ENZO BIANCHI: SUL CASO ENGLARO “UNA GAZZARRA INDEGNA DELLO STILE CRISTIANO”
Tratto da: Adista Notizie n° 25 del 07/03/2009
34874. TORINO-ADISTA. Ha esitato a lungo prima di intervenire; ha preferito aspettare “l’ora in cui fosse possibile dire una parola udibile”. Alla fine, però, Enzo Bianchi, fondatore e priore della Comunità monastica di Bose, ha deciso di rompere il silenzio sul caso di Eluana Englaro, o meglio sulla battaglia ideologica cui la sua triste vicenda ha dato vita nel nostro Paese. Con parole assai dure ha parlato - in un articolo pubblicato sulla Stampa il 15 febbraio - di uno “scontro incivile”, di una “gazzarra indegna dello stile cristiano”, di una “violenza verbale, e a volte addirittura fisica che strideva con la mia fede cristiana”. Facendo esplicitamente riferimento alle parole usate in quei giorni da alcune delle massime autorità cattoliche e dal quotidiano della Cei Avvenire, Bianchi ha scritto: “Non potevo ascoltare quelle grida - ‘assassini’, ‘boia’, ‘lasciatela a noi’... - senza pensare a Gesù che, quando gli portarono una donna gridando ‘adultera’, fece silenzio a lungo, per poterle dire a un certo punto: ‘Donna, neppure io ti condanno: va’ e non peccare più’”.“Non riuscivo ad ascoltare quelle urla minacciose”, ha proseguito Bianchi, “senza pensare a Gesù che in croce non urla ‘ladro, assassino!’ al brigante non pentito, ma in silenzio gli sta accanto, condividendone la condizione di colpevole e il supplizio. Che senso ha per un cristiano recitare rosari e insultare?”.
È vero, ha sostenuto Bianchi, che la Chiesa deve “testimoniare con il vissuto che la vita non può essere tolta o spenta da nessuno e che, dal concepimento alla morte naturale, essa ha un valore che nessun uomo può contraddire o negare; ma i cristiani in questo impegno non devono mai contraddire quello stile che Gesù ha richiesto ai suoi discepoli: uno stile che pur nella fermezza deve mostrare misericordia e compassione senza mai diventare disprezzo e condanna di chi pensa diversamente”. Tanto più, ha aggiunto il priore di Bose, che nella tradizione molte volte i cristiani, di fronte al sopraggiungere della morte, “hanno deciso di pronunciare un ‘sì’ che comportava la rinuncia ad accanirsi per ritardare il momento di quel faccia a faccia temuto e sperato. Quanti monaci, quante donne e uomini santi, di fronte alla morte hanno chiesto di restare soli e di cibarsi solo dell’eucarestia, quanti hanno recitato il Nunc dimittis, il ‘lascia andare, o Signore, il tuo servo’ come ultima preghiera nell’attesa dell’incontro con colui che hanno tanto cercato...”. Tra questi, ha concluso Bianchi, anche l’esempio di Giovanni Paolo II, che ha “voluto e saputo spegnersi acconsentendo alla chiamata di Dio, facendo della morte l’estremo atto di obbedienza nell’amore al Signore”.
Del resto anche Paolo VI pronunciò parole di grande equilibro su questi argomenti. Bianchi ha ricordato infatti una lettera di papa Montini indirizzata ai medici cattolici nel 1970 in cui si sosteneva che il medico non è obbligato “a utilizzare tutte le tecniche di sopravvivenza che gli offre una scienza instancabilmente creatrice. In molti casi non sarebbe forse un’inutile tortura imporre la rianimazione vegetativa nella fase terminale di una malattia incurabile? In quel caso”, scriveva Paolo VI, “il dovere del medico è piuttosto di impegnarsi ad alleviare la sofferenza, invece di voler prolungare il più a lungo possibile, con qualsiasi mezzo e in qualsiasi condizione, una vita che non è più pienamente umana e che va naturalmente verso il suo epilogo”.
Infine il priore di Bose ha condannato fermamente “la strumentalizzazione” dell’agonia di una donna attuata da una politica “che arriva in ritardo nello svolgere il ruolo che le è proprio - offrire un quadro legislativo adeguato e condiviso per tematiche così sensibili - e che brutalmente invade lo spazio più intimo e personale al solo fine del potere”; da “una politica che si finge al servizio di un’etica superiore, l’etica cristiana, e che cerca, con il compiacimento anche di cattolici, di trasformare il cristianesimo in religione civile”. (e. c.)
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