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5 MINUTI ALL'APOCALISSE

Tratto da: Adista Contesti n° 20 del 10/03/2007

FORSE ANCHE PER IL VATICANO È ARRIVATA L’ORA DI PRENDERE COSCIENZA DELLA MINACCIA CHE VIENE DAL SURRISCALDAMENTO DEL GLOBO

QUESTO ARTICOLO, FIRMATO DA SEÁN MCDONAGH, È APPARSO SUL SETTIMANALE CATTOLICO BRITANNICO “THE TABLET” 27/01/2007). TITOLO ORIGINALE: “IS THE CLIMATE CHANGING IN ROME?”

Il 17 gennaio le lancette dell’‘orologio dell’apocalisse’, che sin dal 1947 richiama la nostra attenzione sul rischio di una catastrofe nucleare, sono state portate avanti di due minuti. Le ragioni che hanno fatto spostare l’ora a mezzanotte meno cinque non sono state soltanto la recrudescenza della minaccia di una guerra atomica, ma anche l’opinione degli scienziati che i cambiamenti climatici rappresentino un grave pericolo per la sopravvivenza della specie umana.

In quella stessa settimana, è stato annunciato che il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, insieme alla Pontificia Accademia delle Scienze, sta preparando un importante convegno sul riscaldamento globale da tenersi nella seconda metà di quest’anno. Se la Chiesa Cattolica assumesse un ruolo guida nell’affrontare la questione ambientale, la differenza per questa e le future generazioni sarebbe enorme.

Fino ad oggi, il Vaticano è stato lento ad abbracciare la causa dei cambiamenti climatici. Gli scienziati ne conoscono gli effetti distruttivi da decenni. Già negli anni ‘70 il “Global 2000 Report”, commissionato dal presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter discuteva dell’effetto serra e prediceva che il riscaldamento dell’atmosfera terrestre avrebbe portato ad un inasprimento dei fenomeni meteorologici e all’innalzamento del livello degli oceani, che avrebbe causato alluvioni nelle aree più densamente popolate del pianeta. Il rapporto identificava anche le emissioni di anidride carbonica dei Paesi industrializzati come la principale causa del riscaldamento globale.

Vent’anni più tardi, il Vaticano e buona parte delle Conferenze episcopali non avevano molto da dire sui vari rapporti prodotti dall’International Panel on Climate Change (Ipcc). Gli scienziati dell’Ipcc sostenevano che una riduzione tra il 60 e l’80% delle emissioni di gas serra era necessaria per stabilizzare il clima mondiale. Le altre comunità religiose era più attente a questa crisi. Il Consiglio Mondiale delle Chiese (World Council of Churches, Wcc) nel 1993 aveva pubblicato un ottimo documento dal titolo “Tempi di pericolo: prova per la fede”. Il card. Roger Etchegaray, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, nel 1996, ne era consapevole. Scrisse ai presidenti delle Conferenze episcopali dei Paesi industrializzati riconoscendo che il Wcc aveva assunto un ruolo guida nel richiamare l’attenzione delle Chiese che ne facevano parte sul collegamento tra i cambiamenti climatici e le attività umane. Egli incoraggiò le Chiese locali a studiare il modo per cooperare con ogni iniziativa promossa dal Wcc nei loro Paesi. A quel che mi risulta, non accadde nulla.

Poi, nel 2004, il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa andò in stampa in un momento in cui gli scienziati avevano ormai raggiunto un consenso generale sul fatto che un cambiamento climatico indotto dall’uomo era in corso. Tuttavia, solo un paragrafo del Compendio era dedicato al riscaldamento globale e non riusciva a cogliere né l’ampiezza del fenomeno né l’urgenza di affrontarlo. Già allora, l’opinione più diffusa era che ci restavamo, al massimo, 20 anni per fermare i cambiamenti climatici. Altrimenti, avremo raggiunto un irreversibile ‘punto di non ritorno’.

C’è una ricchezza nel magistero sociale cattolico che può fare da fondamento etico per affrontare i cambiamenti climatici, ad esempio considerandoli nel contesto della difesa del bene comune che, a sua volta, include la protezione degli habitat, degli ecosistemi e della biosfera. L’opzione preferenziale per i poveri è particolarmente importante perché coloro che sono meno responsabili dei cambiamenti climatici, come la popolazione del Bangladesh, sono proprio quelli destinati a soffrirne maggiormente. Bisogna trovare meccanismi equi per compensarli e per aiutarli.

Il riscaldamento globale mette in luce alcuni dilemmi etici che hanno a che fare con la giustizia intergenerazionale. L’uso irresponsabile di combustibili fossili per due o tre generazioni può avere conseguenze irreversibili per tutte quelle future. Anche una cura per le specie terrestri nel loro insieme è parte di questo nuovo ordine morale. Gli scienziati sono convinti che i cambiamenti climatici provocheranno l’estinzione di oltre un milione di specie.

È vitale per il successo dell’incontro di Roma che il processo preparatorio del convegno sia condotto allo stesso tempo con competenza e trasparenza. Un test cruciale della buona fede del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace sarà valutare se verranno invitati teologi e scienziati indipendenti e competenti. Il coinvolgimento della Pontificia Accademia delle Scienze potrà assicurare che questo criterio venga rispettato? Sfortunatamente, c’è un precedente che fa temere che non sarà così.

Nel settembre 2004, la Pontificia Accademia delle Scienze e l’Ambiasciata statunitense presso la Santa Sede tennero un seminario di un giorno all’Università Gregoriana dal titolo “Nutrire il mondo: l’imperativo morale della biotecnologia”. Tutti gli oratori erano entusiasti sostenitori dell’ingegneria genetica e alcuni di loro avevano stretti legami con multinazionali dell’agrobusiness come la Monsanto, che faranno miliardi di dollari grazie al controllo dei brevetti dei semi geneticamente modificati delle principali coltivazioni di sussistenza del pianeta. Anche se molti nella Chiesa, da mons. Dinualdo Gutierrez nelle Filippine al card. Owen McCann in Sud Africa fino a molti vescovi brasiliani, siano contrari agli organismi geneticamente modificati, nessuno tra i partecipanti scelti per il seminario rappresentava questo punto di vista così da stimolare un autentico dibattito.

Il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace dovrebbe prendere esempio dall’Australia, dove la Conferenza episcopale ha lavorato a stretto contatto con scienziati indipendenti e con teologi competenti per la stesura delle migliori prese di posizioni cattoliche sui cambiamenti climatici (malgrado l’opposizione dell’arcivescovo di Sidney, card. George Pell, v. numero blu allegato, ndt). Il Consiglio deve anche cooperare con il Wcc ed essere sufficientemente umile da riconoscere che questa organizzazione ha molta più esperienza rispetto alle dimensioni etiche e religiose di questo tema di quanta ne abbia il Vaticano.

Per la Chiesa cattolica, affrontare i temi contemporanei più importanti è un’occasione d’oro per dare al Vangelo di Gesù rilevanza agli occhi dei giovani. Speriamo che lo Spirito ispiri coloro che hanno il potere perché siano una guida efficace su temi che sono letteralmente cruciali per la vita del mondo.

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