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LA TRATTA, FIGLIA DELLA GLOBALIZZAZIONE E DELL’INCAPACITÀ NELLE RELAZIONI. INTERVISTA A SUOR MARIA PIA IAMMARINO

Tratto da: Adista Notizie n° 49 del 28/06/2008

34493. ROMA-ADISTA. Le radici delle tratta degli esseri umani affondano nelle questioni economiche ma anche nella difficoltà di relazione, soprattutto da parte degli uomini. Lo afferma suor Maria Pia Iammarino, della congregazione delle Francescane per i poveri, responsabile del “Progetto Miriam”, realizzato a Padova e presentato durante il Congresso dell’Uisg (v. notizia precedente). La “domanda” di esseri umani, e quindi il loro sfruttamento a tutti i livelli, “nasce soprattutto dove c’è la ricchezza, cioè nel Nord del mondo”, spiega suor Maria Pia. E nei Paesi ricchi c’è anche un evidente abbassamento della “qualità delle relazioni”: se gli uomini “non sono capaci di affrontare e vivere le relazioni, allora preferiscono comprarle”.

Adista l’ha intervistata subito dopo il congresso.

 

Qual è la sua valutazione sul congresso appena concluso?

È stata un’esperienza molto bella, anche perché è stata la prima a livello mondiale. E se da un lato è risultata ‘parziale’, dal momento che eravamo solo suore benché di tutto il mondo, dall’altro lato è stato assai utile il confronto, la possibilità di creare collegamenti reali – che potremo valorizzare nel lavoro che ci attende – e l’incoraggiamento reciproco nel lavoro che portiamo avanti.

 

Quali sono le linee d’azione scaturite dall’incontro?

Innanzitutto quello di rafforzare le reti, fra di noi, con le istituzioni pubbliche e anche con i soggetti privati e del privato sociale, perché è l’intero territorio che deve lavorare per includere. Mettendo insieme tutte queste risorse, ne sono sicura, sarà possibile intensificare il contrasto alla tratta di esseri umani.

 

Da cosa bisogna partire innanzitutto?

Io credo che bisogna lottare in primo luogo contro la domanda, che nasce soprattutto dove c’è la ricchezza, cioè nel Nord del mondo e, in parte, anche nei Paesi arabi. Dalla domanda nasce lo sfruttamento sia a livello sessuale, sia lavorativo, sia sanitario (per l’utilizzo degli organi) gestito dalla criminalità organizzata che si arricchisce vendendo l’essere umano. E questo contrasto si deve fare a tutti i livelli, a cominciare dall’informazione e dalla formazione, e lo devono fare tutti, evitando di confinare il problema agli ‘addetti ai lavori’: quello della tratta è un problema di tutti, non di pochi.

 

C’è anche un appello ai religiosi...

Sì, e anche alle Conferenze episcopali, perché condannino apertamente questo atteggiamento dell’uomo e perché promuovano delle pastorali specifiche. Devo dire che all’estero funziona molto meglio che in Italia, dove mi sembra che la vita religiosa talvolta sia più ‘lenta’. Sulla questione della prostituzione, poi, purtroppo, ci sono ancora molti imbarazzi e reticenze. E comunque, ne sono convinta, il problema di fondo è legato alla qualità delle relazioni: se non sono capace di affrontare e vivere le relazioni, allora preferisco comprarle.

 

Come funziona il “Progetto Miriam”?

In genere, le donne arrivano da noi portate direttamente dalla Polizia o passando attraverso il Centro d’ascolto della Caritas diocesana, dove è presente una di noi. Molte volte hanno bisogno di aiuto per scrivere la loro storia ed essere accompagnate in Questura per sporgere denuncia contro i loro sfruttatori. È una fase delicata, perché sono chiamate a ripercorrere la loro dolorosa esperienza. Alcune scelgono di tornare a casa e ci chiedono aiuto per essere rimpatriate, ma la maggior parte di loro vuole rifarsi una vita qui in Italia. L’autonomia nella gestione dignitosa della propria vita è uno degli scopi fondamentali del programma. È una conquista graduale, che va continuamente sostenuta e incoraggiata. A tale scopo nel corso degli anni è nata l’esigenza di avere a disposizione degli appartamenti. Le ragazze possono così sperimentarsi gradualmente nell’indipendenza abitativa e lavorativa. Il passaggio in appartamento è sempre un momento importante per loro, che sottolinea con soddisfazione una nuova fase della loro vita.

Nel corso degli anni il progetto si è aperto anche all’accoglienza di donne in gravidanza, mamme con bimbi piccoli e ragazze straniere in varie situazioni di disagio. Siamo entrate in contatto con una realtà complessa e variegata ed ha significato per noi entrare in una nuova logica e adattarci ai ritmi di vita dei bambini. Dall’avvio dell’attività abbiamo accolto tante donne immigrate. Abbiamo condiviso con loro il dolore di ferite profonde e i difficili passi verso una dignità e un’autostima da ritrovare, ma anche la gioia delle piccole e grandi conquiste e la forza per affrontare il futuro con nuova speranza. (l. k.)

 

 

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