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ADORAZIONE EUCARISTICA PER LE VITTIME DI ABUSI SESSUALI: UNA RISPOSTA INADEGUATA E FUORVIANTE

Tratto da: Adista Notizie n° 7 del 26/01/2008

34247. CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Preghiere in tutto il mondo e adorazione eucaristica perpetua per le vittime dei preti pedofili: la nuova iniziativa del Vaticano, promossa dal Prefetto della Congregazione per il Clero, card. Claudio Hummes, e rilanciata dall’Osservatore Romano con un’intervista al cardinale, mobilita "diocesi, parrocchie, rettorie, cappelle, monasteri, conventi, seminari" perché preghino per le vittime dei preti che hanno compiuto abusi sessuali, nonché per la santificazione del clero.

L’iniziativa, che si pone nel solco dei mea culpa già pronunciati dalla Chiesa per i preti pedofili o violentatori, è destinata a suscitare molte polemiche tra le associazioni che riuniscono le vittime degli abusi. Per Barbara Dorris, portavoce dello statunitense Survivors Network of those Abused by Priests (Snap), "la preghiera è un’ottima cosa, è sempre positiva, ma si tratta di un atteggiamento passivo, mentre quello di cui ci sarebbe bisogno è di un’iniziativa concreta, efficace". La Snap ha mandato il 9 gennaio una lettera per chiedere le dimissioni dell’ex-arcivescovo di Boston, card. Bernard Francis Law, dagli 8 dicasteri vaticani in cui siede al momento attuale. Il card. Law, costretto ad abbandonare Boston nel 2002 per aver coperto numerosi preti pedofili nella sua diocesi, ha raggiunto l’età canonica di 75 anni il 4 novembre del 2006. Eppure, scrive l’associazione delle vittime, svolge ancora un ruolo importante nella Curia romana e, in quanto membro della Congregazione per i Vescovi, "ha un ruolo particolarmente importante e preoccupante nella selezione dei nuovi vescovi".
Hummes, nell’intervista sull’Osservatore Romano, chiama alla preghiera per "le vittime delle gravi situazioni di condotta morale e sessuale di una piccolissima parte del clero", e definisce una "priorità" l’apertura di "cenacoli eucaristici" per suscitare "un grande movimento spirituale di preghiera per tutti i sacerdoti e per la loro santificazione". All'intervistatore che chiede il perché di tale "urgenza", spiega che "problemi ve ne sono sempre stati perché siamo tutti peccatori, però in questo tempo sono stati segnalati fatti veramente molto gravi". Non manca, naturalmente, la precisazione che "solo una minima parte del clero è coinvolta in situazioni gravi, neppure l’1% ha a che fare con problemi di condotta morale e sessuale; la stragrande maggioranza non ha nulla a che vedere con fatti di questo genere".

Sulla nuova iniziativa vaticana, Adista ha sentito il parere di don Stefano Federici, che quando era ragazzo fu abusato da un prete, e di don Walter Fiocchi, vicario episcopale per la pastorale sociale e del lavoro della diocesi di Alessandria e per anni editorialista della Vita alessandrina. (a. s.)

