NUTRITI E GUIDATI DALLE SACRE SCRITTURE
Tratto da: Adista Documenti n° 70 del 11/10/2008
Gli studiosi di antropologia culturale ci dicono che una delle caratteristiche della nostra epoca postmoderna è il disprezzo della storia. Il cattolicesimo stesso, tuttavia, vive in una tradizione che riconosce lo sviluppo dottrinale nella storia. I nostri migliori teologi ci ricordano l’attenzione della Chiesa nei confronti delle verità della rivelazione che si dispiegano facendo della storia qualcosa di radicalmente importante per noi. Inoltre, la comprensione della Scrittura come testimonianza della storia della salvezza è per i cattolici una conferma della concezione secondo cui il passato costruisce il presente e il presente si sviluppa dal passato. Per capire il Sinodo dei vescovi sulla Parola di Dio, dobbiamo prendere in considerazione la sua continuità con il passato.
Nei quattro anni delle sue deliberazioni, il Concilio Vaticano II ha ripetutamente confermato l’importanza fondamentale delle Scritture per ogni dimensione della vita ecclesiale. Una breve rassegna delle più recenti pietre miliari di quel viaggio nella Bibbia, che renda conto tanto della continuità quanto dello sviluppo, offre uno sfondo utile per le discussioni che avranno luogo al Sinodo.
Un rapido sguardo al passato
Al centro delle riforme liturgiche promulgate dal Concilio Vaticano II nel 1963, per esempio, vi era l’avvertimento che “per promuovere la riforma, il progresso e l’adattamento della sacra liturgia, è necessario che venga favorito quel gusto saporoso e vivo della Sacra Scrittura che è attestato dalla venerabile tradizione dei riti sia orientali che occidentali” (Costituzione sulla Sacra Liturgia, n. 24).
Nel 1965 i padri conciliari raccomandarono ai pastori: “La predicazione ecclesiastica sia nutrita e regolata dalla Sacra Scrittura” (Costituzione dogmatica sulla rivelazione divina, n. 21). Purtroppo un serio studio della Scrittura a livello parrocchiale è spesso compromesso dalle preoccupazioni dell’assemblea riguardo alle esigenze catechetiche o ai programmi pratici di una data liturgia domenicale, come pure dagli affanni della vita delle persone nel corso della settimana. Un uso autenticamente omiletico della Scrittura richiede chiaramente ben più di qualche blanda e fastidiosa esortazione sul fatto che “Dio è amore”.
In un altro contesto, quello stesso documento conciliare insisteva sul fatto che la Scrittura deve restare “l’anima della sacra teologia” (n. 25). Questo principio fondamentale era stato affermato nel 1893 da papa Leone XIII nel Providentissimus Deus e nuovamente nel 1920 da Benedetto XV nello Spiritus Paraclitus. Ognuna di queste encicliche affrontava l’esigenza di rinnovamento nel razionalismo scolastico della teologia del XIX secolo.
Nel 1943, in occasione della commemorazione del cinquantenario degli insegnamenti di Leone XIII, la comprensione cattolica della centralità della Parola e il valore dell’e-segesi scientifica venivano confermati nell’enciclica caposaldo di Pio XII, Divino Afflante Spiritu. Mezzo secolo di dibattito spesso conflittuale, che aveva prodotto alcuni infortuni tra gli studiosi di Scrittura, aveva condotto ad un accordo generale.
Le fatiche di eccellenti studiosi e fedeli cattolici, come Marie Joseph Lagrange, Op, alla Scuola Biblica di Gerusalemme, ricevettero alla fine il pubblico riconoscimento pontificio e l’approvazione ufficiale. È stata da molte parti accettata l’importanza di distinguere tra generi letterari, e riconosciuta la fondamentale responsabilità degli esegeti cattolici di individuare l’originale significato storico dei testi ispirati e le intenzioni dei loro autori.
Grazie a ciò, è stata recuperata nella Chiesa quella che potrebbe essere definita una seconda lingua comune rinnovata: la Scrittura è stata proposta dai documenti del Concilio Vaticano II come lingua franca per tutto l’insegnamento, la predicazione e la preghiera cattolica. Di conseguenza, subito dopo il Concilio, venne pubblicato un lezionario con molte più selezioni dall’Antico e dal Nuovo Testamento. La vita eucaristica della domenica e dei giorni feriali ne fu arricchita. Più di recente, il teologo John Cavadini della University of Notre Dame ha elogiato il Catechismo della Chiesa cattolica (1992) per il fatto notevole di aver usato il linguaggio della Scrittura così pervasivamente nel presentare la fede della Chiesa universale.
Il dibattito all’interno della comunità esegetica è proseguito. Qual è stata l’importanza relativa delle traduzioni letterali a fronte delle traduzioni più dinamiche (ma concettualmente fedeli) e finalizzate a dare accesso alla testimonianza di mondi antichi molto differenti dal nostro? Nuovi metodi esegetici ispirati da movimenti nella Chiesa come il femminismo e la teologia della liberazione hanno costituito una sfida per l’egemonia dell’approccio storico-critico. Negli ambienti cattolici laici ha cominciato a diffondersi una profonda fame di alfabetizzazione biblica, probabilmente incoraggiata sia dalle esperienze liturgiche delle persone nei fine settimana che dalla crescente popolarità del movimento evangelico americano tra i protestanti.
