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I credenti e le sfide del fine-vita: un convegno a Milano

I credenti e le sfide del fine-vita: un convegno a Milano

Tratto da: Adista Notizie n° 38 del 01/11/2025

42411 MILANO-ADISTA. Un Convegno sul “senso del vivere e del morire”, fu pensato già nel 2019 dal “Coordinamento 9 marzo” (nato a Milano il 9 marzo 2002, al termine dell’episcopato del card. Martini per tenere vivi quei problemi che nella Chiesa istituzionale vengono spesso rimossi: ne fanno parte Noi siamo Chiesa, il Gruppo Promozione Donna, la Comunità ecclesiale di S. Angelo, la Rosa Bianca e altri). Doveva realizzarsi nel 2020, in occasione dei 90 anni di Teresa Ciccolini, in segno di gratitudine per la sua profetica testimonianza. Tutto fu poi rimandato a causa dalla pandemia e, successivamente, dalla malattia e dalla morte di Vittorio Bellavite.

Proprio nel nome di Bellavite il convegno si è infine realizzato. Alla libreria Claudiana di Milano il 18 ottobre scorso, sul tema “Disponibilità o indisponibilità della vita? Il percorso etico–giuridico e le sfide sulla fine della vita”, si sono confrontati i tanti partecipanti ai lavori, in una prospettiva di dialogo tra fede e laicità. Nella sua introduzione ai lavori Monica Fabbri, membro della Commissione Sinodale per la Diaconia della Chiesa valdese, ha definito Bellavite «non solo un fratello nella fede», ma «un compagno di impegno», «una presenza che ha saputo unire profondità spirituale, passione per la giustizia e fedeltà al suo pensiero, anche nei momenti difficili», un maestro di «radicalità tollerante», che sapeva unire «rigore morale, apertura al dialogo e una profonda capocità di ascolto, oggi sempre più rara». Bellavite «non rinunciava al conflitto, quando era necessario, ma era per lui uno strumento non distruttivo, ma costruttivo»; questo perché «la sua visione ecclesiale non era statica e credeva in una Chiesa che rimanesse “semper reformanda”».

Nella mattinata sono intervenuti Patrizia Borsellino, che è ordinaria di Filosofia del diritto e di bioetica alla Bicocca, presidente del comitato per l'etica del fine vita, e padre Carlo Casalone, gesuita, una laurea in medicina, docente di teologia morale alla Pontificio Università Gregoriana di Roma.

Borsellino: la morte, una questione complessa

Borsellino si è chiesta in che senso si può parlare del morire come di una «questione complessa» e da quando il morire si è presentato come questione complessa nella storia dell'umanità? La morte, ha detto, è «l'evento naturale per eccellenza», perché necessario, inevitabile e riguarda tutti gli esseri umani. È stato “naturale” per lungo tratto della storia umana «anche perché era un evento sottratto al controllo umano». La morte è diventata «fonte di problemi esistenziali e morali» nel momento in cui essa «e in particolare il processo che ad essa conduce, cioè appunto il morire, hanno perso proprio il carattere della naturalità, non certo nel senso che la morte sia uscita dal destino umano, ma nel senso che è uscita da un altro orizzonte, quello della necessità e del caso, per essere legata sempre più alla possibilità del controllo umano». Ciò è avvenuto in tempi relativamente recenti, più o meno dalla metà del secolo XX secolo, soprattutto nelle aree sviluppate del mondo, quando, grazie agli straordinari progressi scientifici in abito biomedico e alla disponibilità di metodiche, di apparati, di strategie terapeutiche che erano del tutto estranee alla medicina nelle fasi precedenti, è stato possibile che la morte diventasse evento, certo, pur sempre inevitabile, «ma modulabile nel quando e nel come, modulabile nei tempi e nei modi». Ciò ha aperto anche scenari di «protrazione della sopravvivenza e di allungamento di quella fase intermedia tra la vita e la morte», che prima era spesso estremamente breve.

