Le sanzioni USA a Francesca Albanese e alla Corte penale internazionale
Il seguente articolo è stato postato dal magistrato Domenico Gallo sul suo sito oggi, 10 settembre 2025.
Gli Stati Uniti cercano di spegnere la voce della giurisdizione internazionale per consentire a Israele di procedere indisturbato nei massacri e nella pulizia etnica del popolo palestinese. Lo strumento principale è l’applicazione di sanzioni che paralizzino l’attività e la vita di giudici ed esperti dell’Onu come Francesca Albanese. E, scandalosamente, la Commissione europea sta a guardare senza tutelare i propri cittadini e giudici.
«Gli Stati Parti del presente Statuto; consapevoli che tutti i popoli sono uniti da stretti vincoli e che le loro culture formano un patrimonio condiviso, un delicato mosaico che rischia in ogni momento di essere distrutto; memori che nel corso di questo secolo, milioni di bambini, donne e uomini sono stati vittime di atrocità inimmaginabili che turbano profondamente la coscienza dell’umanità; riconoscendo che crimini di tale gravità minacciano la pace, la sicurezza ed il benessere del mondo […]»: così recita il preambolo dello Statuto di Roma che ha istituito la Corte penale internazionale. In questo tempo in cui milioni di bambini, donne e uomini sono tornati ad essere di nuovo vittime di atrocità inimmaginabili, la preoccupazione principale degli Stati Uniti è di spegnere la voce della giurisdizione internazionale per consentire ad Israele di portare avanti indisturbato il suo programma di massacri e pulizia etnica della popolazione palestinese.
Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei territori occupati, ha spiegato il 4 settembre in una conferenza stampa al Senato gli effetti delle sanzioni decretate contro di lei dall’amministrazione Trump. Le sanzioni comportano il blocco di tutti i suoi beni negli Stati Uniti, immobili e conti correnti, e il divieto di ricevere donazioni, retribuzioni e ogni trasferimento di denaro per qualsiasi causa. In questo caso le sanzioni USA hanno effetti extraterritoriali paradossali per cui l’Albanese non può aprire un conto corrente presso una banca italiana o europea, né possedere o usare carte di credito. Essere inseriti nella lista nera dell’OFAC (l’Ufficio del Tesoro che controlla gli assetti finanziari stranieri) comporta una sorta di morte civile perché viene impedito l’esercizio di diritti fondamentali per gestire la propria vita. Il problema però non riguarda solo la persona di Francesca Albanese o il Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU, che ha conferito all’Albanese il mandato di Relatrice speciale. L’obiettivo delle sanzioni USA è paralizzare il funzionamento della Corte penale internazionale, agendo per conto di Israele.
La fonte giuridica su cui si basano le sanzioni è l’Ordine Esecutivo n. 14203 emesso da Donald Trump il 6 febbraio 2025. Con questo provvedimento Trump si duole dei procedimenti intrapresi dalla CPI nei confronti di Stati Uniti e Israele affermando che la Corte «ha abusato del proprio potere emettendo mandati di arresto infondati contro il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex Ministro della Difesa Yoav Gallant». Secondo Trump la Corte penale internazionale non ha alcun motivo per indagare su USA e Israele perché «entrambi sono democrazie fiorenti con forze armate che rispettano rigorosamente le leggi di guerra». Proseguendo, Trump dispone:
«qualsiasi tentativo da parte della CPI di indagare, arrestare, detenere o perseguire persone protette (in sostanza i governanti e i militari israeliani, ndr) costituisce una minaccia insolita e straordinaria alla sicurezza nazionale e alla politica estera degli Stati Uniti, e con la presente dichiaro uno stato di emergenza nazionale per affrontare tale minaccia. […] Gli Stati Uniti imporranno sanzioni concrete e significative a coloro che sono responsabili delle violazioni della CPI, che potranno includere il blocco di beni e proprietà, nonché la sospensione dell’ingresso negli Stati Uniti per funzionari, dipendenti e agenti della CPI, insieme ai loro familiari stretti»
L’ordine esecutivo sanziona direttamente il Procuratore capo della CPI Karim Khan. Ma Trump non si ferma qui e delega il Segretario di Stato, Marco Rubio, a designare gli ulteriori soggetti da sanzionare fra tutti coloro che partecipano o contribuiscono all’attività della CPI. Dopo il Capo della Procura, sono stati sanzionati a cascata altri otto magistrati: il 5 giugno 2025 quattro giudici della CPI: Solomy Balungi Bossa (Uganda), Luz del Carmen Ibáñez Carranza (Perù), Reine Adelaide Sophie Alapini-Gansou (Benin), Beti Hohler (Slovenia); e il successivo 20 agosto due ulteriori giudici – Nicolas Guillou (Francia) e Kimberly Prost (Canada) – e due vice-procuratori – Nazhat Shameem Khan (Figi) e Mame Mandiaye Niang (Senegal).
