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PESSIMISMO E VETI, TRANNE CHE SUI TEMI DELLA GIUSTIZIA

Tratto da: Adista Documenti n° 78 del 04/11/2006

Il IV Convegno ecclesiale di Verona ha mostrato, nella sua preparazione e soprattutto nel suo svolgimento, la sua insufficienza come sede di elaborazione collettiva e di decisioni per la vita ed il rinnovamento della Chiesa cattolica italiana. Dopo il primo positivo Convegno del 1976, i cui esiti - che volevano continuare la linea del Concilio - sono poi stati disattesi, e dopo i convegni di Loreto e di Palermo, siamo, mi sembra, arrivati al capolinea di un'esperienza.

I fatti sono chiari: il Convegno è stato preparato con un forte controllo da parte della gerarchia sia nella selezione dei delegati che nelle relazioni, nella sua struttura "spettacolare", nell'esclusione - di fatto - dalla partecipazione di una consistente area di cattolicesimo "conciliare", nel poco tempo lasciato alla discussione e soprattutto nel divieto di votare sulle proposte emerse dai gruppi di discussione che, considerate tutte sullo stesso piano, saranno accettate o bocciate tra qualche mese dalla Conferenza Episcopale. Nonostante questi limiti, a quanto si è potuto sapere, nelle discussioni si è manifestata, a volte con forza, una realtà vivace, critica e concreta nella sua volontà di un nuovo impegno sociale e politico e di un vero rinnovamento della pastorale.

Il complesso discorso di Benedetto XVI meriterà una riflessione approfondita. A una prima lettura esso (e, a ruota, quello del Card. Ruini) mi sembra abbia sostanzialmente ignorato l' avvio di una nuova ricerca ed i problemi posti durante il convegno. La posizione del Papa poi, mi sembra, sia intrisa del consueto pessimismo sulla cultura europea ed occidentale, sul suo relativismo e preoccupata di una rinnovata presenza cristiana che non rifiuti l'abbraccio con i "teocon"; essa ignora problemi come quello degli extracomunitari o dell'illegalità violenta e diffusa (mafia) emersi nel convegno, accenna solo ed in modo rituale alle questioni della guerra, della pace, del rapporto Nord-Sud del mondo e ripete con enfasi la rigidità "non negoziabile" sulle questioni della vita, della famiglia, dell'omosessualità, dei Pacs, ignorando la ricca elaborazione teologica e pastorale degli ultimi anni in merito.

Infine mi sembra che il Papa debba spiegare meglio cosa intende per "secolarizzazione interna alla Chiesa". I responsabili di questo peccato siamo forse noi, cristiani critici, che ci richiamiamo sempre, con determinazione e pazienza, al Concilio Vaticano II, che veniamo esclusi da questi incontri e che siamo fermamente convinti che, invece di proclamarsi cristiani, bisogna cercare di comportarsi da cristiani?

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