Diverse patologie, che hanno un ingravescente sviluppo, vengono oggi validamente contrastate con gli strumenti disponibili, che possono però produrre una protrazione di condizione di vita «sovente caratterizzata da crescente sofferenza», a seguito della messa in atto di interventi di sostegno vitale, che conducono a una «sospensione tra la vita e la morte», che non è naturale. Perché «finché non c’erano possibilità di intervento non era necessario scegliere», ma oggi «l'aumentata possibilità di intervento legata agli sviluppi e alle trasformazioni nella medicina» porta domande inedite. Prima infatti «si dava per scontato il valore del mantenimento della sopravvivenza», perché altra scelta non c'era; oggi viene sempre più condiviso il «riconoscimento al soggetto direttamente interessato, che gioca la sua salute e la sua vita, della prerogativa di avere voce nelle decisioni che lo riguardano». Fino all’ultima frontiera della morte medicalmente assistita.

Sullo sfondo, la sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l'incostituzionalità di un articolo del Codice Penale Italiano, il 580, nella parte in cui qualifica come reato ogni forma di suicidio assistito o assistenza prestata nel suicidio. Per la Consulta sono i soggetti che siano senz'altro capaci di assumere decisioni inconsapevoli, che siano affetti da patologie irreversibili, che abbiano uno stato di sofferenza da loro stessi giudicato insopportabile possono invece, nelle strutture pubbliche e previa autorizzazione del comitato etico territoriale, accedere al suicidio assistito. Questo perché la Consulta ha rintracciato nella realtà scientifica e terapeutica odierna «situazioni inimmaginabili» solo alcuni decenni fa (ossia quando, negli anni ‘30, era stato redatto l’articolo 580).

P. Casalone:la vita, un bene non sempre indisponibile

Nel suo intervento padre Casalone ha dapprima sottolineato che la vita umana è per il cristiano un valore fondamentale ma non assoluto, perché non è realtà “ultima”, ma “penultima”, in quanto la chiamata fondamentale dell’uomo «consiste nella partecipazione alla vita stessa di Dio». In questo senso, ha spiegato il gesuita, la vita nella sua dimensione terrena non è un bene indisponibile a prescindere, se è vero che Gesù stesso ha offerto la sua vita per gli altri, o un testimone eroico del cristianesimo come padre Massimiliano Kolbe consegnò se stesso a una morte terribile per salvare un padre di famiglia con cui Kolbe chiese ai nazisti di scambiarsi. Nemmeno, rileva padre Casalone, c’è obbligo di impiegare sempre tutti i mezzi terapeutici potenzialmente disponibili perché, in casi determinati, è lecito astenersene. O interrompere le cure. Per esempio nel caso dell’ostinazione irragionevole di alcune terapie.

La vita non è però sempre un bene sempre disponibile per l’uomo, come è evidente quando nasciamo, perché non disponiamo del nostro venire al mondo. Questa «passività originaria» per padre Casalone consente all’uomo di esercitare la propria libertà, perché la vita ci viene affidata affinché il credente ne decida, in funzione di un bene più grande: la solidarietà, il bene altrui e la relazione con Dio.

Anche nell’ordinamento giuridico laico, sottolinea il teologo gesuita, si dispone della propria vita in senso non assoluto, ma in relazione alla comunità. Non si può ad esempio donare da vivente un organo vitale; nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario «se non per disposizione di legge» (il Tso ad esempio), come recita la Costituzione all’art. 32; oppure l’obbligo delle cinture di sicurezza o del casco quando si guida. Insomma, «soggetto e società vanno sempre messi in relazione», anche quando si parla di fine vita. Per padre Casalone un conto è il suicidio assistito, nel quale un intervento di terzi è necessario ma non sufficiente a dare la morte e il paziente continua a mantenere un controllo su ciò che sta avvenendo. In questo caso per un credente la scelta può non essere condivisibile, ma può essere accettatata all’interno di una dimensione – quella della vita civile – in cui necessariamente convivono diverse visioni della vita. Altro è l’eutanasia, in cui per padre Casalone il paziente non ha il controllo pieno e puntuale della sua scelta, che viene delegata a un altro; ogni forma di decisione che non sia esercitata in maniera puntuale e volontaria, ogni scelta su cui non si può avere il pieno controllo secondo il teologo gesuita lascia perplessi e pone rilevanti dubbi sia all’uomo di fede che al legislatore laico. 

*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza 

 

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