I documenti preparatori del Sinodo
Alla fine della primavera 2007 è stata pubblicata la consueta bozza iniziale del programma del Sinodo, chiamata Lineamenta, allo scopo di offrire alcune linee di massima per la discussione del tema sinodale proposto per la 12.ma Assemblea generale ordinaria dei vescovi. Uno studio iniziale di questo documento suscita diverse impressioni: esso ammette che l’ignoranza della Bibbia è estremamente diffusa tra molti cattolici; riconosce la necessità di rispondere alle forme più aggressive di proselitismo evangelico, spesso apertamente anti-cattolico; pone, infine, una chiara enfasi sulla pratica della lectio divina. Il documento sembra sottolineare un approccio individualistico alle Scritture, invece di evocare esperienze comunitarie. Numerosi riferimenti ad encicliche dei papi del passato sembrano incoraggiare un utilizzo più spirituale delle Scritture, trascurando l’impor-tanza dei metodi storico-critici. L’entusiastica invocazione delle passate epoche patristiche sembra esprimere favore verso approcci allegorici alla comprensione della Scrittura. Da tutto il mondo sono pervenute risposte e riflessioni. I biblisti hanno illustrato limiti e difetti del documento.
Nel giugno 2008 è stato pubblicato l’Instrumentum laboris, come è chiamata la fase successiva della preparazione, con l’invito ad un’ulteriore riflessione. Il documento sottolinea l’importanza della Parola intesa come persona, non solo come testo stampato, e difende chiaramente l’“applicazio-ne di ogni metodo scientifico e letterario a disposizione”. Se il testo precedente sembrava suggerire delle riserve sull’im-portanza della critica storica, quella cautela è ora meno pronunciata. La trattazione di tutti i temi legati a “La Parola di Gesù nella Vita e nella Missione della Chiesa” appare esauriente. Cionondimeno, è pur sempre evidente la sottolineatura di una lectio divina più devozionale e il fatto che gli estensori del testo erano privi di una piena formazione professionale nello studio cattolico della Scrittura.
Il paesaggio attuale
Per definizione, i sinodi sono convocati per offrire consigli al papa nel governo pastorale della Chiesa. Le loro raccomandazioni rappresentano semplicemente la materia grezza da cui viene tratta e promulgata dal papa un’esorta-zione apostolica post-sinodale. Come parte della nostra preparazione per quelle discussioni, che dovrebbero coinvolgere l’intera comunità cattolica nel mondo, offro, a partire dallo scenario americano, tre avvertimenti ed una speranza.
Avvertimento1: il risveglio patristico. Una delle grandi benedizioni del cattolicesimo è venuta dal fatto che la Chiesa ha sempre tenuto in grande stima il significato letterale del testo, ma senza mai diventarne ostaggio. I primi dibattiti del III e IV secolo tra gli antiocheni, più orientati al letteralismo, e gli alessandrini, più inclini alla tipologizzazione, hanno riconosciuto le differenze. Le scuole di pensiero medievali continuarono il dibattito, specialmente quando le dottrine mariane richiesero un chiaro fondamento biblico. Più di recente, l’intenso impegno degli studiosi cattolici verso la critica storica è stato affiancato da approcci più tendenti al letteralismo, che si chiedono: “Cosa afferma questo brano nel suo contesto e nelle sue sfumature attuali?”. L’interesse contemporaneo a reclamare i frutti dei commenti patristici, tuttavia, richiede un’attenzione considerevole. I primi padri spesso hanno sviluppato una brillante teologia cristiana, ma la loro interpretazione della Bibbia non era sempre fondata su una lettura certa del testo. L’esegesi patristica spesso è stata creativa ed immaginifica ma non sempre ancorata al testo stesso.
Se le deliberazioni del Sinodo trascureranno il rigoroso studio del secolo scorso, ciò rappresenterà un grave disservizio alla Chiesa. Un recupero della tradizione patristica può aggiungersi alla nostra comprensione ma il significato propriamente storico del testo è anche “spirituale” ed ogni suggerimento in senso contrario è semplicemente erroneo.
Avvertimento 2: la divulgazione contemporanea. In seguito al rinnovamento della Chiesa nei decenni passati, siamo stati benedetti da una nuova presenza di docenti popolari la cui esposizione dei temi biblici è stata accolta calorosamente dai catechisti e dalla popolazione cattolica nel suo insieme. Le persone hanno fame della Parola. Il mondo accademico, tuttavia, parla ad un livello tecnico che a volte novizi entusiasti non possono apprezzare. Ne può derivare una perdita di interesse. La Chiesa ha bisogno del lavoro degli accademici cattolici, ma anche delle competenze pedagogiche e catechetiche di coloro che trovano un solido nutrimento pastorale nello studio biblico.