D: Il card. Hummes invita all’adorazione eucaristica perpetua per "le vittime delle gravi situazioni di condotta morale e sessuale di una piccolissima parte del clero": come si può giudicare questa iniziativa?
FEDERICI: Ritengo che sia bello pensare di portare all’eucaristia la miseria della Chiesa. Ricordo che, quando ero in seminario e partecipavo all’adorazione notturna, il mio Rettore mi diceva, citando una mistica francese: "Non sei solo tu che guardi Gesù nell’eucaristia, ma innanzitutto Lui che contempla te di fronte a lui. Lasciati guardare dentro e non avere paura". Infatti, la mia preoccupazione era sempre quella di riempire il tempo dell’adorazione con cose da dire o da fare. In quel modo il Rettore mi aiutava a lasciarmi andare, ad essere me stesso, più che a fare qualcosa di buono di fronte a Gesù nell’eucaristia, non sfuggendo alla parola che più di ogni altra era sacra ai Suoi occhi: la parola che racconta la mia vita, il mio nome, la mia storia. Cosa di meglio, dunque, che invitare i fedeli a lasciarsi guardare come comunità ecclesiale, così come siamo, per quello che siamo? Siamo la Chiesa delle beatitudini, che non teme di incontrarsi con il Maestro, che sa di essere beata non "nonostante" la sua miseria, ma nella sua povertà umana. Tuttavia, non posso scordare quello che gli angeli dissero agli apostoli che guardavano in alto il Gesù Risorto che ascendeva al cielo: "Perché guardate in alto?". Guai se gli apostoli di oggi invitassero la Chiesa a "guardare in alto", distogliendola da quello sguardo coraggioso di chi ha bisogno di ritrovare la sua fede nel Risorto nella quotidianità di una vita spesso così avara di senso e di speranza. Tuttavia, immagino che in questa situazione egli non avrebbe invitato alla preghiera per le vittime, ma per chi abusa. "Padre – avrebbe forse invocato – perdona loro, perché non sanno quello che fanno". Quanto alla "piccolissima parte del clero" che, secondo il card. Hummes, sarebbe responsabile di abusi, mi sembra una biasimevole stupida noticilla, che denuncia tutto il clericalismo del clero, anche quando manifesta le sue più buone intenzioni.  Denuncia una insincerità e un disagio non risolti, che fanno ritrarre immediatamente come al puzzo irresistibile del candore di un sepolcro imbiancato. E ciò che amareggia non è il fatto che si pensi che possano essere "di più" – che tristezza, Dio mio – ma che qualcuno abbia dovuto farlo notare. Come se, evangelicamente, facesse davvero differenza sapere quanti hanno peccato e non "perché" lo hanno fatto. Invece, sembra che questo faccia molta differenza per una Chiesa incapace di parlare chiaro e di fare giustizia. Di chiedersi il perché sia tendenzialmente così diffuso e pericoloso il comportamento sessuale deviato. Come Gesù trasgrediva il riposo del sabato per dimostrare come il modo di osservarlo fosse insano, così la gerarchia cattolica dovrebbe riscoprire il coraggio evangelico di trasgredire anche un precetto divino se il modo in cui esso è osservato è insano.

Non è vero che nella formazione dei sacerdoti la Chiesa sia capace di aiutare alla sublimazione delle pulsioni sessuali. Il potere dei superiori sui giovani seminaristi impone, consapevolmente o no, attraverso il ricatto della non-ordinazione, un modello di vita sessuale che non tiene conto della diversità dei singoli individui e della storia di ciascuno, allo scopo soltanto di difendere l’immagine della Chiesa e del suo clero. Lo dico perché so bene come sono stato educato. E sono stato educato in un periodo di particolare apertura e dialogo, molto meno repressivo e persecutorio di oggi. Tuttavia, anche in quel tempo il messaggio era molto esplicito. In un incontro in seminario, al mio ultimo anno prima dell’ordinazione, il padre spirituale ci disse, riferendosi ai comportamenti sessuali inaccettabili: "Chi in questi anni si è masturbato più di 5 volte non può diventare prete!". Ed io ci ho creduto, ed ho obbedito, intimorito di perdere il mio sogno. Ma questo non mi ha certo aiutato a capire la mia sessualità, né a sublimarla, ma a temerla e rifiutarla, come un ostacolo, un vero tabù. E, a quell’età, un ostacolo serio! Nella mia esperienza di seminarista e sacerdote, la difficoltà più grande non è quella di negare il proprio corpo e la propria sessualità. Ci si riesce, e ci si riesce anche bene. La vera difficoltà è accettare il proprio corpo ed amarlo, e con esso imparare ad amare il corpo e i sentimenti degli altri, con rispetto, fiducia e amore.

FIOCCHI: Da credente, e da credente nella forza della preghiera, non posso certo contestare l’iniziativa proposta dal card. Hummes. Ho tante amiche in monasteri di clausura e non ritengo certo che la loro vita "sia uno spreco"! Anzi, io stesso, mi appoggio stesso alla loro forza, alla loro fede, alla loro maturità cristiana, ma anche a quella umana che emerge con limpidezza dal colloquio con loro. Credo che il punto vero sia questo. Con una frase fatta potrei dire: "Il problema è culturale…".

