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DECREPITA EUROPA

Tratto da: Adista Contesti n° 74 del 21/10/2006

DURO ATTO D’ACCUSA DEL TEOLOGO DELLA LIBERAZIONE BRASILIANO FREI BETTO CONTRO L’ARROGANZA DELL’EUROPA OCCIDENTALE.

QUESTO ARTICOLO DI FREI BETTO

È APPARSO SUL SETTIMANALE BRASILIANO “CORREIO DA CIDADANIA”

(N. 519).

TITOLO ORIGINALE: “EUROPA,

¿PRIMER MUNDO?”

L’Europa occidentale ha già raggiunto il culmine del suo benessere? Qual è il futuro di un vecchio Continente che non produce più scienza e tecnologia e che trasferisce le sue industrie in Paesi poveri in cui la manodopera è più a buon mercato? L’impres-sione è che l’Europa sia in una fase di stallo. Che si preoccupi solo di preservare il suo comfort. Che abbia perduto l’illusione dell’utopia, il vigore intellettuale, la densità della fede. Che è stato dei valori cristiani in questa società che esalta la competitività al di sopra della solidarietà, e che investe milioni in biogenetica e cosmetici, indifferente alla sofferenza di quattro miliardi di esseri umani che, secondo l’Onu, vivono al di sotto della linea della povertà?

Perché provocano tanta paura gli immigrati? Sono terroristi potenziali? Chi ha colonizzato le loro terre e succhiato le loro ricchezze minerarie e naturali, lasciando dietro di sé una scia di miseria e dolore? Perché l’Europa Occidentale mira all’America Latina attraverso l’ottica del pregiudizio? Chávez e Morales non sono stati eletti democraticamente come Lula? Perché voi europei non vi sollevate contro l’embargo degli Stati Uniti a Cuba e l’uso della base navale di Guantánamo come carcere clandestino di presunti terroristi?

Perché i templi cattolici europei sembrano accogliere più turisti che fedeli? Il futuro del cristianesimo sarà per caso nei movimenti che chiedono al fedele di privarsi della sua coscienza critica, di abbracciare il puritanesimo e una spiritualità del fermento fuori dalla pasta? Perché tanti europei si mobilitano contro malattie (Aids, cancro…), incidenti (sulle strade e al lavoro) e violenze (terrorismo, guerra, omicidi…) ma si mostrano indifferenti di fronte al principale fattore di morte precoce, la fame?

Perché gli europei sembrano preferire la sicurezza alla libertà e sono tanto condiscendenti nei confronti dell’aggressiva politica del governo statunitense, che cerca la pace mediante l’imposi-zione attraverso le armi? Perché non preferiscono la proposta di Isaia di costruire la pace come frutto della giustizia (32,17)?

Che futuro desiderano i cristiani europei per l’Europa e per il mondo? Il perfezionamento del sistema capitalista o l’“altro mondo possibile”? Che segni di solidarietà effettiva con i poveri dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina si danno da parte dei cristiani europei?

Radici indigene

È un errore considerare l’America a partire dagli ultimi 500 anni. Più delle vestigia lasciate dalla colonizzazione iberica è il passato di Amerindia quello che traduce meglio la nostra identità. Relegare nell’oblio le radici indigene dell’America è un modo cinico di tentare di coprire il genocidio commesso dall’impresa del colonialismo. Se c’è una realtà tragica a cui va giustamente applicato il termine “olocausto” è in America. Durante il primo secolo della colonizzazione sono stati assassinati milioni di indigeni. In nome della civiltà e della fede cristiana…

Nel messaggio dei vescovi del Brasile in occasione dei 500 anni di evangelizzazione, essi riconoscono che “la nazione brasiliana non può identificarsi solo con i suoi ultimi 500 anni di storia. Quando arrivarono qui, i portoghesi trovarono abitanti in queste terre, una molteplicità di popoli di origini e di lingue diverse”.

“I popoli indigeni hanno avuto un’influenza importante e attiva nella formazione del popolo brasiliano, per quanto sia poco conosciuta e riconosciuta dalla maggior parte dei brasiliani di oggi, che a volte ancora mantengono un atteggiamento di disprezzo nei confronti degli indios. Al contrario, vogliamo ricordare e riaffermare: è da 500 anni che il Vangelo di Gesù Cristo è arrivato nelle nostre terre. Ma già c’era una presenza del Dio vivo tra i popoli che abitavano qui. Il messaggio cristiano ha illuminato più chiaramente i segni della presenza di Dio nelle creature e ha rafforzato, con la legge dell’amore fraterno, la coscienza morale e le virtù tradizionali dei popoli indigeni”.

“Molto più gravi delle difficoltà che ancora oggi persistono in ciò che riguarda il riconoscimento dei diritti dei popoli indigeni sono le violazioni di questi diritti realizzate dai “conqui-statori” lusitani, giunte fino allo sterminio di una parte rilevante di tali popolazioni”.

