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SOLO DUE GRADI

Tratto da: Adista Contesti n° 84 del 25/11/2006

LA DISTANZA TRA CIÒ CHE È NECESSARIO PER FERMARE IL RISCALDAMENTO GLOBALE E CIÒ CHE SEMBRA FATTIBILE RIMANE ENORME.

QUESTO ARTICOLO DI SIMON RETALLACK, CAPO DEL TEAM SUL CAMBIAMENTO CLIMATICO DELL’“INSTITUTE FOR PUBLIC POLICY RESEARCH“ DI LONDRA, È APPARSO SUL SITO INTERNET “OPENDEMOCRACY” (10/11/2006). TITOLO ORIGINALE: “CLIMATE CHANGE: THE GLOBAL TEST”.

Il cambiamento climatico sta guadagnando importanza nell’agenda politica globale. Due sviluppi recenti hanno contribuito a far crescere lo slancio attorno a questo tema: il rapporto Stern sull’impatto economico del cambiamento climatico (pubblicato il 30 ottobre 2006) e la conferenza dell’United Nations Framework Convention on Climate Change in corso a Nairobi (dal 6 al 17 novembre 2006). Un terzo elemento, il risultato delle elezioni di metà mandato negli Stati Uniti, potrebbe anche risultare significativo nel creare lo spazio necessario per nuove idee e politiche in quei Paesi che sono i maggiori produttori mondiali di gas serra.

Ma lo slancio può continuare solo se c’è una comprensione chiara di quel che sta accadendo e di quello che deve essere fatto. È questo obiettivo che sta alla base di una ricerca commissionata dall’Institute for Public Policy Research di Londra (Ippr), per esaminare ciò di cui c’è bisogno per raggiungere l’obiettivo a lungo termine di prevenire un cambiamento climatico pericoloso.

Il fatto che la fine della prima fase del protocollo di Kyoto sia prevista per il 2012 rende ancora più urgente avvicinarsi a questo obiettivo. È decisivo che sia raggiunto quanto prima un accordo condiviso dalla comunità internazionale sul tipo di azione necessaria per evitare un cambiamento climatico pericoloso e per dar forma a una nuova fase di impegni internazionali ancora da negoziare e di investimenti delle aziende a lungo termine ancora da fare.

Un verdetto modello

Parte fondamentale di questa nuova ricerca (condotta da Paul Baer e Michael Mastrandrea) è stato lo sviluppo di stime di emissione che hanno un’alta probabilità di mantenere la crescita della temperatura media mondiale in superficie al di sotto dei due gradi rispetto ai livelli dell’epoca pre-industriale.

L’obiettivo dei due gradi, sostenuto da molto tempo da governi, imprese e società civile europee, è tutt’altro che perfetto: effetti gravi e meccanismi di feedback che amplificano il problema si stanno già verificando adesso con aumenti di temperatura relativamente limitati. L’importanza dell’o-biettivo dei due gradi non può essere sopravvalutata. Ma oltre questa soglia, l’ampiezza e la grandezza degli effetti crescerà probabilmente in un modo che può essere sostanzialmente considerato pericoloso, e in alcuni casi irreversibile.

Gli effetti probabili di un aumento di due-tre gradi includono:

- un aumento fino a due miliardi del numero di persone colpite da scarsità idrica,

- perdite agricole anche per i maggiori esportatori mondiali di cibo,

- la scomparsa degli ambienti naturali con il più alto tasso di biodiversità, compresa la maggior parte delle barriere coralline, e un danno irreversibile per la foresta amazzonica (fino a un suo possibile collasso),

- la trasformazione dei suoli e delle foreste del pianeta in una fonte di carbonio, che causerebbe un incremento aggiuntivo della temperatura di altri due-tre gradi; e l’aumento della probabilità di altri repentini cambiamenti climatici, come il rallentamento della corrente del Golfo e lo scioglimento dei ghiacciai della Groenlandia e dell’Antartico, che provocherebbe un aumento del livello dei mari di 12 metri.

La posta è estremamente alta: alta abbastanza da meritare la ricerca di strategie che abbiano una possibilità concreta di evitare questi effetti. Per identificare i percorsi atti a raggiungere questi obiettivi, l’ultima ricerca dell’Ippr adopera un rigoroso metodo quantitativo, con l’uso di parametri standard di valutazione del rischio, per ognuno dei fattori di incertezza chiave nella catena causa-effetto tra le emissioni e l’aumento medio della temperatura. Questi sono:

- la sensibilità del clima (gli effetti a lungo termine del raddoppio dell’anidride carbonica nell’atmosfera),

- l’assorbimento di calore degli oceani,

- emissioni dovute all’uso del territorio (provocate da deforestazione e altre attività),

- i cosiddetti ‘pozzi’ di assorbimento del carbonio – l’assorbimento del carbonio da parte di oceani, piante e suoli,

- gli aerosol (piccole particelle solide o liquide prodotte dalla combustione di fonti di energia fossile o biomasse, che si ritiene abbiano un effetto raffreddante).

Il risultato di questo modello è esplosivo, sconfessando del tutto l’opinione dominante circa l’ampiezza e la velocità dell’azione necessaria.

