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GESUITI SPAGNOLI: "IL DIVORZIO NON È PECCATO". MA L'EUCARESTIA AI RISPOSATI RESTA UN AUSPICIO

Tratto da: Adista Notizie n° 3 del 14/01/2006

33168. MADRID-ADISTA. "Il divorzio non è peccato". Ad affermarlo, stavolta, non è uno dei tanti ministri socialisti del governo Zapatero, ma la rivista di Teologia Pastorale Sal Terrae dei gesuiti spagnoli, che dedica il numero del 15 dicembre alla cura pastorale verso i cattolici divorziati risposati e all'approccio cristiano verso l'omosessualità. A darne notizia è l'agenzia di informazione Ivicon della Conferenza dei religiosi spagnoli.

Prendendo le mosse dalla parabola dell'adultera, l'editoriale della rivista denuncia che i cristiani e le cristiane "in ricerca", o in difficoltà, "non sempre sono trattati dai membri della comunità cristiana con la misericordia e la cordialità con cui Gesù ha trattato la donna adultera, ma piuttosto con scarsa considerazione, con mancanza di comprensione e, talvolta, con un eccesso di durezza". Cosicché "invece di aiutarli ad uscire dal dilemma in cui si trovano", "contribuiscono a lasciarli intrappolati in un circolo chiuso".

La rivista presenta gli interventi di tre padri gesuiti: il consulente per le famiglie Pablo Guerrero Rodríguez, ("L'abbraccio che non arriva? Cura pastorale vero i cattolici divorziati risposati"); il professore di teologia morale Eduardo López Azpitarte ("Tra l'obbedienza, il conflitto e la trasgressione") e lo psicoterapeuta José Antonio García Monge ("Comprendere, essere compresi e vivere cristianamente con un'identità omosessuale"). A cui si aggiunge la testimonianza diretta di Cristina Guzmán Pérez, docente di Diritto canonico alla Pontificia Università Comillas di Madrid, reduce da sei anni di matrimonio, dichiarato canonicamente nullo.

"I cattolici divorziati - sostiene Guerrero - godono di una piena e assoluta unione con la Chiesa, non sono scomunicati e possono ricevere la comunione eucaristica. Vale a dire, in termini chiari e netti, che il divorzio non è peccato. La persona divorziata, per il solo fatto di essere tale, non si trova in una situazione di irregolarità". Anche "i cattolici divorziati che si sono risposati senza aver ottenuto la nullità del primo matrimonio - precisa Guerrero - non sono scomunicati". Però sulla possibilità di accedere alla comunione il discorso resta vago. Si passa dal diritto riconosciuto all'auspicio, con suggerimento di comportarsi secondo coscienza… Quello, insomma, che molti sacerdoti già fanno, senza troppi clamori, in attesa di una Chiesa più vicina agli uomini e alle donne di questo tempo. "Considerare i casi particolari - esorta Guerrero - guardare con dolcezza e tenerezza al dolore delle persone concrete, e a partire da questo, interpretare la legge, pronunciare una parola di consolazione e di liberazione, rendere partecipi questi fratelli che soffrono per il Pane diviso, suddiviso, condiviso… è relativismo? È lassismo morale? Io credo di no".

Vige una "forte contraddizione", commenta la Pérez, "anche in termini, tra l'assicurare che le persone divorziate risposate non sono scomunicate e il sostenere che non possono essere ammesse alla comunione eucaristica. Mi rendo conto che la vita cristiana non consiste solo, né principalmente, nel potere o non poter fare la comunione. Tuttavia non si può disconoscere il significato vitale di questo sacramento nella vita della Chiesa e dei credenti".

Nell'affrontare i rapporti tra la riflessione teologica e il magistero della Chiesa, il teologo morale López Azpitarte evidenzia che "in ogni processo evolutivo è inevitabile un certo conflitto". Perciò, sottolinea, "insieme alla docilità bisogna accettare molte volte il valore positivo della disobbedienza e della trasgressione". I "cristiani scomodi sono importanti", rimarca il teologo che, nel suo articolo, loda certe "benefiche trasgressioni", quegli atti, cioè, di "disobbedienza che sono stati molto fecondi per la vita della Chiesa e l'avanzamento della dottrina". La vocazione ecclesiale del teologo, scrive, fa sì che la sua riflessione "a volte debba andare oltre la dottrina ufficialmente insegnata. Sono come i primi passi di altri cammini che si aprono e che potrebbero essere fecondi per la Chiesa, anche se ancora non sono stati approvati". La riflessione teologica e il magistero, sottolinea Azpitarte, hanno "funzioni diverse e complementari", per questo occorre "un'ecclesiologia di comunione e di dialogo".

All'atteggiamento ecclesiale di fronte al modo cristiano di vivere l'omosessualità è dedicato invece l'intervento dello psicoterapeuta José Antonio Garciá Monge: "non si tratta di trovare un posto agli omosessuali nella Chiesa", scrive il gesuita, sicuramente prima della diffusione dell'Istruzione vaticana sull'accesso degli omosessuali al sacerdozio per i quali, nella Chiesa, il posto non c'è più (v. Adista nn. 84 e 86/05). "Ma di riconoscere il loro ambito, la loro vocazione cristiana, e di recuperare lo sguardo di Dio su di loro. Questo porta con sé un atteggiamento di rispetto, di lucidità nell'amore, di flessibilità nella carità e una disposizione all'apertura e all'accoglienza verso tutto quello che egli veramente cerca". Di fronte ai casi concreti, scrive lo psicoterapeuta, "la Chiesa dovrà offrire gli aiuti richiesti, ed un processo di inserimento, riconoscimento ed accompagnamento". (laura leonori)

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