L’etnocentrismo europeo, ancora oggi, impedisce che l’America sia riconosciuta nella sua identità, nella sua cultura e nei suoi valori. Vi sono state da subito eccezioni lodevoli, come Bartolomé de las Casas, Antonio de Montesinos, Pedro de Córdoba, padre Vieira e altri. Ma la posizione di questi dà l’impressione di essere poco compresa dagli europei e da coloro che, in America, hanno una mentalità europeizzata.

Nel XVI secolo l’Europa aveva già assimilato Aristotele e, in effetti, aveva posto fondamenti razionali alla teologia (Tommaso d’Aquino) e alla politica (Machiavelli). Poiché ogni punto di vista è la vista a partire da un punto, gli europei hanno guardato all’operato nel Nuovo Continente nell’ottica del pregiudizio. Non sono stati capaci di cogliere la consistenza e la profondità del sapere indigeno, le dimensioni teologica e pastorale delle loro credenze, i progressi in termini di civiltà (paragonabili a quelli degli europei) delle comunità urbane. Il diverso è apparso come divergente, lo strano come minaccioso, l’inusitato come maledetto. Fino al punto che i teologi europei arrivarono a domandarsi se gli indigeni avevano un’anima, per giustificare così il genocidio (Ginés de Sepúlveda), poiché si sapeva che praticavano il cannibalismo.

Eppure, in Francia, il giorno di San Bartolomeo del 1572, Jean de Léry, che aveva vissuto in Brasile tra il 1556 e il 1558, assistette a scene di cannibalismo che superavano quanto aveva visto tra i nostri indios. Nella sua Histoire d’un voyage fait en la terre du Brasil, pubblicato nel 1578, egli descrive di aver assistito a delle aste, a Lione e ad Auxerre, dove si vendeva il sebo umano e il cuore arrostito sulla brace delle vittime protestanti del fondamentalismo cattolico…

Perlomeno, l’antropofagia degli indios era un rituale. Motivo per cui scrive: “Quello che si pratica tra di noi… in buona e sana coscienza credo che superi in crudeltà i selvaggi… Tra altri atti di orrenda memoria, il sebo delle vittime massacrate a Lione molto più barbaramente di quanto facevano i selvaggi non è stato venduto in pubblica asta e aggiudicato al miglior offerente? Il fegato e il cuore e altre parti del corpo di alcune persone non sono stati mangiati da furiosi assassini, di cui ha orrore l’inferno?... Non aborriamo troppo, allora, la crudeltà dei selvaggi antropofagi”.

Europa civilizzata?

Si parla del ritardo dell’America Latina, della povertà che condanna a una vita indegna 200 milioni di abitanti su un totale di 500 milioni, dei massacri di contadini in Guatemala e dei bambini di strada in Brasile. Ma cosa rappresenta questo di fronte alla quantità di morti delle due grandi guerre mondiali che hanno avuto l’Europa come teatro, all’eredità di miseria e genocidio lasciata dagli europei nelle loro colonie in Africa o alle attuali inique relazioni commerciali tra Nord e Sud del mondo?

Nessuno è più colto di un altro, insegna Paulo Freire. Esistono, sì, culture distinte, parallele e socialmente complementari. Il sapere di un teologo è un patrimonio importante come quello di una cuoca. La differenza è nel fatto che la scolarità del primo gli attribuisce un’eccellenza che il pregiudizio sociale nega alla donna di cucina. Tuttavia è bene ricordare che questa è capace di vivere senza il sapere del teologo, ma questi non sopravvive senza la cultura culinaria di lei…

C’è un altro principio pedagogico che l’Euro-pa non è stata capace di assorbire: la testa pensa dove poggiano i piedi. Ossia, lo stesso occhio teologico non guarda in modo eguale la stessa realtà se tiene i piedi nel mondo del colonizzatore o nel mondo del colonizzato. Las Casas forse non sarebbe stato capace di riconoscere la dignità degli indigeni se da adolescente non fosse convissuto a Siviglia con il piccolo indio che suo padre, il secondo di Colombo, gli aveva portato in regalo dai Caraibi…

L’eurocentrismo è la malattia senile di una cultura che si è distanziata dalla realtà e il cui universo, pertanto, è collocato al di sopra della vita reale. È stato nella Germania di Kant, di Beethoven e di Einstein che Hitler trovò il brodo di coltura sfociato nelle atrocità del nazismo. Il Portogallo ha avuto Salazar, l’Italia Mussolini, la Spagna Franco: tutti loro con le benedizioni complici della Chiesa cattolica. E oggi si può dire che l’Europa Occidentale sia lo spazio per eccellenza della democrazia? Perché l’Europa guarda con tanto sospetto a Cuba – i cui progressi nella salute e nell’educazione sono stati elogiati da Giovanni Paolo II nel suo viaggio del 1998 – così come ai governi di Chávez, in Venezuela, e di Morales, in Bolivia, appoggiati da un’ampia maggioranza della popolazione? Tony Blair, con il suo sostegno all’aggressione imperialista di Bush – in Afghanistan, in Iraq e in Libano – è un esempio di democrazia?

E l’indifferenza dei governi europei di fronte al deterioramento delle condizioni sociali, economiche e politiche dell’A-frica è un esempio di democrazia? Come parlare di democrazia quando gli stranieri sono considerati intrusi e i musulmani terroristi potenziali?

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