Una prospettiva scoraggiante

La ricerca conclude che, sulla base di un ragionevole set di presupposti, per avere un rischio “basso o molto basso” (calcolato come una possibilità tra il 9 e il 32% di superare la soglia dei due gradi), le emissioni mondiali di anidride carbonica dovrebbero toccare il loro massimo nel 2010-2013, raggiungere un tasso massimo di diminuzione del 4-5% annuo entro il 2015-2020 e scendere circa al 70-80% al di sotto dei livelli del ‘90 entro il 2050. Questa diminuzione dovrebbe essere accompagnata da una riduzione altrettanto drastica degli altri gas serra. Si tratta di calcoli basati su scenari in cui la concentrazione atmosferica di CO2, che oggi è pari a 380 parti per milione (ppm), tocca il picco di 410-421 ppm attorno al 2050 prima di scendere a 355-366 nel 2100. Questa diminuzione, a sua volta, è fondata sull’idea che la concentrazione di CO2 può essere ridotta portando l’emissione annuale di anidride carbonica al di sotto del livello assorbito dai ‘pozzi’ di assorbimento a livello mondiale, che attualmente assorbono circa la metà del CO2 prodotto ogni anno dall’uomo. Queste conclusioni vanno oltre quelle del rapporto Stern, che propone l’obiettivo a lungo termine di stabilizzare i gas serra a 450-550 ppm di CO2. Questa forchetta di valori ha un rischio medio-alto di far superare la soglia dei due gradi di aumento della temperatura. Il modello della ricerca dell’Ippr calcola che gli scenari in cui la CO2 si stabilizza a 450 ppm hanno tra il 46 e l’86% di probabilità di superare i due gradi; 500 ppm tra il 70 e il 95%; e 550 ppm tra il 78 e il 99%. Ancora più preoccupante è che questi tre scenari abbiano rispettivamente 11-24%, 18-47% e 28-71% di probabilità di far crescere la temperatura media mondiale di oltre tre gradi. Questi non sono risultati assurdi ed isolati. Si tratta dell’esame fino ad oggi più esplicito delle traiettorie di emissioni che portano alla soglia precauzionale dei due gradi; ma risultati molto simili cominciano a comparire anche in altre ricerche.

Queste conclusioni risulteranno scoraggianti e indigeste per i politici. Il fatto che le traiettorie globali di emissione vadano al momento nella direzione opposta, rende epico il livello dello sforzo richiesto per piegare la curva delle emissioni globali in tempo. Ciò è particolarmente vero quando si può ragionevolmente presupporre che i Paesi sviluppati dovranno operare riduzioni più profonde dei Paesi in via di sviluppo, per permettere una maggiore equità nei livelli di emissioni per persona nel corso degli anni. Per i Paesi ricchi dell’Eu-ropa settentrionale, per esempio, ciò potrebbe significare in pratica il prepararsi ad un’economia a zero carbonio entro il 2050.

Il momento dell’onestà

Alla fin fine, i politici devono decidere che livello di rischio è tollerabile. Ma data posta in gioco per miliardi di persone, la prudenza suggerirebbe di cercare di tenere i rischi al livello più basso possibile. Altrimenti, accettare il rischio ora alto di superare i due gradi ed essere pronti, ad esempio, alla possibile conseguenza dello scioglimento delle calotte polari, sarebbe un tradimento perpetrato nei confronti delle generazioni future.

L’accettazione di questa linea precauzionale ci situa in un nuovo paradigma di ‘mitigamento’, che richiede un programma d’urto per ridurre le emissioni ad un livello molto più ampio e rapido di quanto previsto. Ci sarà anche bisogno di un cambiamento radicale nel modo in cui ci adattiamo al riscaldamento globale. Questo non significa essere profeti di sventura. Esiste la tecnologia per affrontare questa sfida: sappiamo come ottenere miglioramenti significativi nell’efficienza energetica, per generare energia senza combustibili fossili e ridurre le emissioni che derivano dalla distruzione di foreste e suoli. La sfida per i governi è adottare queste misure e stanziare il livello di risorse necessario per farlo in tempo.

La nostra ricerca mostra soprattutto che dobbiamo ripensare urgentemente il calendario delle nostre risposte. Non abbiamo decenni per piegare la curva globale del CO2: abbiamo meno di dieci anni. Ciò che facciamo ora a livello globale sarà di importanza decisiva.

Gli Stati Uniti non possono continuare a restare di vedetta: devono adottare un tetto alle loro emissioni di CO2 senza ulteriori indugi. Il mondo sviluppato dovrà continuare a fare la maggior parte del lavoro, ma i Paesi in via di sviluppo che producono più emissioni, come la Cina, devono anche essere coinvolte in maniera molto più sostanziale e molto prima di quanto si è pensato fino ad oggi, con i Paesi sviluppati che quasi certamente dovranno essere pronti a sostenere il grosso degli sforzi di ‘mitigamento’ del clima.

Tutto questo sarà enormemente difficile. La situazione politica attuale – anche tenendo conto dei segnali di un aumento della consapevolezza menzionati all'inizio di questo articolo – implica che la maggior parte di quanto sin qui detto sarà definita irrealistica, perfino utopica. La distanza tra ciò che è necessario e ciò che sembra fattibile è amplissima. Per evitare rischi significativi di un danno mondiale spaventoso, dobbiamo semplicemente reimmaginare che cosa sia fattibile.

E se, alla fin fine, arriveremo alla conclusione che la sfida è semplicemente troppo grande, dovremo almeno essere onesti sui rischi che corriamo e che imponiamo agli altri.

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