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SACERDOTI SPOSATI IN CHIAPAS?

Tratto da: Adista Documenti n° 22 del 17/03/2007

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Alcuni mezzi di informazione hanno diffuso una lettera che, lo scorso settembre, mi ha scritto il card. Francis Arinze, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, appena pubblicata dalla rivista ufficiale della Congregazione, Notitiae. In essa mi trasmette la parola della Congregazione per la Dottrina della Fede sul n. 58 del nostro Piano Diocesano di Pastorale e sul Direttorio per il Diaconato Permanente, che devono essere corretti, poiché contengono "gravi ambiguità dottrinali e pastorali".

L'agenzia di notizie Notimex, nel presentare la nota, afferma: "Il Vaticano ha cancellato come ‘inammissibile' parte del Piano Pastorale della diocesi di San Cristóbal de las Casas, Chiapas, che prevede l'apertura all'ordinazione sacerdotale di indigeni sposati".

Abbiamo realmente indicato la possibilità di ordinare al sacerdozio diaconi permanenti sposati?

Giudicare

Il primo ottobre del 2005, durante la Riunione Interdicasteriale svoltasi a Roma, alla presenza di vari cardinali e vescovi, mi interrogarono riguardo al n. 58 del nostro Piano, che diceva nella sua versione originaria: "Illuminati dallo Spirito e guidati dal Magistero della Chiesa universale, siamo chiamati ad ascoltare con attenzione e a discernere la richiesta di alcune comunità affinché diaconi indigeni sposati possano essere ammessi all'ordinazione sacerdotale, previa formazione conveniente, disposti ad assumere nella fede la decisione della Santa Sede".

Risposi loro che, fin da questa prima redazione, mai pensammo di ordinare al sacerdozio uomini sposati. Il testo insisteva su tre punti: primo, ascoltare con attenzione la richiesta di alcune comunità che ci chiedevano questo passo. Ciò è reale e non possiamo nasconderlo né negarlo. Avvertono la necessità di sacerdoti inculturati nei loro popoli. Tale richiesta si ascolta costantemente in molti ambiti ecclesiali, anche a Roma, e non solo nella nostra diocesi. Per esempio, durante il Sinodo mondiale dei vescovi, svoltosi nell'ottobre del 2005, in presenza di Benedetto XVI, vari vescovi parlarono in tal senso, come risulta dalla Proposizione 11: "La centralità dell'Eucarestia nella vita della Chiesa fa sentire con acuto dolore il problema della grave mancanza di clero in alcune parti del mondo. Molti fedeli si vedono in tal modo privati del Pane della vita. Per andare incontro alla fame eucaristica del popolo di Dio, che spesso e per lunghi periodi deve prescindere dalla celebrazione eucaristica, è necessario ricorrere a iniziative pastorali efficaci. In tale contesto, i padri sinodali hanno affermato l'importanza del dono inestimabile del celibato ecclesiastico nella prassi della Chiesa latina… Alcuni hanno accennato ai ‘viri probati' [ordinazione sacerdotale di uomini sposati di provata virtù, ndt], ma questa ipotesi è stata considerata come un cammino che non si deve percorrere". I cardinali e i vescovi, insieme al papa, hanno ascoltato attentamente questi accenni, per quanto non li approvassero. Lo stesso abbiamo fatto noi, poiché i fedeli hanno diritto ad essere ascoltati dai loro pastori. Ascoltare non equivale ad approvare.

Secondo: il n. 58 del nostro Piano chiedeva di discernere tale richiesta, sotto la guida del Magistero della Chiesa universale. Questo discernimento implica l'analizzare le ragioni della richiesta e, allo stesso tempo, il metterla a confronto con il Vangelo e con la dottrina della Chiesa. In ciò, siamo coscienti del fatto che la nostra Chiesa, sostenuta dall'esperienza di secoli e guidata dallo Spirito, è a favore del celibato come condizione per il sacerdozio, per quanto non si possa negare la presenza di eccezioni fatte dagli stessi papi in casi particolari. Sono convinto della bontà del celibato sacerdotale e non sosterrei mai la sua non obbligatorietà. Nel discernere la richiesta, quindi, eravamo sicuri della risposta negativa.

Terzo: Affermavamo di essere disposti ad assumere nella fede la decisione della Santa Sede, perché nulla faremmo al di fuori di questa comunione ecclesiale con Pietro e sotto Pietro. Era pertanto un altro "lucchetto" che noi stessi mettevamo. Ci è stato detto a Roma che, poiché la risposta sarebbe stata negativa, questa espressione avrebbe fatto apparire la Santa Sede come intransigente e chiusa. Per noi voleva solo indicare la nostra volontà di accettare sempre le decisioni di Roma.

Malgrado le spiegazioni date sul senso di questo n. 58, dal momento che non erano ritenute soddisfacenti, promisi di redigere una nuova versione. Lo facemmo immediatamente nel modo che segue: "Ascoltare con attenzione la richiesta che stanno rivolgendo alcune comunità perché i diaconi indigeni sposati possano essere ammessi all'ordi-nazione sacerdotale, e aiutarle a discernere la loro richiesta, illuminati dallo Spirito Santo e guidati dal magistero della Chiesa universale, avvertendo con ogni chiarezza che non vi sono speranze che la Chiesa cambi la sua pratica, che viene dal Vangelo e dalla tradizione di molti secoli, e che essa continuerà ad ammettere al sacerdozio solo uomini celibi".

Più di un anno fa operammo la correzione e la inviammo a Roma; la inviammo di nuovo in altri scritti e ancora una volta lo scorso settembre, e attendiamo il giudizio che venga emesso al riguardo. Non abbiamo cambiato la prima parte del testo, perché dobbiamo continuare ad ascoltare il nostro popolo, ma abbiamo insistito sulla necessità del celibato sacerdotale.

Agire

Deve essere molto chiaro, e lo ripeto con insistenza: non abbiamo coltivato l'aspettativa "di un diaconato permanente orientato al sacerdozio uxorato". Non promuoviamo il sacerdozio dei diaconi sposati. Abbiamo ascoltato le richieste di alcuni fedeli in questo senso, ma non abbiamo incoraggiato tale speranza. I diaconi permanenti sono permanentemente diaconi, e non li incamminiamo verso il sacerdozio.

Ringraziamo la Santa Sede per la sua preoccupazione nei confronti della nostra diocesi e apprezziamo il suo servizio in difesa dell'ortodossia; chiediamo sinceramente perdono per i mal di testa che le provochiamo. Ma abbiamo l'obbligo pastorale di farle arrivare le inquietudini del nostro popolo, di dialogare e chiarire quello che consideriamo non corrisponda alla realtà, e di proporre soluzioni alle necessità concrete delle nostre Chiese locali.

Stiamo procedendo da tempo alla revisione di alcuni contenuti del Direttorio diocesano per il Diaconato permanente, elaborato dai miei predecessori, perché concordi con i rispettivi Direttori nazionale e universale.

Continueremo a rafforzare "la pastorale vocazionale, in vista del sacerdozio celibe". Dio ci sta regalando altre vocazioni e speriamo di riaprire il nostro Seminario Maggiore in quattro o cinque anni. Dai 16 seminaristi che c'erano nel 2000 (10 nel Minore e 6 nel Maggiore), siamo passati ora a 31 (8 nel Minore e 23 nel Maggiore).

Ribadisco la mia piena comunione con la Santa Sede e la mia obbedienza al Successore di Pietro, con la decisione ferma di servire il Signore e la sua Chiesa, in ordine al Regno di Dio.

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