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“Quel che resta del Concilio

“Quel che resta del Concilio": su "Jesus" un dibattito a 60 anni dalla chiusura del Vaticano II

In occasione dei 60 anni della chiusura del Concilio Vaticano II (8 dicembre 1965), il mensile Jesus ha promosso un dibattito in redazione sul tema “Quel che resta del Concilio. Alle radici della Chiesa sinodale”, affrontando temi come la liturgia, la crisi delle vocazioni, la sinodalità, il ruolo di laici e donne, il dialogo ecumenico. Al dibattito, che Jesus pubblica sull’edizione di dicembre, hanno preso parte Severino Dianich, Daniele Menozzi, Donata Horak, Cristina Viganò e Marco Damilano.

Secondo mons. Dianich, “decano” dei teologi italiani, «il tema dell’ordinazione femminile resta aperto perché, nonostante il magistero nel passato abbia posto dei freni molto duri, si continua a discuterne (…). Guardando in avanti, io credo che potrà passare un decennio, forse due, ma avremo anche le donne a presiedere l’Eucaristia. È un cammino irreversibile perché il no all’ordinazione femminile non ha fondamenti sufficienti nella Sacra Scrittura».

Sul tema della riforma liturgica voluta dal Concilio e attuata da Paolo VI, Menozzi ha detto che «lo scisma lefebvriano dalla metà degli anni Settanta in poi ha inalberato come proprio emblema il mantenimento della “Messa di sempre”. Dietro questo slogan c’è un grande equivoco o, peggio, una grande truffa, perché non esiste la “Messa di sempre”. La Messa è cambiata continuamente nel corso dei secoli». La ribellione lefebvriana nasconderebbe dunque, secondo Menozzi, l’opposizione tradizionalista tout court ai pronunciamenti conciliari, in particolare a «ciò che i tradizionalisti ritenevano particolarmente dannoso, cioè il riconoscimento della libertà religiosa e la fine dello Stato cristiano».

Ma la riforma liturgica non è ancora compiuta, ha aggiunto Horak: «Riuscire a realizzare Sacrosanctum Concilium, la costituzione del Vaticano II sulla liturgia, comporterebbe che si fosse veramente realizzata Lumen Gentium, la costituzione conciliare sull’ecclesiologia. Cioè che il popolo di Dio avesse preso coscienza della sua dignità battesimale, della possibilità di prendere la parola». Ma ancora oggi, «nella liturgia, non c’è mai un momento in cui il popolo di Dio prende la parola con autorevolezza. E non c’è una rappresentatività delle donne. L’impianto rimane quello di una Chiesa fondata sulla disuguaglianza… cioè su un’ecclesiologia preconciliare».

In merito alla partecipazione dei fedeli alla vita della Chiesa, e in particolare alla sinodalità rilanciata da papa Francesco, Dianich ha ribadito che questo Sinodo rappresenta «qualcosa che lascerà dei segni e che è capace di portare molti frutti negli anni futuri» perché «per la prima volta nella storia della Chiesa è stato un sinodo di vescovi e non vescovi insieme… con lo stesso diritto di parola e di voto».

In un mondo occidentale che sempre più conferma torsioni autoritarie e crisi delle democrazie, l’idea stessa della sinodalità, ha spiegato Damilano, è «rischia di essere in questo momento una moneta fuori corso, perché viene abbinato a lentezza, paralisi, immobilismo… mentre ciò che è rapido, veloce, autocratico e forte viene legato all’abito che bisogna portare oggi».

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