
Una “Teologia Pubblica ecumenica” per incontrare la realtà
Tratto da: Adista Documenti n° 31 del 13/09/2025
DOC-3405. VENEZIA-ADISTA. «Non si può ridurre la religione alla sola dimensione privata rinunciando alla sua carica profetica e che è necessario educarsi a utilizzare un linguaggio accessibile anche a chi non appartiene alla comunità religiosa o è di altra tradizione spirituale. A motivare ulteriormente la ricerca, infine, è stata l’urgenza di frequentare il dibattito pubblico e partecipare alla costruzione della cittadinanza in dialogo con le scienze sociali, le culture e le religioni». C’è una dimensione pubblica, condivisa e da condividere della teologia, da valorizzare e sperimentare nella quotidianità della vita sociale e politica. Una dimensione che supera quella strettamente accademica, elitaria, che rischia di perdere le parole per comunicare la ricerca dei modi di dire Dio nella contemporaneità scristianizzata. Un “fare teologia”, che significa lasciarsi interpellare e interrogare dalle domande di senso di oggi, lavorare nella dimensione pubblica, appunto, mescolarsi e lasciarsi contaminare dal quotidiano in una dimensione il più possibile inclusiva, planetaria ed ecumenica, osare un nuovo modo di guardare la storia.
A questa esigenza offre una importante risorsa di pensiero e riflessione l’ultimo numero della Rivista di Studi Ecumenici dell’Istituto di Studi Ecumenici “San Bernardino” di Venezia, diretta da fra’ Lorenzo Raniero – preside dell’Istituto - intitolata “Teologia Pubblica ecumenica: un lessico” (gennaio-giugno 2025). Un corposo dossier che ne raccoglie diverse declinazioni, sensibilità, campi di applicazione, contesti. Tra i numerosi contributi, quelli di Fulvio Ferrario (i caratteri propri della teologia in otto punti), Simone Morandini (la teologia nello spazio pubblico, senza tentazioni di colonizzzazione), Marco Dal Corso (il dialogo con la società plurale, dove c’è meno religione e più ricerca spirituale), Paolo Naso (la crisi della democrazia), Aluisi Tosolini (riflettere sull’educazione come strumento del diritto alla realizzazione personale in un modo di cui fanno parte anche le esperienze religiose), Brunetto Salvarani (la pace come dimensione in cui scandagliare il mistero di Dio), Elisabetta Ribet (il dialogo con alcuni linguaggi dei nostri tempi). Tutto l’edificio è sorretto dal pilastro della responsabilità di matrice biblica (su cui riflette Carmine Di Sante) come piano cartesiano su cui si muovono Dio, il mondo, l’altro e in cui il discrimine rispetto ad altre concezioni è dato dall’alterità.
Questo paradigma non è pensabile al di fuori di un’immaginazione creativa, in cui la teologia esprima il coraggio profetico delle verità più scomode, non abbia paura di esporsi al mondo e maturi una potenza visionaria: la teologia immaginativa diventa la chiave per dire oggi una parola significativa e di orientamento nei meandri labirintici della complessità contamporanea, per decostruire e ricostruire. È il tema affrontato nel suo contributo, che riportiamo qui integralmente, da Marco Campedelli, teologo e narratore, autore, tra l’altro, della nostra rubrica “Più forte ti scriverò” su Adista Segni Nuovi.
Qui l'articolo di Lorenzo Raniero.
*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza
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