Allo stesso tempo, se i catechisti, con tutto il loro entusiasmo, si sono recentemente convertiti da un ambito evangelico e calvinista, le loro presentazioni potrebbero non incarnare pienamente la tradizione cattolica, radicandosi in una prospettiva diversa. Come docente e pastore ho individuato questo pericolo nel primo movimento carismatico, e lo colgo nuovamente in alcuni materiali biblici promossi a livello parrocchiale. Per questo sottolineo quanto segue.
È profondamente cattolico anche voler conoscere la storia di ogni determinato concetto biblico e il modo in cui il suo significato si è approfondito e sviluppato nei secoli. Certo, l’espressione più antica non è necessariamente la migliore, ma è di quella originaria che si dovrebbe tener conto quando si cerca di comprendere la radici delle nostre più amate espressioni di fede. Questa cautela è particolarmente importante quando si guarda ad un testo con occhi ecumenici e si esplora il prisma delle diverse comprensioni della Chiesa negli anni. Sotto l’intervento della grazia le idee maturano e si fanno più profonde.
È profondamente cattolico voler comprendere il contesto letterario di ogni affermazione e il genere letterario in cui è espressa. La storia biblica da sola, come gli opuscoli di storia della Bibbia usati nelle mie esperienze catechetiche d’infanzia, non nutre la fede. Coloro che hanno semplicemente trasferito la propria conoscenza biblica da una tradizione cristiana alla comunione cattolica, senza una valutazione dell’analisi letteraria cattolica, della liturgia e della tradizione di devozione, saranno molto limitati nella loro capacità di comunicare le ricchezze della nostra tradizione biblica.
Il fondamentalismo - la preoccupazione per la formulazione letterale del testo avulsa dal contesto storico e isolata dalla vita e dall’insegnamento della comunità ecclesiale - può essere pericoloso. Un documento recente della Pontificia Commissione biblica a Roma ha definito questa mentalità “un suicidio intellettuale” (L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa).
Avvertimento 3: i contesti canonici. Qualche volta i libri ispirati della Scrittura si parlano a vicenda, così come parlano al lettore comune. Non è un caso che la Chiesa fin dai tempi antichi abbia legato i diversi rotoli in un unico codice. Il libro di Giobbe può servire come chiaro esempio del fatto che la semplicistica invocazione di benedizioni per il fedele e di punizioni per il malvagio, come hanno affermato i teologi del Deuteronomio, non spiega il mistero del male o il modo in cui Dio opera nella vita quotidiana delle persone. O ancora, l’accento severo, per esempio, sulla purità dell’identità ebraica al ritorno dall’esilio babilonese deve essere bilanciato dalla importante testimonianza degli abitanti di Ninive, che risposero tanto entusiasticamente alla chiamata di Giona (con suo dispiacere e disgusto, come la storia afferma), o dalla devozione della straniera Ruth verso sua suocera Noemi.
L’unione di questi libri del primo e secondo Testamento collega l’esperienza della sinagoga a quella del cristianesimo ed è anche profondamente cattolica per il fatto di riconoscere tanto la discontinuità quanto la continuità. Per quanto possiamo vedere tracce di Cristo nell’antico Testamento, esse devono poter parlare secondo il proprio linguaggio. Una spiritualizzazione affrettata non deve mai oscurare il carattere ebraico della nostra eredità biblica.
È profondamente cattolico insistere sulle differenze tra i generi letterari rinvenute nei libri ispirati che chiamiamo la Bibbia, e consentire a ciascuno di essi di parlare con la propria voce. Nella nostra ricerca di comprensione, è molto importante se l’insegnamento è contenuto in una poesia, in una leggenda, in un’esortazione morale o persino nelle reminiscenze catechetiche ispirate che orgogliosamente chiamiamo Vangeli. Gli insegnanti biblici popolari che non fanno mai riferimento a queste differenze fuorviano il primo approccio alle Scritture da parte del nostro popolo.
Molta più cura dev’essere riposta sulla critica cattolica di materiali usati a livello parrocchiale. In una società capitalista, la popolarità e la disponibilità spesso hanno la meglio, a scapito di una solida critica o valutazione dal punto di vista della tradizione pienamente cattolica.
In conclusione, una speranza
Se il Sinodo intende abbracciare la piena portata della Parola di Dio nella vita della Chiesa, la questione delle traduzioni liturgiche, tanto bibliche quanto sacramentali, in questo momento della nostra storia, non può essere relegata al margine delle deliberazioni dei vescovi. La Parola deve essere chiaramente comprensibile, quando viene proclamata oralmente, e fedelmente espressa in un linguaggio che non sia artificioso, goffo o rigido.
L’accesso alla pienezza della nostra tradizione cattolica è un diritto fondamentale del nostro popolo, il quale non deve essere imbrogliato con una riduzione del messaggio evangelico ad una semplice ispirazione spirituale, che inevitabilmente non andrebbe oltre il livello più superficiale della promessa di vita della Parola.
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