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RIPARTIRE DALLA PACE E DAL LAVORO Intervista a Giovanni Franzoni

Tratto da: Adista Documenti n° 20 del 08/03/2008

Con la caduta di Prodi la politica italiana ha subito un significativo processo di scomposizione e ricomposizione. Il vecchio centrosinistra è ora sostanzialmente diviso in due blocchi, così come la vecchia Casa delle Libertà. Forse partire dalle idee - e non dai contenitori - può essere utile ad orientarsi meglio in una situazione così complessa. Quali sono le priorità che dovrebbero essere poste al centro dell’agenda politica oggi?

Visto il clima di generale sfiducia comincerei con questa premessa: non condivido la posizione espressa dai Cobas sul Manifesto del 26 febbraio, che si pongono praticamente in atteggiamento di estraneità rispetto alle prossime elezioni. Bisogna guardare ai candidati più che ai programmi e alle parole, e rafforzare il rapporto base/parlamentari in modo flessibile e modulato sulle circostanze politiche e le opportunità che si presenteranno. Se si passa all’opposizione non è per disertare la politica, né quella parlamentare, né quella di movimento, ma per renderla più dinamica, onesta e concludente. Per quanto riguarda le priorità, mi sembra che giustamente la Sinistra Arcobaleno ponga al primo posto il problema del lavoro a tutti i livelli: retribuzione equa, lotta alla precarietà, sicurezza contro la tragedia vergognosa degli incidenti, lotta al lavoro nero e al caporalato. Il gioco delle immagini con delle candidature simboliche bipartisan non convince nessuno.

Negli ultimi anni il tuo impegno si è soprattutto concentrato sulle grandi questioni internazionali, dalla guerra in Iraq alla lotta del popolo palestinese. Quali sono secondo te le linee generali cui dovrebbe ispirarsi la politica estera italiana nei prossimi anni?

Il problema della politica estera è cruciale perché si intreccia col problema della giustizia e della destinazione della ricchezza della terra e dell’Universo; in casa nostra, in Europa e nel mondo. La Sinistra dovrà dare la priorità al problema della pace, a quello della produzione della ricchezza in modi rispettosi delle economie e delle culture, a quello dei processi di globalizzazione voluti dal neoliberismo. Lo stesso problema ecologico deve porsi come priorità non solo a livello locale ma a livello globale. Detto questo, si dovrà porre il problema del significato dell’appartenenza all’Alleanza atlantica e ad altri schieramenti similari che ci trascinano in guerre coloniali o in guerre di egemonia economico/politica. E questo credo che, al momento, lo possa fare solo la Sinistra Arcobaleno, che ha tutte le persone e gli strumenti informativi per uscire dall’at-tuale condizione di sovranità limitata. Dovremmo saper rispettare amicizia e collaborazione senza contrarre alleanze. Soprattutto alleanze militari. Questi obiettivi non sono certamente massimalisti ma, se perseguiti con fermezza e rigore, divengono “di rottura”. Se il Pd ha voluto presentarsi “da solo” non è perché questi obiettivi siano estremistici ma perché sono ragionevoli fino all’ovvietà e moderati. E perciò stesso pericolosi per il “disordine costituito” che il moderatismo “lentigrado” e centripeto stenta ad affrontare.

 

In questa campagna elettorale ha assunto enorme rilevanza il problema della laicità e del ruolo dei cattolici. Qual è il tuo giudizio sul dibattito in corso?

Il punto da analizzare è quello dell’autonomia della politica da ingerenze, più autoritarie che veramente autorevoli, delle gerarchie cattoliche. Tutte le Chiese - cattoliche, protestanti o ortodosse che siano - come le altre comunità religiose presenti nel Paese, hanno pieno diritto di esprimersi pubblicamente ma nei tempi opportuni, senza interferire nel dibattito parlamentare e senza consentire che alcuni si fregino delle infule di loro rappresentanti e siano eletti in ragione di questo particolare carattere della loro azione politica. 

L’espressione “i cattolici in politica” dovrebbe essere rivisitata e precisata. Mi permetto di ricordare che il movimento “Cristiani per il socialismo” non sarebbe stato mai formato se non ci fosse stata l’occupazione del nome cristiano da parte della Dc. Lo stesso comitato dei “Cattolici per il No” al momento del referendum per l’abrogazione della legge Fortuna/Baslini sul divorzio non ci sarebbe mai stato se il Consiglio di presidenza della Cei non avesse promulgato la famosa Notificazione che condizionava il voto dei cattolici. Allora ci battemmo non solo per una legge che dava ai cittadini italiani la libertà di divorziare ma anche per una legge che finalmente dava verifica e spessore alla libertà di “non divorziare”. La Chiesa avrebbe dovuto esserci grata.

Se fra i membri di una Chiesa vi sono posizioni diverse, queste dovrebbero essere ascoltate come interpretazioni delle mediazioni culturali che provengono, in radice, dalla stessa fede religiosa ma presentano diversi piani di riferimento storico/politico. Su certe interpretazioni etiche alcuni cattolici “non allineati” si sono spesso trovati sulle stesse posizioni degli ebrei e dei protestanti. Prima di “essere ascoltati”, bisogna anche, soprattutto nella Chiesa cattolica romana, “saper ascoltare” le voci diverse che vengono dal proprio interno.

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