratura si raccontano, cit., p. 87.

30. B. Häring, Perché non fare diversamente?, Queriniana, Brescia, 1993.

31. K. Rahner, Sollecitudine per la Chiesa, San Paolo Edizioni, Cisinello Balsamo, 1980, p. 425.

32. Ivi, p. 439.

33. Ibidem.

34. Papa Francesco, “Siete poeti sociali”, in Viva la Poesia, cit., p. 129.

35. P. Sgroi, Verso un ecumenismo narrativo, Prospettive interdisciplinari fra psicologia del profondo, filosofia e teologia, supplemento a Quaderni di studi Ecumenici, 37 (2018), Pazzini, Verucchio (RN), 2018, p. 3. 

*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza 

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