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TORMENTI CRISTIANI

Tratto da: Adista Contesti n° 40 del 27/05/2006

SE LA MAGGIOR PARTE DEGLI AMERICANI DICE SÌ ALLA TORTURA, L’APPROVAZIONE DEI CATTOLICI È SUPERIORE ALLA MEDIA.

QUESTO ARTICOLO, DI TOM CARNEY, È STATO PUBBLICATO SUL SETTIMANALE CATTOLICO STATUNITENSE “NATIONAL CATHOLIC REPORTER” (24/03/2006). TITOLO ORIGINALE: “AMERICANS, ESPECIALLY CATHOLICS, APPROVE OF TORTURE”

Il pubblico americano è insensibile di fronte alle accuse rivolte al suo governo di usare e sostenere la tortura nella sua lotta contro il terrorismo? No, non è insensibile, secondo i sondaggi. Il fatto è che la maggioranza degli americani di fatto approva l’uso della tortura in alcune circostanze. Per di più, i cattolici ne condividono l’uso in misura maggiore rispetto alla popolazione in generale.

“Potrebbe trattarsi di una reazione all’11 settembre, all’orribile perdita di vite umane e alle atrocità di coloro che agiscono nel nome dell’Islam”, dice mons. John H. Ricard, vescovo di Pensacola-Tallahassee, Florida e membro della commissione sulla politica internazionale della Conferenza episcopale. “Qualcuno crede che la situazione sia fuori controllo. Credono di essere vulnerabili e sono tentati di rispondere per le rime. Dobbiamo opporci a questo”.

Un sondaggio del Pew Research Center in ottobre ha mostrato che il 15% degli americani ritiene che la tortura sia giustificata “spesso” e un altro 31% crede invece che lo sia “qualche volta”. Si aggiunga a questo il 17% che pensa che sia giustificata “raramente” ed ecco che 2 americani su 3 ritengono che la tortura sia accettabile in alcune circostanze. Solo il 32% crede che non sia “mai” giustificata, mentre un altro 5% non sa o si rifiuta di rispondere. Ma la percentuale dei cattolici che giustifica la tortura è ancora maggiore, secondo il sondaggio. Il 21% degli intervistati la ritiene “spesso” giustificata e il 35% “qualche volta”. Un altro 16% pensa che sia giustificata solo “raramente”, il che significa che tre quarti dei cattolici giustificano la tortura in qualche caso. Il 4% dei cattolici “non sa” o rifiuta di rispondere e solo il 26% crede che non sia “mai” giustificata, che è l’insegnamento ufficiale della Chiesa. Carroll Doherty, condirettore del Pew Center, ricorda che questi sono risultati in linea con altri sondaggi simili.

Forse è questo il motivo che ha dato il coraggio ad alcuni membri dell’amministrazione Bush di parlare di “tortura light”, in riferimento a quegli abusi che non portano a danni agli organi interni, o alla morte; ed è forse anche questo il motivo per cui le organizzazioni umanitarie internazionali hanno alzato la voce per denunciare la tortura americana o appoggiata dagli americani.

Una dichiarazione delle Nazioni Unite l’anno scorso ha stabilito che i detenuti della prigione di Guantánamo erano privati di assistenza legale e di informazioni sul proprio caso e che vivevano in condizioni che “equivalgono a un trattamento inumano e degradante”.

In febbraio, cinque ricercatori della Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite hanno portato a termine uno studio durato 18 mesi, pronunciandosi per la chiusura immediata del centro.

La tortura, secondo la Convenzione internazionale contro la tortura del 1984, “comprende ogni atto che infligga dolore o sofferenza profonda, tanto fisica quanto mentale, a una persona con lo scopo di ottenere da questo o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, o di spaventarla o costringere questa o una terza persona”.

Non sono state solo le Nazioni Unite ad accusare gli Stati Uniti di tortura. Amnesty International ha denunciato “l’uso della tortura o di maltrattamenti contro i prigionieri” di Guantanamo, citando le testimonianze di ex-detenuti. Ha anche fornito i dettagli delle torture perpetrate da gruppi militari iracheni con l’appoggio degli americani. In febbraio l’organizzazione americana Human Rights First – precedentemente nota come Lawyers Committee for Human Rights – ha accusato il governo americano della morte di 100 detenuti nella “guerra globale al terrorisimo”.

Un articolo del New York Times, sempre in febbraio, ha denunciato che la prigione militare americana di Bagram, in Afghanistan, opera in “rigorosa segretezza”, rifiutandosi di identificare, e tanto meno di muovere accuse formali contro i suoi circa 500 prigionieri. Il complesso non può venire fotografato, nemmeno da lontano. Si ritiene che ospiti quei prigionieri, che normalmente sarebbero stati mandati a Guantanamo se non fosse stato per la recente pubblicità negativa.

L’articolo raccontava di un’investigazione militare che aveva portato alla luce due pratiche – ora apparentemente sospese – che avevano portato alla morte di almeno due prigionieri a Bagram. Una di queste consisteva nell’incatenare per le braccia i prigionieri ai soffitti delle loro celle. L’altra era data dall’abitudine delle guardie di colpire le ginocchia dei prigionieri disobbedienti. Altre pratiche, ora terminate, includevano l’uso di cani per spaventare i nuovi prigionieri e l’ammanetta-mento dei prigionieri alle porte delle celle come punizione.