Voglio dire che il rischio è di un’iniziativa che trasferisca i problemi nei "massimi sistemi" della Spiritualità. Non importano tanto le statistiche, che sia l’uno o il dieci per cento del clero che compie riprovevoli atti di pedofilia; non importa tanto che si possa replicare che la maggior parte degli atti pedofili accadono all’interno dei nuclei familiari (volendo così togliere ogni relazione tra celibato obbligatorio e comportamento sessuale maturo). Leggendo alcune reazioni alla proposta del cardinale è evidente che molti l’hanno intesa come un tentativo "buonista"… per affidare alla "misericordia" di Dio, più che alla giustizia umana, chi ha sbagliato; per placare con la ribadita esaltazione della loro dignità umana le vittime, che in qualche caso si tenta di far passare come istigatori…

D: Questa iniziativa potrà aiutare ad evitare che si ripetano, almeno sulla scala che conosciamo, le violenze?

FEDERICI: No, purtroppo! Non so qual è la ragione del male nel mondo, ma sappiamo per certo che né la morte di Gesù in croce, né le preghiere incessanti di milioni di uomini e donne fermano le guerre, la violenza, la fame. Oh sì, bisogna pregare per quelle vittime che hanno subito violenza da parte di preti, ma anche per quei cardinali che ti impongono di ritrattare le dichiarazioni fatte a testimonianza di abusi subiti, per i tribunali ecclesiastici che non sono in grado di fare giustizia se gli imputati sono i cardinali membri dei loro stessi collegi giudicanti, per tutti quei preti, e questi sì che sono davvero in molti, che invitano le vittime al silenzio e all’omertà in nome di un sacrificio per quel loro dio che non merita la nostra preghiera ma la nostra bestemmia. Inoltre, la Chiesa potrebbe riformare i processi canonici attenendosi a forme democratiche, civili ed evangeliche di giustizia e, magari, evitare di nominare a rettori di Basiliche eminenze sospettate di aver coperto abusi (il card. Law è arciprete della Basilica di Santa Maria Maggiore, ndr).

FIOCCHI: Penso che accanto a questa giusta iniziativa sia però necessario che si apra nella Chiesa una riflessione seria, plurale, partecipata, libera, fatta con "parresìa", senza veti, senza censure, non sussurrata nei pettegolezzi curiali o di sacrestia sulle mille ragioni e cause di tanto disagio tra tanti preti: una riflessione sulla sessualità umana che tenga conto delle acquisizioni delle moderne "scienze umane"; una riflessione che non crei indebiti e criminalizzanti accostamenti tra omosessualità e pedofilia; una riflessione sincera che prenda atto della crescente difficoltà nell’attuale contesto culturale - che non può essere esorcizzato o semplicisticamente condannato - per tanti preti di vivere serenamente il celibato (tutti conosciamo i molteplici cedimenti su questo fronte: relazioni nascoste etero ed omosessuali, frequentazioni di prostitute, "coppie di fatto" su cui si stende un velo di silenzio…); una riflessione sulle tante forme di "solitudine" dei preti, che spesso sentono non la paternità (attraverso il Vescovo o comunque l’autorità) e la maternità della Chiesa, ma soprattutto il peso di una organizzazione/istitu-zione che guarda e premia risultati che spesso sono altro rispetto alla "passione per il Vangelo" che pure è ancora l’anima della vita di tanti preti, pur nelle loro fragilità umane, che non mirano "alla carriera", ai titoli, alla possibilità (altro scandalo!) di far soldi e rimpinguare il conto in banca. Una riflessione che ripensi, alla luce del Vangelo e non solo di una pur gloriosa e preziosa "tradizione" spirituale e teologica, al valore sì del celibato, ma anche al valore della stessa sessualità umana. In fondo una certa spiritualità – e la conseguente educazione seminaristica – ha prodotto l’identificazione tra celibato e "castrazione" senza prendere in considerazione l’ineliminabile dimensione affettiva della vita: forse non era questo che intendeva Gesù quando parlava di "eunuchi per il regno dei cieli". Insomma, l’importante è che di questi problemi si parli, si rifletta, si preghi, ma non in una sorta di samizdat, di letteratura clandestina, con il timore degli strali di Roma e con una sottile, ipocrita, preoccupazione di autodifesa e di apologetica di casta. È un problema di fede, certo; di vita spirituale, certo; ma certo anche di maturità umana che permetta di vivere con serenità tutte le dimensioni della vita, quelle dimensioni che Dio stesso ha amato e fatto sue con l’incarnazione.

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