A Francesca Albanese sono state applicate, con un decreto di Marco Rubio del 9 luglio 2025, le medesime sanzioni previste per la CPI perché, nella sua qualità di Relatrice speciale dell’ONU, «ha manifestato uno sfacciato antisemitismo, ha espresso sostegno al terrorismo e aperto disprezzo per gli Stati Uniti, Israele e l’Occidente. Tale pregiudizio è stato evidente nel corso della sua carriera, inclusa la raccomandazione alla CPI, senza una base legittima, di emettere mandati di cattura contro il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex Ministro della Difesa Yoav Gallant». Nel suo decreto Rubio lamenta, inoltre, che Albanese «di recente ha intensificato questa azione scrivendo lettere minatorie a decine di entità in tutto il mondo, tra cui importanti aziende americane nei settori della finanza, della tecnologia, della difesa, dell’energia e dell’ospitalità, formulando accuse estreme e infondate e raccomandando alla CPI di avviare indagini e procedimenti penali contro queste aziende e i loro dirigenti». Quindi Rubio conclude: «Non tollereremo queste campagne di guerra politica ed economica, che minacciano i nostri interessi e la nostra sovranità nazionale. Gli Stati Uniti continueranno a intraprendere tutte le azioni che riterranno necessarie […] per controllare e prevenire gli abusi di potere e gli abusi illegittimi della CPI e per proteggere la nostra sovranità e quella dei nostri alleati». Le sanzioni alla Relatrice speciale dell’ONU rientrano a pieno titolo nell’aggressione alla Corte penale internazionale che gli USA vogliono paralizzare al fine, chiaramente espresso, di proteggere Israele.
Le sanzioni alla CPI hanno suscitato un’immediata ondata di dissenso a livello globale. In particolare, 79 Stati parti dello Statuto di Roma, il 7 febbraio 2025, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta affermando il loro «continuo e incrollabile sostegno all’indipendenza, all’imparzialità e all’integrità della CPI» perché «la Corte rappresenta un pilastro fondamentale del sistema giudiziario internazionale, garantendo l’accertamento delle responsabilità per i crimini internazionali più gravi e la giustizia per le vittime». La Dichiarazione osserva, inoltre, che le sanzioni «aumentano il rischio di impunità per i crimini più gravi e minacciano di erodere lo stato di diritto internazionale, fondamentale per promuovere l’ordine e la sicurezza globali» e conclude con l’impegno dei paesi firmatari a «garantire la continuità operativa della CPI affinché possa continuare a svolgere le sue funzioni in modo efficace e indipendente». La Dichiarazione è stata firmata da tutti i paesi dell’Unione Europea, tranne l’Italia, la Repubblica ceca e l’Ungheria. Evidentemente l’insofferenza del Governo Meloni per la giurisdizione non si arresta alle frontiere nazionali e non esita a rovesciare le tradizioni costituzionali del nostro paese che è stato capofila dell’iniziativa diplomatica sfociata nella sottoscrizione a Roma, il 17 luglio 1998, dello Statuto della CPI. Malgrado le intenzioni dei 79 paesi, impegnati a garantire l’operatività della Corte, le sanzioni statunitensi, per i loro effetti extraterritoriali, hanno la capacità di compromettere gravemente il funzionamento della Corte. Infatti, le istituzioni finanziarie (come succede per l’Albanese) possono rifiutarsi di collaborare con la CPI per timore di ritorsioni da parte degli Stati Uniti, impedendone così l’accesso ai servizi bancari essenziali. Analogamente, le aziende che forniscono servizi informatici e tecnologici fondamentali per la raccolta e la gestione delle prove possono decidere di interrompere ogni rapporto con la Corte, privandola di strumenti essenziali per il suo operato. Del resto, i giudici, così fortemente colpiti e intimiditi dalle sanzioni, difficilmente possono continuare il loro lavoro con la serenità necessaria.
L’Unione europea da tempo si è posta il problema di reagire agli effetti extraterritoriali delle sanzioni americane che incidono negativamente sull’attività commerciale e finanziaria di aziende e cittadini dell’Unione. La reazione si è concretizzata nel cosiddetto “Regolamento di blocco”. Il regolamento n. 2271/96 fu adottato in risposta alle disposizioni statunitensi che nel 1996 avevano imposto sanzioni nei confronti di Cuba, Iran e Libia, impedendo di effettuare transazioni commerciali da e verso quei Paesi. Il regolamento “blocca” gli effetti extraterritoriali delle sanzioni USA imponendo alle persone fisiche e giuridiche stabilite nell’Unione di non dare seguito agli atti normativi extraterritoriali statunitensi elencati nell’allegato, così come a decisioni, sentenze o lodi arbitrali su questi fondati (art. 5, comma 1 e 11). L’allegato elenca gli atti legislativi e i regolamenti statunitensi nei confronti dei quali trova applicazione il regolamento di blocco. Alla Commissione spetta il potere di modificare l’allegato (art. 11 bis) per aggiornarlo alla luce dei fatti successivi. Infatti, con il successivo regolamento delegato (UE) 2018/1100, la Commissione, ha aggiornato l’allegato, al fine di tenere conto delle sanzioni adottate dagli USA contro l’Iran nel 2012.
La pretesa di bloccare la Corte penale internazionale, proprio nel momento in cui sarebbe massimo il bisogno di reagire con misure di giustizia a un genocidio in corso sotto i nostri occhi, è uno scandalo, un golpe contro il diritto internazionale e le regole che faticosamente la Comunità degli Stati si è data per cercare di rafforzare la debole trama del diritto internazionale dei diritti umani. Si può discutere dell’efficacia reale del Regolamento di blocco, ma è l’unico strumento di cui l’unione Europea dispone per reagire all’arroganza USA. È, per questo, vergognoso che la Commissione UE, malgrado le chiacchiere di Ursula Von der Layen e Kaja Kallas, non abbia ancora inserito l’illegale ordine esecutivo di Trump e i suoi seguiti nell’elenco dei provvedimenti oggetto del Regolamento di blocco, consentendo in questo modo agli USA di paralizzare il funzionamento della Corte penale internazionale.
*Foto ritagliata di Esquerda.net tratta da Commons Wikimedia, immagine originale e licenza
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