“Era come una gabbia”, ha raccontato un ex-prigioniero al Times, ricordandosi delle gabbie per animali che aveva visto allo zoo di Karachi, in Pakistan. A parte l’uso – o il sostegno – della tortura, il governo americano è stato accusato di praticare la cosiddetta rendition, mandando i sospetti in un altro Paese senza curarsi delle torture che potrebbero subire laggiù. Qualcuno nell’amministrazio-ne Bush sembra aver sostenuto un limitato abuso dei prigionieri, mentre il Congresso è stato tiepido nell’opporsi, salvo alcune eccezioni.

“Ad Abu Ghraib e in altri luoghi in Iraq, a Guantánamo, in Afghanistan, le accuse e le prove di abusi sui detenuti hanno danneggiato la posizione degli Stati Uniti nel mondo”, ha dichiarato a dicembre il leader dei democratici alla Camera Nancy Pelosi, dopo che la Camera aveva approvato la mozione Murtha, con 303 voti favorevoli e 122 contrari, che appoggia il divieto di tortura. La mozione, proposta dal democratico John Murtha, era identica all’emendamento proposto dal senatore repubblicano John McCain, approvato con una maggioranza schiacciante dal Senato in ottobre. “La nostra lotta contro le forze del terrorismo internazionale”, ha detto Pelosi, “è una lotta tanto di idee quanto di armi”. “Ci indeboliamo quando compromettiamo i nostri ideali. Opporsi alla tortura contribuisce a definire ciò che differenzia gli Stati Uniti da coloro che non offrono altro messaggio che l’odio e la violenza”. D’altra parte, la Commissione per le Relazioni internazionali della Camera ha respinto in febbraio una risoluzione del democratico Edward J. Markey, che avrebbe obbligato l’amministrazione Bush a fornire informazioni sulle persone sottoposte a rendition.

Murtha, Pelosi e Markey sono cattolici, come lo è il ministro della giustizia Alberto Gonzales, che ha difeso il trattamento americano dei prigionieri. In marzo Gonzales ha negato che il governo statunitense sia implicato nella tortura o nel maltrattamento di sospetti terroristi e nella rendition. “Gli Stati Uniti sono sempre stati e rimangono grandi protettori dei diritti umani e della legalità”, ha detto. “Mi spiace che ci sia confusione e preoccupazione sul nostro impegno per la legalità”.

Questa “confusione o preoccupazione” sembra essere condivisa anche dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti e da organizzazioni pacifiste cattoliche. Mons. Ricard crede che i cattolici dovrebbero essere proeccupati dalle accuse di tortura perché ciò “riguarda noi e i nostri valori come cattolici e come americani” più di ogni altra cosa. Ricard e Stephen Kolecchi, direttore dell’Ufficio Giustizia Internazionale e Pace della Conferenza episcopale, dicono che la Chiesa non lascia dubbi sulla condanna di ogni tortura. “Non si può contravvenire per nessun motivo”, dice Kolecchi, “inclusa la detenzione con il solo scopo di cercare di ottenere informazioni. È dottrina cattolica standard opporsi alla tortura”.

Ricard ha scritto numerose lettere a parlamentari esprimendo l’opposizione della Chiesa alla tortura e chiedendo leggi per metterla al bando. La Conferenza episcopale ha rilasciato dichiarazioni contro la tortura alla luce della accuse più recenti.

Anche il movimento pacifista cattolico, Pax Christi USA, sta alzando la voce sull’argomento. Il suo sito, www.paxchristiusa.org, contiene numerose dichiarazioni sulla dottrina cattolica sulla tortura. C’è anche una petizione nazionale da firmare, “Un appello cristiano a fermare la tortura adesso”. Dopo una citazione di Giovanni Paolo II, l’appello prosegue: “Come discepoli di Gesù, dobbiamo dichiarare in maniera chiara ed inequivocabile che la tortura viola l’elementare dignità umana di tutti i figli di Dio, e non è mai moralmente accettabile. A due anni dalle rivelazioni sul trattamento crudele, disumano e umiliante dei prigionieri di Abu Ghraib – la prima di una lunga serie di rivelazioni sulla tortura istituzionalizzata nella guerra statunitense al terrorismo – ripetiamo il profondo rispetto da parte della nostra Chiesa per la dignità di tutte le persone e respingiamo come anti-cristiana ogni giustificazione dell’uso della tortura”. Ciò che più ci disturba oggi, dice il direttore esecutivo di Pax Christi, David Robinson, è “la convergenza del motivo del profitto con la routine della tortura”. Per Robinson, il governo statunitense sta “appaltando l’uso della tortura a organismi privati” che in Iraq adottano tecniche di interrogatorio violente. Introdurre un’occasione di profitto nell’affare, secondo lui, dà la certezza che si tratta di una pratica destinata a crescere.

Durante la Quaresima soprattutto, dice Robinson, l’immagine di Gesù, torturato a morte, dovrebbe esercitare un effetto potente sui cattolici, ricordando loro che “Cristo viene crocifisso oggi attraverso la pratica della tortura”. n

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